Il carpino bianco (Carpinus betulus L.) è un albero deciduo della famiglia delle Betulaceae, presente in tutte le regioni dell'Italia peninsulare, in particolare lungo l'arco alpino, a eccezione della Valle d'Aosta. Il nome generico, già utilizzato dagli antichi Romani, potrebbe derivare dalla radice sanscrita "kar" (duro) per la durezza del legno; il nome specifico si riferisce alle foglie vagamente simili a quelle della betulla.
Cresce in boschi maturi di querce e faggi, su suoli argillosi profondi, molto freschi ed umiferi; in poco tempo può superare anche i 20 metri di altezza ed è dotato di un robusto apparato radicale che si estende superficialmente e lo ancora saldamente al terreno. Il tronco e i rami sono ricoperti da una corteccia di colore grigio chiaro.
Il legname è di difficile lavorazione perché a fibre contorte, duro e tenace; anticamente veniva impiegato nella fabbricazione di arnesi sottoposti a sforzo (manici, ruote dentate, denti di rastrello, ecc.). Nonostante sia il legno più duro e compatto fra quelli europei, non resiste all'attacco dei funghi. Le sue fibre contorte sono responsabili della sua instabilità dimensionale con le variazioni dell'umidità, motivo per il quale non è adatto come legname da opera. È possibile renderlo un legname atto per la produzione di mobili e parquet mediante il processo industriale di acetilazione, dopo il quale raggiunge una densità di 801 chilogrammi/m3 e le variazioni dimensionali di tavole e pannelli non superano il 2% (1).
Ottima legna da ardere, ma crescita lenta
Attualmente l'utilizzo principale del carpino è la produzione di legna da ardere o di carbone vegetale. La densità del legno essiccato in aria è compresa fra 540 e 860 chilogrammi/m3, tipicamente 830 chilogrammi/m3; il suo Potere Calorifico Inferiore (Pci) è 18,5-19,2 MJ/chilogrammo SS (2). La pirolisi lenta dei trucioli di carpino (velocità di riscaldamento 10-50°C/minuto), a temperature comprese fra 400–600°C, produce al massimo 35,28% di bio olio, avente Pci uguale a 23,22 MJ/chilogrammo e densità uguale a 1.289 chilogrammi/m3. Il biochar risultante ha Pci uguale a 32,88 MJ/chilogrammo (3).
La biomassa del carpino si può sfruttare a scopi energetici mediante due tecniche colturali diverse: la ceduazione a turno lungo (tipicamente otto-15 anni, in Italia 12-quaranta anni, 4) e la capitozzatura. Il carpino è una delle piante che meglio risponde alla capitozzatura, anche dopo decenni di crescita senza gestione. Una pianta che non sia stata capitozzata per lungo tempo ricaccia nuovi rami a condizione che il diametro del tronco all'altezza del petto sia maggiore di 40 centimetri e che la pianta sia sana, ovvero che la sua corteccia sia integra e non si stacchi dal tronco (5).
I vantaggi della capitozzatura rispetto alla ceduazione a turno lungo sono svariati (6):
- maggiore longevità dell'albero, che può sopravvivere anche secoli se gestito correttamente;
- gli animali domestici e selvatici non consumano la biomassa in crescita, come succederebbe con i polloni nel caso della ceduazione;
- ridotta competizione fra gli alberi capitozzati e le colture sottostanti;
- favorisce la biodiversità perché le cicatrici tendono a formare cavità nelle quali trovano rifugio uccelli e pipistrelli;
- sequestro di carbonio nel tronco e nelle radici;
- le siepi e filari formano parte del paesaggio agricolo;
- la produzione di biomassa è massima se la frequenza è annua (utilizzo come foraggio e lettiera), ma per la produzione di legna da ardere è preferibile un turno di capitozzatura compreso fra tre e dieci anni.
Nelle condizioni più favorevoli, la massima produzione di biomassa di una siepe lunga 100 metri, con 2 metri di interasse fra le ceppaie, gestita con un turno di capitozzatura di cinque anni, può arrivare a 10 tonnellate di legna fresca a fine turno, ovvero 1,4 tonnellate/anno di legna secca (7). Il carpino va capitozzato durante l'inverno perché in primavera perderebbe troppa linfa.
La legna di carpino è adatta all'affumicatura di specialità alimentari, i suoi semi sono commestibili, le api bottinano il polline ad aprile.
Foto 1: Carpini capitozzati
(Fonte foto: 4)
Alto valore ecologico per riforestazione e tutela del territorio
In natura il carpino cresce assieme a faggi e querce in quanto tollera l'ombra di queste e l'acidità tipica dei suoli di sottobosco (8). I suoi semi (Foto 2) forniscono nutrimento agli uccelli in autunno e le sue foglie rimangono attaccate durante tutto l'inverno, fornendo riparo ad uccelli e piccoli mammiferi. Se tenuto basso, le foglie forniscono cibo a cervidi e cinghiali. Tali caratteristiche lo rendono ideale per progetti di rinaturalizzazione. Le fitte radici, poco profonde ed estese lateralmente, proteggono i pendii dall'erosione.
