Il 65% delle terre coltivabili non ancora sfruttate si trova in Africa, tanto che sulla carta potrebbe diventare il nuovo granaio del mondo e sfamare una popolazione che nel 2050 sarà il doppio di quello attuale.
Una delle grandi sfide per l'Africa sarà, infatti, provvedere a sfamare il continente, come ha recentemente ricordato anche Mario Enrico Pè, docente dell'Istituto di Scienze della vita della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa e coordinatore di una ricerca in Etiopia per migliorare la vita degli agricoltori, individuando i semi più adatti per i terreni, la vocazione produttiva e, allo stesso tempo, le tradizioni etiopi.
C'è molto da fare, naturalmente, perché il settore agricolo vive per lo più di sussistenza ed è alle prese con cambiamenti climatici violenti e con le conseguenti migrazioni, in parte dovute proprio da situazioni naturali che rendono difficile sopravvivere in alcune aree del continente africano.
Oggi, secondo la Banca africana di sviluppo, il settore agricolo rappresenta il 25% del Pil, nonostante addirittura il 61% degli africani lavori in agricoltura. E proprio la Banca africana di sviluppo e la Fao, agenzia delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, hanno sottoscritto nelle scorse settimane una partnership per catalizzare gli investimenti nel settore agricolo in Africa, con l'obiettivo di porre fine alla fame e alla malnutrizione e aumentare la prosperità in tutto il continente.
L'intesa prevede che la Banca africana di sviluppo e la Fao si impegnino a raccogliere fino a 100 milioni di dollari in cinque anni per sostenere attività di partenariato congiunto. In particolare, la nuova alleanza strategica è mirata a migliorare la qualità e l'impatto degli investimenti in sicurezza alimentare, nutrizione, protezione sociale, agricoltura, silvicoltura, pesca e sviluppo rurale.
Sarebbe molto importante, per il progresso del comparto primario, sviluppare infrastrutture per l'irrigazione, migliorare la produttività dei terreni, costruire centri di stoccaggio e strade per la movimentazione delle derrate agricole. Allo stesso tempo, sarebbe opportuno implementare l'utilizzo di fertilizzanti e mettere a dimora semi con capacità di resa aumentata di sei volte. Per fare tutto ciò, stima McKinsey, sono necessari più di 73 miliardi di dollari.
Una scommessa non facile. Anche perché, nonostante potenzialità enormi e progetti già finanziati (solo dalla collaborazione tra Banca africana di sviluppo e Fao sono stati 161 dal 1968, per un valore di 3,7 miliardi di dollari, pari a circa il 21% del sostegno della Banca al settore agricolo, ha scritto Klaus Eisner sulla rivista diretta da Gianfranco Belgrano "Africa e Affari"), l'Africa deve fare i conti con alcuni limiti geografici.
È vero che il continente africano è talmente esteso che potrebbe contenere gli Stati Uniti, la Groenlandia, l'India, la Cina, la Spagna, la Francia, la Germania, il Regno Unito e ci sarebbe ancora spazio per tutta l'Europa Orientale, come ha ricordato il giornalista Tim Marshall nel libro "Le 10 mappe che spiegano il mondo", tuttavia le coste africane presentano spiagge meravigliose, ma pessimi porti naturali; i fiumi risultano inadatti al trasporto per la presenza di cascate; climi, regioni, culture diverse sono accomunati dall'isolamento reciproco.
Anche le migliaia di lingue che si parlano in Africa rappresentano più un ostacolo che un'opportunità, perché l'assenza di una cultura unitaria ha di fatto frenato lo scambio di idee e di tecnologie per migliaia di anni.
L'Africa è la culla dell'umanità ed è nelle aree del Medio Oriente e del Mediterraneo che nasce l'agricoltura.
Osservando la mappa dell'Africa, i 56 paesi nei quali è suddiviso il continente sono frutto di divisioni formali e di una geografia costruita a tavolino dal colonialismo europeo.
