Minguzzi ha aggiornato il quadro di Fruitimprese Emilia Romagna: una associazione che sta crescendo (70 imprese aderenti contro le 60 di quattro anni fa) con quantità commercializzate di 1 milione di tonnellate e un giro d’affari di 900 milioni di euro, di cui oltre il 60% di export. Minguzzi ha ricordato che l’ortofrutta rappresenta la seconda voce dell’export agroalimentare italiano ed è tra i primi al mondo con una produzione di oltre 10 milioni di tonnellate di frutta all’anno, quasi 6 milioni di tonnellate di ortaggi e un fatturato che si aggira sui 12 miliardi di euro, di cui 4 realizzati grazie alle esportazioni. Tra il 2009 e il 2014, l’export di ortofrutta italiana è cresciuto del 28,2%; come quello dei Paesi Bassi (27,9%); meno della Spagna (35,7%); più della Francia (24%). Il comparto ortofrutticolo è un motore non solo del settore agroalimentare, ma dell'intero Paese, con oltre 490mila aziende, più di un milione di ettari coltivati e 12,8 miliardi di euro di valore alla produzione. Il nostro export conserva ampi margini di crescita ma siamo penalizzati – ha detto Minguzzi – “da costi di produzione sopra la media Ue, dalla burocrazia e da norme non uniformi a livello europeo sull'impiego dei fitosanitari. Produrre frutta e verdura nel Belpaese costa il 10% in più rispetto ad altri Paesi Ue, per via del costo del lavoro, del costo del trasporto e dell’energia per uso industriale, i più alti in Europa”.
Inoltre, l’Italia è penalizzata da una burocrazia bizantina. “Si sottrae al lavoro una quantità esagerata di tempo prezioso per essere controllati da soggetti diversi sulle stesse cose. Sui controlli siamo il Paese più rigido del mondo. E’ giusto che vi siano controlli, ma spesso sono ripetitivi, non coordinati e richiedenti documentazione già in possesso alla Pubblica amministrazione”. Un ulteriore freno della competitività di impresa è determinato poi dalla “difesa fitosanitaria”. “Nonostante il mercato dei prodotti ortofrutticoli per l'Unione europea sia unico vi è una forte differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari. La mancata uniformità di normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra operatori di Paesi e regioni diversi, incidendo notevolmente sui costi di produzione. Lo svantaggio competitivo è sia nei confronti dei Paesi extra Ue, da cui importiamo prodotti coltivati con regole più blande sulla sicurezza alimentare, sia all'interno dell'Unione. La Spagna, ad esempio, può usare un prodotto per la conservazione delle pere, da noi vietato, che consente di mantenerle per il doppio del tempo, e quindi di esportarle anche in mercati più lontani”.
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Fonte: Fruitimprese