Il vigneto, come tutti gli impianti arborei, lascia ampio spazio alla crescita del manto erboso in quanto la superficie occupata dalle viti è estremamente limitata. Tuttavia, un inerbimento incontrollato del terreno ha un impatto assai negativo sulla produttività dell'impianto e ha ripercussioni sulla gestione fitosanitaria e sulla percorribilità dei filari da parte dei mezzi agricoli.
Per queste ragioni la gestione delle infestanti è di fondamentale importanza e permette di produrre uve sane e di qualità. Tale gestione è tuttavia influenzata da differenti fattori e nel corso degli anni ha subìto una certa evoluzione. Nel presente articolo vedremo prima di tutto quali sono le principali infestanti in vigneto, successivamente parleremo di diserbo chimico, meccanico, e dell'inerbimento controllato. Infine vedremo quali approcci vengono adottati nei diversi areali di coltivazione.
Sommario:
La flora spontanea in vigneto
Le specie che popolano i vigneti italiani sono moltissime e la loro presenza varia grandemente a seconda dell'areale, della tipologia di suolo e della sua gestione. Ma anche all'interno di uno stesso appezzamento possono esserci importanti differenze nella composizione del manto erboso.
La flora spontanea compete con le viti per l'acqua e i nutrienti, ma risulta anche d'intralcio per le operazioni colturali quando cresce eccessivamente d'altezza. Inoltre alcune essenze possono produrre sostanze allelopatiche, nonché essere ricettacolo di insetti, virus e fitoplasmi potenzialmente dannosi per le viti. È il caso dell'ortica e del vilucchio, che ospitano Hyalesthes obsoletus, vettore del fitoplasma del legno nero.
Fatte queste premesse, è indubbio che la scelta della tipologia di gestione del manto erboso dipenda dalla sua composizione.
Vediamo dunque quali sono le specie di principale interesse in vigneto:
- Amaranto (Amaranthus retroflexus). È una pianta annuale, con ciclo primaverile-autunnale, che può raggiungere anche grandi dimensioni. Ogni pianta può produrre anche più di 100mila semi e può ospitare l'agente patogeno del legno nero.
Amaranto
(Fonte foto: Andrea Moro, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste)
- Aspraggine volgare (Picris echioides). Nasce alla fine dell'inverno e si riproduce in piena estate. Pianta annuale, può ospitare H. obsoletus, vettore del legno nero.
- Assenzio selvatico (Artemisia vulgaris). Pianta perenne, con fusto eretto. Nasce in primavera inoltrata e fiorisce in piena estate. Può ospitare il fitoplasma del legno nero.
- Cardo campestre (Cirsium arvense). Chiamata anche stoppione, questa specie non si riproduce quasi mai per seme, ma per gemme radicali. Può ospitare il fitoplasma del legno nero.
Cirsium arvense
(Fonte foto: Andrea Moro, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste)
- Cinquefoglie comune (Potentilla reptans). Può vegetare tutto l'anno, ma ha il maggior sviluppo in primavera-estate. Non si propaga per seme, ma i fusti principali crescono strisciando sul terreno e radicano ai nodi, dai quali crescono nuove piante.
- Correggiola (Polygonum aviculare). Nasce tra l'inverno e la primavera, mentre dissemina in estate. Può produrre 6mila semi per pianta, molto appetibili per gli uccelli.
- Euforbia (Euphorbia spp.). Pianta con foglie grassocce, produce dei frutti all'interno dei quali sono contenuti tre semi con un callo alla base apprezzato dalle formiche, che trasportano così i semi anche per lunghe distanze.
- Farinello (Chenopodium album). Piana annuale con ciclo primaverile-autunnale, può produrre anche 70mila semi e ospita il fitoplasma del legno nero.
Chenopodium album
(Fonte foto: Andrea Moro, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste)
- Stellaria (Stellaria media). Chiamata anche centocchio, nasce in autunno ma si trova anche in altre stagioni in quanto ha un ciclo breve. Può produrre 3mila semi per pianta.
- Bromo (Bromus spp.). Pianta graminacea con ciclo autunno vernino, dopo la fioritura avvizzisce e viene sopraffatta da altre specie.
