Nella catena di produzione, trasporto e consumo del cibo vi sono perdite che in media rappresentano il 30% di quanto esce dai campi coltivati. Traducendolo in peso si parla di 13,6 miliardi di tonnellate a livello mondiale. Un Pil pari a quello della Svizzera e a una superficie di circa un terzo di quella coltivata. Uno spreco quindi enorme. Questo secondo quanto esposto da Andrea Segrè, fondatore di Last Minute Market, nel suo intervento presso il secondo “Forum Food & Made in Italy” tenutosi a Milano il 6 novembre 2014. Sulla relazione di Andrea Segrè leggi anche: Gli Italiani e il cibo2 pance su 100.
 

Degli sprechi e della fame


I dati forniti da Segrè hanno ovviamente sollecitato la curiosità e così, facendo qualche ricerca, si è scoperto che frutta e verdura sono le più sprecate, raggiungendo percentuali che sfiorano il 45% del totale coltivato. Essendo prodotti deperibili, passano in fretta dallo status di cibo a quello di rifiuto. Un po' meglio i prodotti ittici, con un 35% circa, seguiti dai cereali con poco meno del 30%. I più virtuosi parrebbero latte e derivati, di cui "solo" un 18-19% andrebbe sprecato.

Non si pensi però che siano i consumatori finali i veri spreconi. Mediamente, questi rappresenterebbero infatti meno del 10% del cibo finito nel nulla. Molto più forti sono infatti gli sprechi lungo la catena di produzione, trasporto e lavorazione, specialmente nell'ortofrutta e nei prodotti ittici.  Dati, questi, che stimolano le ormai note speculazioni sul contrasto che oggettivamente esiste fra produzioni globali di cibo e fame nel Mondo. Le prime, almeno teoricamente, basterebbero infatti a coprire le esigenze alimentari di tutti e sette i miliardi di Esseri Umani attuali, generando pure abbondanti avanzi. Ciò porta molte persone a credere che un uso più razionale del cibo ove esso abbonda potrebbe eliminare l’iponutrizione globale. Questo, come detto, è purtroppo vero solo in teoria, perché la realtà non ama fare i conti con banali calcolatrici da taschino.
 
In effetti, se il cibo potesse essere inviato via mail in formato pdf i giochi sarebbero fatti. Basterebbe un click e i Paesi poveri riceverebbero più alimenti di quanti gliene servano per campare. Peccato che i pdf non si possano mangiare e che la trasmissione del cibo a distanza, anche fosse possibile, non risolverebbe affatto il problema della fame nel Mondo, creando anzi una pericolosa dipendenza fra Paesi che producono troppo - e quindi regalano - e Paesi che producono troppo poco e devono quindi farsi regalare.
A dispetto delle suddette calcolatrici da taschino, la produzione mondiale di cibo è infatti altamente squilibrata dal punto di vista geografico, con Europa e Nord America che producono fin troppo - e quindi sprecano - mentre altri continenti non riescono a dare da mangiare una sola volta al giorno ai popoli che vi abitano.
 
Illusorio però pensare che se i popoli ricchi si mettessero a dieta oppure diventassero vegani, quelli sub-sahariani avrebbero automaticamente cibo a volontà. Darsi una regolata farebbe bene soprattutto a chi oggi di cibo ne ingolla anche troppo, ma di certo influirebbe ben poco su chi invece riesce a malapena a campare pascolando una manciata di capre, ovvero le forme di vita più adatte all’allevamento nelle zone semi-desertiche. E questo accade da millenni, mica solo oggi.
La formazione del deserto del Sahara risale a circa settemila anni fa, mica dalla Rivoluzione Industriale. E con il Sahara si sono anche formate molte delle zone semi-desertiche che ancora oggi si osservano sul Pianeta. Del resto, anche le prolungate siccità che obbligarono i Mongoli di Gengis Khan a invadere mezzo Mondo si realizzarono durante il XII secolo. Un'epoca in cui non esisteva ancora l'effetto serra né si accusavano le bistecche di crimini contro l'Umanità.
 
La siccità caratterizza infatti da millenni ben precise fasce del Globo, le cui terre emerse sono coperte da aree desertiche in ragione del 30% del totale. Il problema della scarsità di cibo in quelle aree è quindi atavico e pertanto appare fuorviante pensare che rinunciando a un panino con la mortadella a Bologna si possa per incanto far materializzare in tavola una zuppa di legumi a un abitante del Darfur: che quel cibo venga digerito o infilato nella spazzatura, triste ammetterlo, poco cambia in termini globali.
 
Sicuramente, sprecare cibo è fatto vergognoso di per sé e l'idea che vi sia al Mondo chi ha troppo e chi ha niente non può che indignare. Ma è proprio la società moderna a creare le condizioni perché ciò accada. Se un’albicocca deve essere raccolta da un agricoltore di Forlì per giungere sulle tavole di qualche impiegato genovese, quel frutto deve attraversare una lunga serie di vicissitudini che spesso non lo fanno arrivare integro a destinazione. Quando la popolazione era fortemente rurale, invece, di sprechi ve ne erano ben pochi, anche grazie alle catene molto corte di trasporto dei cibi. Ma era anche l’epoca in cui le aspettative di vita erano mediamente inferiori di circa il 50% rispetto alle attuali (vedi figura 1)
 Fig. 1: andamenti dei consumi di proteine animali, altezza media e aspettative di vita in Italia

Per combattere la fame nel Terzo Mondo, si dovrà quindi fare in modo che le produzioni locali di cibo diventino per lo meno sufficienti. Forse in quei Paesi non si potranno mai allevare bovine da latte o maiali da ingrasso, come avviene nel Cremonese, Provincia baciata dall’Adda e dal Po. Per gli stessi motivi, probabilmente, non si potrà godere nemmeno di bistecche alla fiorentina, né di formaggi o salumi tipici. Perché dove di acqua non ce n'è - e dove imperversano patologie fungine e parassiti a livelli di piaga biblica - tali forme di agricoltura intensiva e di zootecnia sono da considerarsi follia.
Con buona pace delle calcolatrici da taschino e di chi ne fa un uso improprio parlando di fame nel Mondo.