Il suolo fornisce il 90% del cibo, fibra e combustibile consumati dall'intera umanità, così come buona parte delle materie prime industriali, quali i materiali da costruzione. In aggiunta, pochi si ricordano che ci fornisce un vitale servizio ecosistemico gratuito: purificatore e regolatore delle risorse idriche e, mediante i cicli del carbonio e dell'azoto, il suolo è il motore della vita sul pianeta.

La tendenza della società civilizzata fino a qualche anno fa è stata di consumare questa risorsa non rinnovabile, in modo insostenibile. Gli effetti delle pressioni, spesso conflittuali sono talmente evidenti che si stanno lanciando misure per la limitazione della cementificazione selvaggia. Il nostro modello di sviluppo economico si basa su un paradosso ambientale: da una parte richiediamo al suolo la capacità di immagazzinare le emissioni di carbonio per contrastare il cambiamento climatico e dall'altra cementifichiamo vaste aree riducendo le zone verdi a ruoli marginali e scollegati fra loro "per far crescere l'economia", come se non fosse ancora chiaro che non si può crescere all'infinito.
La mancanza di una politica europea coerente e specifica in materia di protezione del suolo si riflette nell'inaccettabile scarsità di dati pubblici sul reale stato di salute del suolo. A differenza dell'aria e delle acque, soggette ad una legislazione ambientale specifica, il suolo è privo di una tutela dedicata, risulta accennata marginalmente o inglobata in altre politiche settoriali, quali acque, rischio idrogeologico agricoltura, energia, rifiuti o cambiamento climatico (vedasi il Codice Ambientale, D.Lgs. 152/2006).

Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente (Aea), in Europa sono stati accertati 242 siti contaminati, cinquantasette dei quali si trovano in Italia (il 23,5%), riconosciuti tali ufficialmente sin dal 2013. Trentanove di questi siti vennero considerati d'interesse nazionale (Sin) durante il Governo Monti e quindi sottoposti a misure di tutela da parte del ministero dell'Ambiente, scaricando alle regioni la responsabilità sui restanti diciotto.
Dopo il ricorso al Tar del Lazio, i Sin sono oggi quaranta. Secondo l'Aea, sono 1823 i siti potenzialmente contaminati in Europa, ma l'ente non fornisce dati sulla loro localizzazione geografica.
Supponendo che sia applicabile la stessa percentuale dei siti ufficialmente riconosciuti, avremmo qualcosa come 428 luoghi - non ufficialmente definiti come "d'interesse" - nei quali la qualità del suolo sarebbe compromessa dalle più svariate attività umane (Figura 2).
Alla data del 16 novembre 2017 l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sta preparando l'anagrafe dei siti inquinati da bonificare.
 
Mappa dei siti inquinati in Italia
Figura 1: La mappa dei siti inquinati in Italia
(Fonte: ministero dell'Ambiente)
 
Le cause di inquinamento dei suoli in Italia
Figura 2: Le cause di inquinamento dei suoli in Italia
(Fonte dei dati Agenzia europea per l'ambiente , elaborazione grafica dell'autore)
 

Le tecniche di bonifica dei suoli inquinati

L'Ispra ha sviluppato un metodo per scegliere, caso per caso, la tecnologia più adatta per bonificare un suolo contaminato. In linee generali, le tecnologie disponibili si possono classificare come in situ ed ex situ.

Fra le tecnologie in situ possiamo differenziare i trattamenti biologici e quelli fisico-chimici. La fitodepurazione, cioè l'assorbimento o degradazione del contaminante mediante l'azione delle piante, è adatta nei casi di contaminazione da metalli pesanti, meno adatta per la contaminazione causata da composti organici, e sconsigliata quando gli agenti inquinanti siano diossine, furani, fitofarmaci o nitrobenzeni, sostanze queste ultime che le piante non riescono né ad assorbire e né a degradare.
La lista di piante capaci di assorbire inquinanti è lunga e variegata: la bibliografia scientifica riporta le proprietà di salice, pioppo, panico, canna comune, miscanto, vetiver, tifa (chiamata anche stiancia), ricino, mais, girasole, patate dolci, arachidi … (K. Baudh et al., Phytoremediation potential of energy plants, Springer Nature, 2017).
Tipicamente, la biomassa prodotta dai sistemi di fitodepurazione viene utilizzata a scopo energetico per evitare che i contaminanti possano entrare nella catena alimentare, oppure immobilizzata con qualche legante inerte (ad esempio cemento o calce) per produrre materiali da costruzione.

La tecnica ex situ, invece, è da utilizzare solo in casi speciali, in quanto comporta l'asportazione di uno strato di suolo ed il trasporto fino al luogo del trattamento o smaltimento.
 