- Gramigna comune (Cynodon dactylon). Si diffonde principalmente attraverso rizomi sotterranei e stoloni superficiali praticamente tutto l'anno. Ha un'alta capacità infestante.
- Loglio (Lolium spp.). Graminacea autunno vernina, ha carattere annuale se viene eliminata con diserbo chimico o meccanico, mentre se sfalciata ributta anno dopo anno dal cespo. L'uso ripetuto del glifosate ha portato alla selezione di popolazioni resistenti.
Loglio
(Fonte foto: Andrea Moro, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste)
- Malva selvatica (Malva sylvestris). Nasce a fine inverno e fiorisce in estate. Può ospitare il legno nero.
- Ortica comune (Urtica dioica). Particolarmente dannosa nei vigneti in quanto tra le radici sverna l'insetto vettore del legno nero.
- Orzo selvatico (Hordeum murinum). Graminacea autunno vernina, si riproduce per seme e spesso fa parte dei miscugli seminati appositamente per il sovescio, insieme alla veccia e al loietto.
- Setaria (Setaria spp.). O pabbio, produce fino a 20mila semi per pianta e si sviluppa durante l'estate. Può presentare l'agente del legno nero.
- Piantaggine (Plantago spp.). Le gemme possono ricacciare durante tutto l'anno. La pianta può ospitare il fitoplasma del legno nero e il suo portamento radente al suolo ha un effetto tappezzante.
- Portulaca (Portulaca oleracea). Pianta grassoccia, con portamento strisciante, può produrre oltre 50mila semi. Cresce anche nelle condizioni più difficili, con terreni poveri e secchi.
- Seppola canadese (Conyza canadensis). La specie si riproduce per seme, nasce in primavera e dissemina da giugno ad ottobre. Può raggiungere altezze elevate, rendendo difficoltosa la vendemmia, e può avere andamento pluriennale. Particolarmente critica in quanto ci sono ampie popolazioni di seppola resistenti a glifosate.
Erigeron canadensis
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
- Dente di leone (Taraxacum officinale). Presente nei vigneti tutto l'anno, è visitato dall'insetto vettore del fitoplasma del legno nero.
- Veronica comune (Veronica persica). Pianta a portamento strisciante e ciclo breve, è presente tutto l'anno e può compiere anche due, tre generazioni.
- Vilucchio comune (Convolvulus arvensis). Il fusto avvolgente si arrampica sulle viti intralciando le operazioni colturali. Inoltre è visitata dal vettore del fitoplasma del legno nero. Presente tutto l'anno, esplode in estate e autunno.
Convolvulus arvensis
(Fonte foto: Andrea Moro, Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste)
Il diserbo chimico del vigneto
Se in passato, soprattutto nel Nord Italia, era comune affidare la gestione della flora spontanea completamente agli erbicidi, oggi il loro uso è molto diminuito. Questo perché l'opinione pubblica e il legislatore scoraggiano l'impiego delle molecole di sintesi e perché vi è stata un'ampia diffusione dell'approccio biologico. A complicare la situazione c'è stata l'emersione di popolazioni resistenti (ad esempio di loietto e coniza), che rendono il controllo chimico assai difficoltoso.
Dunque il diserbo chimico oggi si limita spesso al sottofila, in quanto più sicuro per la vite rispetto alle lavorazioni meccaniche. Lavorazioni del terreno nel sottofila possono infatti danneggiare l'apparato radicale e il ceppo, mentre l'applicazione di erbicidi rispetta maggiormente la vite.
Per semplificare possiamo distinguere tra erbicidi di pre emergenza (delle infestanti) e di post emergenza.
Tra i post emergenza ad azione sistemica dobbiamo ricordare il glifosate, la molecola in assoluto più utilizzata in quanto in grado di controllare qualunque pianta infestante ad un costo contenuto. Il glifosate tuttavia ha subìto pesanti limitazioni d'impiego da parte dei disciplinari regionali. Inoltre, il suo uso ripetuto e poco accorto ha causato negli anni la selezione di popolazioni resistenti, come ad esempio di loietto e di seppola canadese.
Un esemplare di Erigeron canadensis
(Fonte foto: AgroNotizie®)
Tra gli erbicidi di post emergenza possiamo citare i dicotiledonicidi carfentrazone e piraflufen-etile. Mentre tra i graminicidi: ciclossidim, cletodim, quizalofop-etile, propaquizafop e fluazifop-p-butile.