Sempre Tim Marshall ha sottolineato che la Libia, così come è stata concepita pochi decenni fa dagli europei, faticherà a sopravvivere o che la Repubblica Democratica del Congo, secondo paese dell'Africa per dimensioni, con circa 75 milioni di abitanti, non è affatto in via di sviluppo e non mostra alcun segno di evoluzione verso la modernità, collocandosi al 186º posto su 187 paesi esaminati nel 2014 dallo United Nations human development index.
Le guerre per l'acqua potrebbero caratterizzare il secolo in corso. In questo ambito, anche la realizzazione di infrastrutture senza dubbio utili per la crescita dell'Africa potrebbero nascondere insidie. L'Etiopia, ad esempio, nella parte montuosa del paese conta più di venti dighe, alimentate dalla pioggia, tanto da essere soprannominata "la cisterna d'Africa".
In cooperazione con la Cina, nel 2011 l'Etiopia ha annunciato un progetto per la costruzione di un bacino idroelettrico gigantesco nei pressi del confine sudanese. L'opera è stata ribattezzata, come ricorda appunto il libro scritto dal giornalista britannico, "la grande diga della rinascita", e dovrebbe essere operativa nel 2020. Il bacino potrebbe contenere riserve d'acqua per un anno e dare la possibilità all'Etiopia di tenere l'acqua per se, riducendo così drasticamente il flusso verso l'Egitto. Scoppierà una guerra per l'oro blu?
L'Africa significa anche petrolio, con la Nigeria che è il primo produttore dell'Africa subsahariana, seguita dall'Angola, uno Stato che ha rapporti molto stretti con l'ex Regno di Mezzo. Già, parlare di Africa significa anche parlare di Cina, alla luce non soltanto del fatto che circa un terzo delle importazioni di petrolio di Pechino proviene dall'Africa, ma anche per le politiche di collaborazione e per le alleanze che la Cina ha stretto nel continente.
Alla Cina interessano il petrolio, i minerali, i metalli preziosi e, per contro, l'interesse dei cinesi costituisce una prospettiva attraente per molti governi africani. Solo in Angola, ad esempio, gli investimenti di Pechino negli ultimi anni hanno superato gli 8 miliardi di dollari e in Kenya l'azienda statale China road and bridge corporation sta costruendo una linea ferroviaria con investimenti per 14 miliardi di dollari.
Complessivamente, vale la pena ricordarlo, all'ultimo Forum Cina-Africa, che si è tenuto a Pechino, il presidente cinese Xi Jinping ha promesso altri 60 miliardi di dollari in finanziamenti, prestiti e donazioni per i paesi africani. I fondi includeranno 15 miliardi di aiuti, prestiti senza interessi e prestiti agevolati, ma anche una linea di credito di 20 miliardi, un fondo speciale di 10 miliardi per lo sviluppo delle relazioni tra Cina e Africa e un fondo speciale di 5 miliardi per le importazioni dell'Africa.
E per fugare ogni dubbio, il presidente Xi ha garantito che i progetti saranno concreti, verdi e sostenibili.
In ogni caso, sul Corriere della Sera Angelo Panebianco ammoniva l'Europa a impegnarsi di più in termini di sviluppo e diritti in Africa, specificando che la crescita dell'Africa non dipende dagli aiuti allo sviluppo, ma "dall'esistenza di istituzioni (sociali, economiche, politiche) locali solide, in grado di generare ordine".
Soprattutto, "quello che gli europei possono fare per l'Africa (e quindi per se stessi) è non lasciare alla Cina campo libero negli investimenti. Conviene ai paesi europei scommettere sul futuro dell'Africa e investirvi molte risorse. Questo per un vantaggio a breve scadenza: ampliare la propria presenza in un mercato in espansione. E per un vantaggio a lungo termine: tutelare la società aperta europea".