La Pac sotto attacco, sai che novità. Fra proteste di piazza, comunicati di disappunto, mugugni fra agricoltori e negli uffici delle organizzazioni agricole, periodicamente a ogni riforma della Politica Agricola Comune si leva un coro di proteste che lamenta la crescita degli obblighi ambientali, il rischio di diminuzione del reddito aziendale, l'incremento della burocrazia (che sotto sotto piace a chi ha l'incarico di espletare le pratiche, perché così aumenta i prezzi i diversi oneri), l'incertezza del futuro.

 

"Potrebbe essere l'ultima Pac" è uno dei mantra che si sente in litanìa alternata a "con la prossima Pac ci saranno ancora meno fondi a disposizione", salmo quest'ultimo che non è lontano dal vero.

 

L'ultimo allarme è stato riconosciuto dal commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, che ha riconosciuto come la crescita fuori controllo e non prevista (ma nemmeno prevedibile, a discolpa dei pachidermici uffici di Bruxelles) dell'inflazione eroderebbe una parte delle risorse assegnate. Nel corso del 2023, quindi, potrebbe essere rivisto il quadro finanziario pluriennale con un'aggiustatina al rialzo, tenuto conto che nel 2022 i costi di produzione per gli agricoltori sono aumentati sensibilmente e potrebbero rimanere elevati anche quest'anno.

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La criticatissima Pac non sfugge, dunque, alle pulci degli agricoltori, impegnati a fare i conti sui vantaggi dall'aderire alle nuove misure - più vincolanti sul piano ambientale, sicuramente - e sugli eventuali punti in favore all'abbandono del rigido protocollo comunitario. Che fare?

 

In alcune parti del Nord Europa si sta allargando la fronda di chi si dichiara disponibile a rinunciare ai vincoli della Pac e, di conseguenza, anche agli emolumenti. Le piccole imprese, magari collocate in pianura, con conduttori anziani, potrebbero sulle prime trovare più conveniente rinunciare alla Pac per affrontare il mare aperto della produzione e del mercato senza aiuti. D'altronde, da diversi anni vi sarebbe una frangia di agricoltori che - almeno in teoria - riuscirebbe a sopravvivere senza beneficiare dei fondi della Politica Agricola Comune. Pensiamo a quelle aziende (poche), che non hanno rateizzato le multe latte, scegliendo una strada contro il sistema.

 

Torniamo alla riforma 2023-2027. Indubbiamente impone degli obblighi aggiuntivi. Ma siamo sinceri: davvero rispettare la condizionalità sociale, cioè rispettare i diritti dei lavoratori e avere dipendenti e collaboratori in regola, è uno sforzo? Solo pensare di rinunciare alla Pac per non dover sottostare agli oneri della condizionalità sociale è delirante ed esecrabile.

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Diminuiscono gli aiuti diretti, per i quali una parte (il 25%) deve soggiacere alla condizionalità rafforzata, agli ecoschemi, a misure più stringenti sul versante ambientale e delle corrette pratiche agronomiche. Qualcuno potrebbe calcolare che tali sforzi non riceverebbero adeguata remunerazione e, quindi, sulle prime potrebbe essere più conveniente lasciare perdere. Siamo sicuri?

 

E se un domani, con la riforma successiva post 2027, venisse fatto divieto di rientrare fra i beneficiari della Pac a chi ha rinunciato temporaneamente ad aderire agli obblighi dell'attuale riforma? Perché pensare che con il 2027 muoia la Pac e qualsiasi forma di sostegno all'agricoltura, quando tutto il mondo aiuta i produttori nel duro sforzo di produrre, è un pessimismo fuori controllo. La Pac del futuro sarà indubbiamente diversa, ma non sparirà.

 

Ci sono elementi di mercato da tenere in debita considerazione. Chi aderisce alla Politica Agricola Comune potrà beneficiare di accordi di filiera finalizzati a migliorare la sostenibilità, in deroga ai vincoli sulla concorrenza. Chi decide di non curarsi del regime della Pac, resterà fuori. Ma in un settore come quello agroalimentare dove la sostenibilità rappresenta sempre di più un driver di acquisto fondamentale per i consumatori (e questo nonostante i rincari), autoescludersi volontariamente dal sistema Pac quanto può reggere?

 

A chi le aziende agricole collocheranno i propri prodotti, magari col rischio di essere pagati di meno perché non rispettosi di quegli stessi vincoli ambientali di fronte ai quali molti agricoltori oggi storcono il naso? Potrebbero collocarli a un prezzo inferiore oppure col limite di essere destinati solo a circuiti no-food o per circuiti energetici, non-human, ma con quali aspettative?

 

E ancora: chi decidesse di "uscire" dal circuito della Pac potrebbe perdere i vantaggi dei fondi mutualistici e delle nuove assicurazioni contro i rischi climatici e la volatilità dei mercati. Converrebbe rinunciare a priori?

 

Spesso non siamo stati teneri con la lentezza decisionale di Bruxelles e, talvolta, anche con la miopia della Commissione Agricoltura che non ha saputo vedere con più velocità le distonie di mercato, intervenendo per sostenere il settore o, almeno, correggere la rotta. Ma allo stesso tempo oggi non possiamo non tessere le lodi della Politica Agricola Comune e di quanto rappresenta, ben oltre gli aiuti economici.

 

La Pac costituisce una visione complessiva dell'Europa, magari forse non sufficientemente negoziata o condivisa con il sistema agricolo e troppo subordinato a velleitari desideri di natura ambientale, ma è innegabile che con i propri principi di sostegno alle imprese, ai consumatori, all'ambiente, ai mercati, al lavoro, essa possa essere a ragione considerata un patrimonio immateriale da proteggere e da far evolvere secondo le esigenze dei tempi in cui viviamo.

 

Dobbiamo credere nella Pac e adoperarci per migliorarla. Le possibilità di dialogo e di correzione di rotta non mancano. E, grazie a maggiori margini di manovra degli Stati membri, non dobbiamo nemmeno aspettare il 2027.