Tra gli erbicidi di pre emergenza (residuali o antigerminello) troviamo: flazasulfuron, pendimetalin, propizamide, isoxaben e oxifluorfen che hanno effetto graminicida e dicotiledonicida. Specifico contro le dicotiledoni c'è invece il diflufenican.
Tra le sostanze che invece hanno anche un effetto spollonante possiamo citare: carfentrazone, piraflufen-etile e l'acido pelargonico. Quest'ultimo ha attirato l'attenzione di molti agricoltori in quanto di origine naturale. Tuttavia il suo costo elevato e la necessità di ripetute applicazioni non stanno favorendo la sua diffusione.
Le strategie di diserbo sono molto variabili e dipendono dall'areale e dalla flora spontanea presente in campo. Nonché dai disciplinari di produzione integrata o da quelli delle denominazioni d'origine. Se in passato ci si affidava a due applicazioni di glifosate su tutta la superficie, oggi si tende ad effettuare due trattamenti con molecole alternative: tra febbraio e marzo con sostanze attive ad azione residuale e poi in maggio con prodotti che abbiano anche un effetto spollonante.
Il sottofila di un vigneto con presenza di loietto e Conyza canadensis
(Fonte foto: AgroNotizie®)
Nei casi di malerbe difficili da gestire, si può intervenire anche con un'applicazione autunnale con un prodotto sistemico e poi in primavera con uno, due trattamenti specifici, il primo con focus le graminacee e il secondo più ad ampio spettro e con funzione spollonante.
Riassumendo, gli aspetti positivi del diserbo chimico sono i seguenti:
- Facilità e velocità di esecuzione.
- Controllo ottimale (se non ci sono resistenze) con pochi interventi.
- Risparmio in termini di gasolio (rispetto allo sfalcio o alle lavorazioni del suolo).
- Ridotta competizione per l'acqua tra coltura e flora spontanea.
- Eliminazione della suola di lavorazione.
- Salvaguardia dei ceppi della vite.
- Minore diffusione di patogeni e malattie.
Mentre gli aspetti negativi del diserbo chimico sono:
- Impatto ambientale potenzialmente elevato.
- Selezione di popolazioni resistenti.
- Il diserbo chimico porta la vite (a seconda del portinnesto) a svilupparsi più superficialmente esponendo l'organismo a stress idrici e di calore.
- Compattazione del terreno.
- Minore accumulo di sostanza organica e quindi minore vitalità del suolo.
Il diserbo meccanico del vigneto
Il diserbo meccanico è tra le pratiche più diffuse in Italia, sicuramente la più diffusa al Centro Sud. Consiste in lavorazioni superficiali del terreno (non più di 20 centimetri), come arature leggere, zappature o fresature, che eliminano le piante sia dall'interfila che dal sottofila. In questo ultimo caso devono essere usate attrezzature con meccanismi di rientro che tutelino, per quanto possibile, i ceppi.
Aspetti positivi del diserbo meccanico sono:
- Eliminazione delle piante infestanti senza l'impiego di agrofarmaci di sintesi, sempre meno accettati da opinione pubblica e legislatore.
- Rompendo lo strato superficiale di suolo si impedisce la risalita capillare dell'acqua e si preserva la risorsa idrica.
- Indispensabile per incorporare i concimi e per effettuare il sovescio.
- Si favorisce l'infiltrazione dell'acqua piovana.
Mentre tra gli aspetti negativi troviamo:
- Il terreno, rivoltato ed esposto all'aria, va incontro ad una ossidazione dei materiali vegetali e dunque ad una perdita di fertilità, nonché della anidride carbonica stoccata.
- L'affinamento del terreno favorisce l'erosione, con perdita dello strato superficiale del suolo, specialmente se si tratta di vigneti in pendenza.
- Le lavorazioni del terreno causano un anomalo scambio gassoso nel suolo, favorendo fenomeni di asfissia radicale e di mancato assorbimento del potassio. Anche la clorosi ferrica è più frequente nei terreni lavorati, specie se calcarei.
