La chimica per lo sviluppo sostenibile del pianeta è stato il tema del convegno internazionale tenuto a Melbourne dal 4 all'8 luglio ed organizzato dalla Iupac - International union of pure and applied chemistry, la madre della tavola periodica, della nomenclatura, dei pesi atomici e della chimica pura.
A Melbourne più di mille partecipanti soprattutto da America, Australia ed Asia hanno partecipato a cinque giorni di lavoro con più di cento sessioni, ridando vita alle ricerche chimiche che sono e saranno alla base delle nuove tecnologie agricole da adottare nei prossimi anni.
Tra gli invitati il professor Marco Trevisan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha presentato le ricerche fatte in Italia nel campo della modellistica applicata alla definizione delle aree vulnerabili, ed Ettore Capri del Centro di ricerche OPERA della stessa Università che ha organizzato una sessione sulla mitigazione del rischio.
Proprio a proposito di questa sessione sono state trattate In particolare, le applicazioni territoriali di tecniche sostenibili alle più moderne produzioni agrarie e lo sviluppo di infrastrutture biologiche da impiegare nelle aziende agrarie per raggiungere obbiettiviti di sostenibilità.
Tre i messaggi chiave che i nostri ricercatori portano a casa.
Per risolvere la sfida ai cambiamenti climatici, alle richieste di alimenti della popolazione in crescita, ai crescenti danni dovuti ad emergenti fattori abiotici e biotici (ad esempio nuovi parassiti e fenomeni di desertificazione) sono necessarie migliori efficienze produttive, maggiore adattabilità, resistenza e resilienza agli stress ambientali.
La soluzione si conferma nelle biotecnologie, meglio parlare di biotecnologie integrate avanzate. Cosa sono? Quelle sviluppate grazie al contributo della chimica e della biologia pura ed applicata. Biotecnologie funzionali alla nuova agricoltura sostenibile che solo laboratori internazionali di avanguardia sono in grado di realizzare.
Le sostanze chimiche utilizzate in agricoltura, soprattutto i fertilizzanti (principale causa dei gas serra) e gli agrofarmaci, per l’attività ambientale ed eco-tossicologica, devono essere prodotti in formato green. In altre parole, vanno ridotti al minimo i costi energetici e gli impatti ambientali del processo di produzione delle tecnologie chimiche, compreso i componenti dei formulati, e durante tutto il loro ciclo di vita (trasporto, uso e gestione dei residui). Perché no, riportati in etichetta.
E’ necessario massimizzare le opportunità e le implicazioni di questi cambiamenti. I costi per lo sviluppo e l’autorizzazione di queste tecnologie deve trovare un riscontro di mercato che troppo spesso manca, a causa di politiche interne restrittive, di scorrette politiche agrarie e di un mercato poco trasparente ed incerto.
Anche le più semplici infrastrutture verdi da realizzare nelle aziende, l’uso delle fasce tampone, l’uso di nuovi formulati a basso impatto ambientale, richiedono riconoscimenti autorizzativi complessi ed incentivi sostenibili per l’agricoltore e per l’inventore.
L’agricoltura deve essere sostenibile ed ancora una volta la chimica è protagonista della rivoluzione agraria che in questo periodo storico ha ruolo centrale per risolvere i nuovi problemi di sviluppo sostenibile mondiale. Esigenza sociale ma anche imprenditoriale.
Gli investimenti partono soprattutto dalle grande imprese chimiche e di biotech, dalla politica e dall’economia reale, variabili guida dello sviluppo sostenibile del Pianeta. Solo in un ottica chiara di agribusiness, di ricerca applicata e mirata come quella presentata oltre oceano, è possibile l’innovazione necessaria a questo salto di qualità.
A cura del professor Ettore Capri, Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale - Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Sede di Piacenza)
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Fonte: OPERA - European Observatory on Pesticide Risk Analysis