La genetica arriva in soccorso dei viticoltori. Con i vitigni resistenti le piante sono immuni da peronospora e oidio. AgroNotizie ha intervistato Eugenio Sartori, direttore generale dei Vivai cooperativi Rauscedo.

Sartori, che cos'è un vitigno resistente?
“E' un vitigno ottenuto attraverso ibridazione. Si incrocia una varietà di vinifera, come può essere il Sangiovese o il Cabernet, con un vitigno che è nato a sua volta da ibridazione e che ha nel suo Dna dei geni che sono interessanti per l'agricoltore”.

Interessanti in che senso?
“Possono ad esempio rendere una pianta meno sensibile agli stress idrici o ai cambiamenti climatici. Principalmente cerchiamo di rendere i vitigni resistenti alla peronospora e allo oidio, che sono le due malattie più temute dai viticoltori”.

Come funziona la creazione di questi vitigni resistenti?
“Dall'incrocio descritto prima si ottengono numerose piante, alcune delle quali sono resistenti. Dobbiamo quindi fare un lavoro di screening per capire quali viti sono portatrici dei geni resistenti e quali no. Ma dobbiamo anche selezionare quelle piante che diano dei risultati positivi dal punto di vista agronomico ed enologico”.

In che senso?
“Il vitigno resistente deve avere un legame dal punto di vista enologico con il suo parentale. Se io utilizzo un Sauvignon come genitore devo poi tenere in considerazione solo quegli incroci che siano sì resistenti, ma che ricordino anche il Sauvignon dal punto di vista organolettico”.

I vitigni resistenti sono già disponibili sul mercato?
“Certamente. Per il Veneto ed il Friuli, che hanno autorizzato la coltivazione, noi possiamo fornire le piantine. Abbiamo un catalogo di vitigni tra i quali scegliere quello che meglio si adatta alle condizioni pedoclimatiche del luogo”.

Quale può essere il risparmio dal punto di vista economico per un agricoltore che impianta un vitigno resistente?
“Nel Nord-Est si fanno tredici trattamenti all'anno contro la peronospora e l'oidio. Il costo unitario dei soli prodotti utilizzati è di circa 45 euro, senza contare manodopera e macchinari. In un anno il risparmio è consistente: superiore ai mille euro. Ma non è tutto”.

In che senso?
“Ci sono ricadute positive anche sull'ambiente, visto che si utilizzano meno prodotti. E anche il terreno nell'interfila ne risente positivamente. Se si è in una zona collinare, in cui si deve inerbire, non entrare con il trattore ha il grande vantaggio di lasciare un cotico erboso più forte”.

A livello legislativo bisogna chiedere autorizzazioni speciali?
“Ogni Regione dovrebbe fare delle prove in campo prima di dare l'autorizzazione all'impianto. Ma una Regione può anche validare i test fatti in un'altra Regione e quindi autorizzare la coltivazione. E' chiaro che se ogni amministrazione vuole fare tutte le prove i tempi si allungano”.

Il miglioramento genetico viene fatto solo attraverso l'incrocio o anche attraverso la cisgenesi e il genome editing?
“Per adesso viene fatto attraverso l'incrocio. E' possibile farlo anche attraverso le altre tecniche, ma richiede più tempo. Con la cisgenesi ad esempio riusciamo ad introdurre nelle cellule di una vite solo i geni che sono interessanti, ma poi c'è tutta una fase di ottenimento della plantula del nuovo vitigno, che richiede tempo. A questo processo si aggiungono anche le prove in campo, dove bisogna aspettare che le viti perdano la fase giovanile. Ci vogliono 12-13 anni, non meno”.    


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