- Vi è un consumo elevato di gasolio dovuto alle ripetute lavorazioni necessarie per controllare il cotico erboso, specie nei climi più piovosi.
Come quello chimico, anche il diserbo meccanico ha alcuni vantaggi e svantaggi
(Fonte foto: © Santiago - Adobe Stock)
L'inerbimento controllato dell'interfila del vigneto
La pratica di lasciare inerbita l'interfila, procedendo solamente con lo sfalcio, è una pratica di recente introduzione che ben si sposa con climi freschi e piovosi. L'inerbimento prevede una copertura vegetale del terreno tutto l'anno, senza che vengano effettuate lavorazioni del suolo o venga applicato alcun erbicida.
È una pratica che ha un impatto positivo sull'ambiente e dunque aumenta la sostenibilità dell'agroecosistema (tanto che viene sostenuta economicamente dalla Politica Agricola Comune). Il cotico erboso infatti ospita insetti (benefici e non) e migliora la fertilità del terreno, nonché la sua resistenza al passaggio dei mezzi agricoli. Inoltre impedisce l'erosione del suolo e la biomassa vegetale presente sotto la superficie rappresenta un importante area di sequestro dell'anidride carbonica.
Di contro, un terreno inerbito consuma molta acqua e dunque questa tecnica può essere adottata solamente in quegli areali dove le piogge primaverili-estive non rischiano di mandare le viti in stress idrico. Di norma, il limite di piovosità stabilito per rendere questo approccio sostenibile è di 700 millimetri all'anno.
Altro aspetto negativo dell'inerbimento è il fatto che le piante possono essere ricettacolo di insetti vettori di virus e fitoplasmi. Per questa ragione di solito si tende a seminare essenze note, capaci di esplicare tutti gli effetti benefici dell'inerbimento, riducendo al minimo quelli sgraditi.
La pratica di lasciare inerbita l'interfila, procedendo solamente con lo sfalcio, è una pratica di recente introduzione che ben si sposa con climi freschi e piovosi
(Fonte foto: © babaroga - Adobe Stock)
Se l'interfila viene lasciata inerbita, il sottofila viene invece diserbato attraverso trattamenti chimici oppure con lavorazioni del terreno. È utile poi lasciare al suolo i residui vegetali, che hanno una funzione pacciamante e contrastano l'evaporazione dell'acqua. Inoltre si stanno sviluppando delle macchine in grado di convogliare i residui vegetali nel sottofila, così da creare uno strato pacciamante.
Un miscuglio da inerbimento ideale dovrebbe avere queste caratteristiche: veloce insediamento, bassa taglia, buona fittezza del cotico, scarso vigore, scarsa crescita durante i mesi estivi, persistenza nel tempo e resistenza al calpestamento.
La rullatura del cotico erboso nell'interfila permette di creare uno strato pacciamante al suolo (anche se non interrando i residui si perde l'effetto del sovescio)
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
La composizione del miscuglio deve poi essere adattata alla tessitura del terreno e alla pluviometria. Nel Nord Italia, su terreni pesanti, è da preferire la Poa pratensis, il Lolium perenne e la Festuca rubra. Mentre se ci si sposta al Sud, specie con terreni più ricchi di scheletro, sono da prediligere la Festuca ovina, la Festuca rubra commutata e l'Agrostis tenuis. Mentre la Festuca rubra è ideale in tutte le condizioni tra questi due estremi (quindi in terreni a medio impasto e con precipitazioni medie).
Per arricchire il suolo di composti azotati sono poi da prediligere le leguminose, come ad esempio i trifogli sotterranei, in grado di rigenerarsi anno dopo anno. Buone esperienze sono state ottenute con Trifolium brachycalycinum e T. subterraneum.
L'inerbimento può essere circoscritto al periodo invernale per poi essere destinato al sovescio. In questo caso si possono usare miscugli contenenti graminacee (orzo, grano, avena, loiessa, eccetera), leguminose (veccia, favino, trifoglio, eccetera) e crucifere (senape e colza).
L'inerbimento dell'interfila di un vigneto effettuato con la semina di un miscuglio a prevalenza di graminacee
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
La gestione integrata delle infestanti in vigneto
Risulta sempre più evidente come non ci sia un approccio univoco alla gestione delle malerbe in vigneto. Occorre invece adottare un approccio integrato, che sfrutti cioè tutte le tecniche oggi a disposizione degli agricoltori per avere un controllo ottimale delle erbe spontanee.