Tabella 1: Valori nutrizionali delle foglie di carpino, campionate nel mese di luglio
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)
In aree vicine a zone fortemente antropizzate, gli ossidi di azoto (NOx) sono una delle fonti d'inquinamento più preoccupanti, originata principalmente dal traffico e da processi di combustione. Gli stomi delle foglie hanno la capacità di assorbire sia l'NO che l'NO2 grazie alle fitoglobine, proteine importanti per il ciclo dell'azoto e altre funzioni metaboliche nelle piante. Esse regolano la conversione dell'NO in nitrati facilmente assimilabili, la crescita, la risposta al deficit di minerali e agli stress abiotici.
La presenza di fitoglobine fa del carpino bianco uno degli alberi più resistenti alle ondate di caldo e siccità, sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico globale. A parità di concentrazione di NO e NO2 nell'aria, il carpino bianco è la specie con maggiore capacità di assorbimento dei suddetti inquinanti per m2 di superficie fogliare (11). L'attitudine alla coltivazione in siepi o in abbinamento ad altre specie lo converte dunque nel migliore candidato da piantumare lungo strade trafficate e in parchi urbani.
Note colturali
Il carpino è adatto a suoli sabbiosi leggeri, limosi medi e argillosi pesanti, purché siano umidi e drenati. Tollera pH leggermente acido, neutro, alcalino e molto alcalino. Può crescere all'ombra o in penombra, ma lo fa più velocemente in posizioni soleggiate. Può resistere a ghiacciate fino a -35°C e siccità estiva. Il metodo di propagazione più facile è in semenzaio all'aperto, non appena i semi sulla pianta sono secchi, ma in tale caso la germinazione richiede 18 mesi. Se i semi vengono raccolti mentre sono ancora verdi, cioè prima di seccarsi completamente sulla pianta, e seminati subito, allora germinano entro la primavera successiva. Le piantine vengono cresciute per due anni nel semenzaio prima di essere messe a dimora durante l'inverno. La viabilità media dei semi è del 65%. (Fonte in questa pagina).
Il carpino è comunque una pianta a crescita lenta, richiede mediamente cinquanta anni per raggiungere i 12 metri di altezza. Si può riprodurre anche mediante talea o innesto, ma è una tecnica difficile, descritta in questa pagina in francese. I migliori risultati si ottengono tagliando le talee quattro settimane dopo l'apparizione delle prime gemme e sottoponendole ad eziolatura per un giorno e mezzo, poi in una serra ombreggiata e spruzzandole con acqua fino all'apparizione delle radici. Il trattamento con IBA (1H-indole-3-butyric acid) con concentrazione 3,7 mmol e 95% di ombreggiatura è quello più efficace, con 95% di radicazione delle talee (12). Diversi siti francesi di giardinaggio segnalano come valida la propagazione mediante margottatura dei rami bassi (si veda ad esempio questa e questa pagina).
Bibliografia
(1) Fodor F, Lankveld C, Németh R (2017). Testing common hornbeam (Carpinus betulus L.) acetylated with the Accoya method under industrial conditions. iForest 10: 948-954. – doi: 10.3832/ifor2359-010 [online 2017-12-19].
(2) Nike Krajnc, Wood Fuels Manual, Fao, Pristina 2015.
(3) Ugur Morali, Nazan Yavuzel, Sevgi Sensöz, Pyrolysis of hornbeam (Carpinus betulus L.) sawdust: Characterization of bio-oil and bio-char, Bioresource Technology, Volume 221, 2016, Pages 682-685, ISSN 0960-8524.
(4) Alicia Unrau, Gero Becker, Raffaele Spinelli, Dagnija Lazdina, Natascia Magagnotti, Valeriu-Norocel Nicolescu, Peter Buckley, Debbie Bartlett and Pieter D. Kofman; Coppice Forests in Europe, Albert Ludwig University Freiburg Chair of Forest Utilization, 2018.
(5) Warrington, Stuart & Brookes, Rachael. (1998). The growth of hornbeam Carpinus betulus following the reinstatement of pollard management. For. & Landsc. Res. (1998) 1: 521-529.
(6) The Pollard Practitioner Small Guidebook.
(7) Veneto Agricoltura; Gli impianti produttivi di biomassa legnosa; Cap. 1.
(8) Sikkema, R., Caudullo, G., de Rigo, D., 2016. Carpinus betulus in Europe: distribution, habitat, usage and threats. In: San-Miguel-Ayanz, J., de Rigo, D., Caudullo, G., Houston Durrant, T., Mauri, A. (Eds.), European Atlas of Forest Tree Species. Publ. Off. EU, Luxembourg.
(9) Louis Bolk Instituut, Stichting Duinboeren, 2021 with support of the Dutch Ministry of Economic Affairs, The European Agricultural Fund for Rural Development and the European Commission through the AGFORWARD FP7 research project (contract no. 613520).
(10) Ian D. Rotherham, Trees, Forested Landscapes and Grazing Animals: A European Perspective on Woodlands and Grazed Treescapes, pag. 149. Routledge, 2017.
(11) Jiangli Zhang, Andrea Ghirardo, Antonella Gori, Andreas Albert, Franz Buegger, Rocco Pace, Elisabeth Georgii, Rüdiger Grote, Jörg-Peter Schnitzler, Jörg Durner and Christian Lindermayr; Improving Air Quality by Nitric Oxide Consumption of Climate-Resilient Trees Suitable for Urban Greening; Front. Plant Sci., 29 September 2020.
(12) Bassuk, Nina. (1992). Stock Plant Etiolation, Shading, and Banding Effects on Cutting Propagation of Carpinus betulus. Journal of the American Society for Horticultural Science. American Society for Horticultural Science. 117(5)740-744.