Il tema scelto per quest’anno dalle Nazioni unite è “Nature for Water”: l’invito ai paesi membri è ad usare le soluzioni che si trovano in natura per ridurre le inondazioni, la siccità e l’inquinamento delle acque.
E ridurre la scarsità di risorsa idrica secondo questo tema, significa sicuramente garantire un livello adeguato di acqua a chi ne ha effettivamente bisogno utilizzando la fonte di più facile accesso, più sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale.
Nei giorni scorsi si è tenuta un’affollata riunione di agricoltori a Rocca d’Evandro, in provincia di Caserta: per sapere se quest’anno potranno finalmente irrigare i campi con l’acqua del loro fiume: il Peccia. Un argomento importante, perché in questa zona collinosa scavare un pozzo è un’impresa, la falda può stazionare anche a 100 metri di profondità e l’acqua dell’impianto irriguo pubblico è una necessità.
L’impianto di derivazione e irrigazione, ormai danneggiato e con seri problemi di manutenzione, pressoché abbandonato dal Consorzio Aurunco di bonifica, era stato tenuto in funzione grazie alle continue pressioni degli agricoltori della zona, che in alcuni casi avevano provveduto direttamente alla manutenzione del manufatto.
Ma ora l’impianto versa in uno stato di totale degrado. E Regione Campania, con una delibera di giunta dello scorso febbraio, lo ha affidato al Consorzio di bonfica delle Paludi di Napoli e Volla, con una provvista finanziaria di emergenza - 500mila euro - utile ad irrigare nei prossimi mesi. Ma gli agricoltori non si fidano, temono di rimanere ancora una volta senza acqua e perdere anche quest'anno fino al 50% del valore della produzione agricola. L’obiettivo oggi è quello di trovare un modo per autogestire in economia l’impianto, ma non sarà facile raggiungerlo: perché i costi di gestione dell'impianto sono tutti da verificare.
Tra il 1988 ed il 2001, con fondi Cipe ed Agensud per complessivi 63 miliardi di lire dell’epoca (circa 43 milioni di euro di oggi) viene finanziato e costruito - secondo il progetto Fio n 280/1986 - un impianto di captazione di acque per l'irrigazione delle valli del fiume Peccia e Garigliano, in provincia di Caserta, tra i Comuni di Rocca d’Evandro, San Pietro Infine e Mignano Montelungo.
La struttura capta nella sorgente del corso d’acqua 1,25 metri cubi d’acqua al secondo con un gruppo di sei pompe, risorsa poi immessa nella rete irrigua mediante impianto in caduta su tre livelli al servizio di circa 1500 ettari di terreno nel territorio della Comunità montana del Monte Santa Croce.
L’opera veniva appaltata e portata a termine dalla Comunità montana, che tra il 2002 ed il 2003 si occupa della gestione dell’impianto irriguo. Peraltro, dalla contabilità della Comunità montana del Monte Santa Croce appare subito chiaro che a fronte di spese di gestione per circa 130mila euro – la fornitura di energia elettrica e la gestione degli impianti affidati ad una ditta locale – vi è la difficoltà di recuperare la tariffa idrica. La Regione Campania, su richiesta della stessa Comunità montana, decide nel 2004 di affidare l’impianto di irrigazione al Consorzio Aurunco di bonifica, ma da quel momento iniziano i disservizi per l’utenza irrigua.
Secondo quanto appurato da AgroNotizie, per altro, oggi i costi annuali di gestione dell’impianto sarebbero lievitati fino a 700mila euro l’anno a fronte di un’utenza irrigua che corrisponde canoni per poco più di 260mila euro l’anno. Questo perché su 1500 ettari di terreno serviti, solo 500 utilizzano effettivamente l’acqua e pagano i canoni. Mancano allo stato i contatori utili per una tariffazione dell’acqua a consumo e non ad ettaro. E tale situazione favorisce anche il fenomeno dell’evasione.
“Ci siamo costituiti come associazione Valle del Peccia – spiega Domenico Iardino, coltivatore di mele – e vogliamo sollecitare i comuni per entrare direttamente nella gestione dell’impianto, che potrebbe essere gestito in economia”.
La risposta positiva degli enti locali non si fa attendere, ma esiste un problema: “Occorre costruire un piano industriale, tale che i costi siano compensati dalla tariffa idrica – dice Angelo Marotta, sindaco di Rocca d’Evandro, che ricorda – l’impianto a regime può servire 1500 ettari, ma oggi è attivo solo su 400, inoltre i tre livelli di pompaggio e di caduta impongono dei costi energetici elevati, infine credo che i complessivi 260mila euro incassati dal Consorzio Aurunco di bonifica siano pochi, visto che l’utenza deve quote per ettaro pari a 165 euro”.
Insomma per riorganizzare l’impianto serve “Un censimento della reale domanda di risorsa irrigua”.
Sullo sfondo, ma non tanto, c’è una regione, la Campania, che non si è ancora dotata di una riforma degli enti irrigui e di bonifica per ridare efficienza al sistema, e i consorzi sono quasi tutti commissariati e con posizioni debitorie elevate.
La storia degli agricoltori di Rocca d’Evandro, rimasti senza acqua pur avendo a disposizione una risorsa importante è forse l’esempio – per certi versi – da non seguire: un impianto troppo grande, forse sovradimensionato, che aveva prodotto aspettative eccessive, costoso nella gestione, che ora ha bisogno di essere ristrutturato, senza aver avuto il tempo di fornire negli ultimi anni l’acqua necessaria.
Vista da una diversa angolazione, questa storia parla di un Sud ancora ricco di risorse, che ha la necessità di ritrovare le sue reali vocazioni, mettendo al primo posto le capacità organizzative e di aggregazione reale degli agricoltori: anche per una gestione dell’acqua secondo Natura.