Non a tutti piacciono, per via dell'odore intenso che emanano durante la cottura (e anche dopo). Qualcun altro invece le adora e ha studiato mille modi per cucinarle. Sono le brassicacee o crucifere, alcune delle quali da considerarsi infestanti e se del caso diserbate quando crescano in campi adibiti ad altre colture. Un esempio su tutti, la senape selvatica.
Lungo i banconi dei supermercati, invece, si perdono a vista d'occhio cavoli d'ogni tipo, a partire dai cavolfiori, proseguendo con il cavolo cappuccio, ottimo anche crudo in insalata. Si passa poi alle verze, alla base di molteplici ricette un tempo considerate povere, al pari dei broccoli.
Un must di alcune preparazioni culinarie del Sud Italia sono invece le cime di rapa, terminando con i particolarissimi cavolini di Bruxelles. Solo per citare i più frequenti. Senza dimenticare che anche la rucola è di fatto appartenente a questa famiglia.
La nutrizione del cavolfiore
Il cavolfiore, per esempio, mostra esigenze nutrizionali intorno agli 80-85 chilogrammi per ettaro di azoto, 50-55 di fosforo (P2O5) e 120-130 di potassio (K2O). Questo esprimendo i dati in forma di asporti per ettaro a fronte di una produzione media di infiorescenze intorno alle 30 tonnellate.
Questa coltura è inoltre molto esigente quanto ad apporti di calcio e di zolfo, analogamente a tutte le crucifere, dal momento che tale elemento è necessario alla formazione dei composti solforati, i glucosinolati.
Le esigenze di queste colture per lo zolfo, incluso quindi il cavolfiore, sono molto simili fra le diverse specie, rientrando generalmente in un range fra i 30 e i 45 chilogrammi per ettaro.
Eccessi e carenze
Per contro, queste colture temono gli eccessi d'azoto, soprattutto il cavolfiore, dal momento che tali eccessi causano deprezzamenti qualitativi delle infiorescenze. Da evitare però anche le carenze, causa di taglie ridotte delle piante e di colorazione pallida delle foglie.
Le carenze di fosforo e di potassio provocano invece colorazioni anomale delle foglie, diverse da specie a specie. Per esempio le foglie delle rape in carenza di fosforo assumono un colore rosso, mentre diventano verdi-bluastre in caso di carenze di potassio.
Anche i microelementi, se deficitari, possono arrecare sintomi diversi: per esempio le carenze di boro sono rilevabili sotto forma di deformazioni del fusto, la cui parte interna diventa nera fino a degenerare in cavità. Le foglie bollose e deformate sono invece indizio di carenze di molibdeno.
Attenzione ai nitrati
Massima attenzione va però prestata alla tendenza delle brassicacee ad accumulare nitrati nelle parti eduli, soprattutto nelle fasi finali del ciclo produttivo, toccando livelli elevati che possono rivelarsi nell'ordine dei pochi grammi per chilo di peso fresco.
Bene quindi non forzare la nutrizione con tale elemento, sia per i succitati motivi di equilibrio vegeto-produttivo, sia per minimizzare i residui in nitrati alla raccolta.
La concimazione organica
Di base, una buona disponibilità di sostanza organica è sempre da garantire a queste colture. Anche perché in essa vi sono appunto quelle scorte di zolfo che poi serviranno alle piante per esprimere al meglio le proprie peculiarità organolettiche.
Oltre alla concimazione organica di fondo, possono poi essere somministrati anche concimi potassici e fosforici che contengano anche zolfo. Per esempio, il solfato di potassio permette di apportare un numero quasi uguale di unità fertilizzanti dei due elementi. Medesima considerazione per il solfato ammonico, utile in special modo in presenza di terreni calcarei.
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Fonte: AgroNotizie