La canapa come agente fitodepuratore

Secondo lo studio bibliografico condotto da Kumar et al. (op. cit. capitolo 10), la Cannabis sativa è un ottimo candidato per la fitodepurazione per i seguenti motivi:
  • cresce in una ampia gamma di condizioni pedoclimatiche;
  • tollera alte concentrazioni di metalli pesanti;
  • ha radici profonde, di circa un metro, e viene seminata con densità elevate, per cui può bonificare in una stagione un volume considerevole di terreno;
  • in alcuni casi i contaminanti rimangono principalmente nella radice, per cui l'olio si può utilizzare per produrre biodiesel mentre le fibre per produrre carta;
  • si è dimostrata efficace per assorbire i radioisotopi di cesio (Cs 137), il quale rimane inglobato nelle radici e non intacca la qualità delle fibre o dell'olio;
  • il benzo[α]pyrene (cancerogeno e mutagenico per gli animali in genere) ed il crisene (irritante a contatto con la pelle, cancerogeno in caso di esposizione prolungata), risultano invece essere degli stimolatori della crescita per la canapa, la quale sembra sia capace di metabolizzarli in qualche modo;
  • la coltivazione della canapa è fra quelle a minore emissione di gas a effetto serra per unità di biomassa prodotta.
     
I contaminanti per i quali la canapa risulta essere un fitodepuratore più efficiente sono i radioisotopi del cesio (Cs 137) ed i metalli pesanti, con una spiccata capacità di assorbire lo zinco. Sono stati segnalati gli effetti di iperaccumulazione e in parte effetto fitochelante di cromo, cadmio, nichel, piombo, cobalto, rame e ferro.
 

Riflessioni finali

E' un buon affare coltivare canapa a scopo di fitodepurazione? La ditta Phytotech, citata da tutti i siti e blog "pro cannabis" come quella che doveva depurare i siti contaminati a seguito dell'incidente della centrale nucleare di Chernobyl, stando a quanto riporta il Nasdaq, sembra sia fallita nel 1998, lasciando oltre tre milioni di dollari di debiti.

Potremmo affermare che siamo di fronte all'ennesima dimostrazione che gli investitori prediligono le soluzioni "hi-tech", magari protette da diversi brevetti, possibilmente foraggiate, a suon di milioni di denaro pubblico. Depurare un terreno inquinato mediante la coltivazione di canapa è forse troppo facile e alla portata di chiunque, con margini positivi, ma troppo piccoli e con tempi di ritorno troppo lunghi per gli ambiziosi "squali" della finanza.
Allo stesso modo di quanto accade in natura: non sopravvive il più forte o il più intelligente, bensì chi meglio si adatta. Capita spesso che, nella giungla degli affari, i prodotti o servizi che riscuotono il maggior successo di vendite non sempre sono quelli di miglior qualità o i più economici. Quindi gli investimenti si spostano spesso sulle soluzioni chimiche o fisico-chimiche.

Pertanto, è sempre raccomandabile filtrare l'informazione disponibile: la canapa appare sempre come la "pianta miracolosa", indipendentemente dal motore di ricerca utilizzato, per il semplice motivo che i blog e siti "antisistema" cercano di esaltare le sue virtù. E purtroppo ci sono più siti e blog di tale tipo che siti di ricerca scientifica, quindi nel ranking mondiale risultano premiati con il posizionamento tra le prime righe della prima pagina dei risultati di ricerca.
Il vantaggio di internet è di fornirci in breve tempo una corposa informazione, ma non necessariamente di qualità. In altre parole: solo alla terza pagina di una ricerca con le parole chiavi "hemp bioremediation", dopo tutti i siti e blog "antisistema", troviamo un rapporto tecnico Usda (United Stated department of agriculture) dal quale si desume che sono state identificate oltre 400 specie vegetali adatte alla fitodepurazione, e che a Chernobyl è stato utilizzato con successo il girasole per assorbire il Cs 137. Nessun accenno alla cannabis. Ci siamo chiesti se si tratta di un retaggio del proibizionismo, imposto dall'establishment americano o semplicemente ci sono alternative migliori, oppure la canapa ha le stesse performance delle altre piante?

Dopo aver trovato altre tre pagine di siti e blog "anti proibizionisti" e qualche sito che semplicemente offre canapulo come assorbente industriale al posto della segatura di legno, alla sesta pagina della ricerca troviamo uno studio universitario su un caso reale di fitodepurazione, con canapa in Nuova Zelanda. Qui la biomassa viene utilizzata per produrre biomattoni, i quali generano un certo reddito e nel contempo fungono da accumulatori di contaminanti.

Pertanto, concludiamo che la piantagione di canapa è un ottimo fitodepurante con alcuni tipi di inquinanti del suolo, tuttavia è sempre consigliabile valutare il costo dell'operazione e la performance di altre piante, caso per caso, e verificare le possibili vie di immobilizzazione dei contaminanti una volta rimossi.