Poco più di 500 giorni ci separano dal primo aprile 2015, giorno in cui le quote latte cesseranno di esistere. Una manciata di settimane per prepararsi ad una svolta che per il mondo degli allevamenti da latte sarà epocale. Da tempo ci si interroga sulle conseguenze, si tratteggiano i possibili scenari, si tenta di prevederne gli effetti. A questo tema, il 24 settembre, la Commissione europea ha dedicato un'intera giornata di studi. Con l'obiettivo di fornire dati, numeri e analisi da mettere a disposizione del mondo politico per orientarne le scelte. Sul tavolo, per comprendere la portata della discussione, documenti e studi di tecnici ed economisti per centinaia di pagine, ricche di schemi, diagrammi, tabelle e grafici da far impallidire una sessione di bilancio di una grande industria. Ma di una grande industria si parla quando c'è di mezzo il latte d'Europa. Oltre 140 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, per un importo di circa 50 miliardi di euro, contando solo il valore del latte alla stalla. E migliaia di addetti al settore, con un indotto enorme se dal latte si passa ai formaggi. Tanta attenzione al mondo del latte, dunque, è più che giustificata. Ma che si sono detti gli esperti riuniti a Bruxelles? Come sempre, quando si parla di economia, per di più facendo previsioni, non c'è una visione univoca. Tentarne una sintesi è impresa difficile. Di certo per il momento vi è solo la certezza che fra 70 settimane i soldi spesi per comprare quote latte saranno carta straccia. Denaro sonante sarà invece quello delle multe che gli allevatori continueranno a pagare sino all'ultima rata del loro debito, con l'ultima scadenza lontana di oltre venti anni.
Previsioni difficili
Queste le certezze. Più difficile è prevedere come reagirà il mercato e quali saranno le ripercussioni sul prezzo del latte. E poi che succederà alla produzione di latte della Ue? Continuerà a contrarsi come negli ultimi anni, o liberata dallo spauracchio delle multe prenderà a correre? Stando a talune previsioni presentate a Bruxelles non ci si attende un repentino aumento. Semmai una stabilizzazione. Ma ciò che più conta è come la produzione di latte in Europa si confronterà con il mercato mondiale del latte. Partiamo dalla produzione interna. I dati previsionali presentati a Bruxelles dicono che dal 2015 al 2022 la produzione di latte nei 28 Paesi della Ue, pur se con un progressivo aumento, non dovrebbe superare i 147 milioni di tonnellate per le consegne dirette. Dunque persino meno dei 150 milioni di tonnellate che oggi rappresentano il vincolo imposto dalle quote. La produzione complessiva, sempre con proiezione al 2022, si ferma poi a circa 160 milioni di tonnellate. Al contempo si assisterà ad una contrazione del numero di allevamenti mentre il numero di vacche da latte si manterrà costante intorno ai 23 milioni di capi. Il che si dovrebbe tradurre in un aumento del numero di capi allevati per azienda, cosa che almeno in teoria coincide con una maggiore efficienza aziendale ed una compressione dei costi di produzione.
Il latte nel mondo
Bisogna poi fare i conti con l'evoluzione a livello mondiale sia per la produzione sia per il consumo di prodotti lattiero caseari. Per i prodotti caseari ci sono forti possibilità di crescita dei consumi nei prossimi dieci anni (oltre il 60%) in Arabia Saudita, in Russia (+ 15%), negli Usa (+25%). Complessivamente il consumo di formaggi di qui al 2022 potrebbe crescere nel mondo per circa il 15%. Crescite ancora superiori sono poi attese per la domanda di burro e latte in polvere. In questo scenario il settore lattiero caseario della Ue vedrà aumentare le proprie esportazioni verso i paesi terzi, soprattutto nei comparti dei formaggi e del latte in polvere. Al contempo si ridurranno le importazioni. In questo scenario la produzione europea dovrebbe mantenersi competitiva in termini di prezzo. Una situazione dunque non dissimile da quella attuale dove il prezzo medio del latte nella Ue si colloca a 364 euro per tonnellate, al di sotto del prezzo mondiale, salito a 373 euro per tonnellata.
Passaggio indolore
Dunque nessuno “scossone” dal dopo quote. L'abolizione dei vincoli produttivi, semmai, potrebbe imprimere un impulso all'innovazione con effetti positivi sulla varietà e sul valore aggiunto dei prodotti caseari, che vedranno aumentare peraltro la quota di produzioni di alto valore. Questa l'opinione di alcuni dei ricercatori che hanno partecipato all'incontro. Ma bisognerà fare i conti con la forte volatilità del prezzo del latte, fortemente condizionato dagli andamenti produttivi di paesi come Nuova Zelanda e Australia, grandi esportatori. Altra variabile in campo è la forte diversità che contraddistingue l'Europa dei 28 e sono forti i timori che le prossime scelte in tema di politica agricola anziché smussare queste diversità ed equilibrare la competitività fra i diversi Paesi partner, possano al contrario accentuare le differenze, a vantaggio di alcuni e a danno di altri. Su questo fronte è fortemente impegnato il presidente della Comagri del Parlamento europeo, Paolo De Castro, che all'incontro di Bruxelles sugli scenari del dopo quote, ha ribadito fra l'altro l'impegno della commissione Agricoltura nel favorire il mantenimento della produzione lattiera nelle zone svantaggiate, nella montagna e nei territori ultra-periferici.