I fattori da tenere in considerazione nella scelta della strategia sono:
- Tipologia di terreno. Ad esempio terreni soggetti a fenomeni erosivi non dovrebbero essere lavorati, come anche i terreni calcarei in quanto predisponenti alla clorosi ferrica.
- Pendenza. I terreni in pendenza, come quelli collinari, sono a maggiore rischio di erosione e dunque sarebbe da preferire l'inerbimento.
- Pluviometria. Negli areali del Sud Italia, dove le precipitazioni sono scarse, si prediligono le lavorazioni meccaniche in quanto rompono la risalita capillare dell'acqua ed eliminano la competizione delle malerbe.
- Fertilità del suolo. L'inerbimento è da preferire in suoli fertili, in modo che non vi sia competizione per i nutrienti.
- Vigorìa del vitigno. Piante particolarmente vigorose possono giovarsi della competizione con le erbe spontanee. Un suolo inerbito è dunque preferibile in terreni pesanti e pianeggianti, come quelli della Pianura Padana, come anche nella parte bassa dei vigneti in collina.
- Criticità fitosanitarie. In areali in cui l'incidenza di malattie come il legno nero o la flavescenza dorata è elevata, è consigliabile una gestione particolarmente accorta del manto erboso.
- Supporto pubblico. Sulla bilancia devono anche essere messi eventuali incentivi pubblici, legati a Pac e Psr.
- Accettazione sociale. In aree viticole vocate al turismo molti agricoltori preferiscono non usare erbicidi perché lasciano "strisciate" di erbe bruciate poco apprezzate dai turisti, che invece prediligono suoli inerbiti e fioriti.
Dunque, prevedere strategie che uniscono differenti tecniche è da preferire. Un approccio può ad esempio prevedere l'inerbimento dell'interfila e invece lavorazioni del terreno nel sottofila oppure il diserbo chimico. O ancora, l'inerbimento con essenze da sovescio durante l'inverno e poi l'interramento in primavera, con successive lavorazioni superficiali del suolo durante la stagione calda. Oppure, come si vede spesso in aree come la Toscana, l'inerbimento a file alterne (con rotazione annuale) e lavorazioni del suolo nel sottofila.
Il diserbo del vigneto nel Nord Italia
Nelle regioni del Nord Italia per molto tempo la gestione della flora spontanea è stata affidata all'impiego di erbicidi. Tuttavia negli ultimi anni, a causa soprattutto delle restrizioni normative e all'emersione di popolazioni resistenti, l'approccio è andato modificandosi.
Accanto al diserbo chimico è ormai preponderante lo sfalcio dell'interfila abbinato al diserbo o a lavorazioni meccaniche nel sottofila. L'inerbimento del terreno, con la permanenza al suolo dei residui vegetali, offre tutti i vantaggi che abbiamo descritto precedentemente. Mentre il diserbo del sottofila, chimico o meccanico, assicura l'agevole gestione della parete fogliare.
Le lavorazioni meccaniche nell'interfila sono invece ancora poco diffuse, poiché si vuole assicurare la carreggiabilità in primavera per l'applicazione di prodotti fitosanitari. In alcune aree del Paese, come ad esempio in Toscana, molte aziende effettuano lavorazioni alternate dell'interfila: una fila sì e una no, in modo da poter sempre entrare all'interno del vigneto per i trattamenti fitosanitari.
Un vigneto in Emilia Romagna gestito con sfalcio dell'interfila e diserbo chimico del sottofila
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Il diserbo del vigneto nel Sud Italia
Le caratteristiche pedoclimatiche degli areali vocati alla viticoltura nel Sud Italia hanno portato all'affermarsi di un modello basato sulle lavorazioni del terreno sia nel sottofila che nell'interfila. A causa delle scarse piogge che cadono specialmente durante il periodo estivo, nel Meridione si preferisce lavorare il terreno per impedire la competizione idrica tra vite e cotico erboso, nonché per rompere lo strato superficiale del terreno e dunque impedire la risalita capillare dell'acqua. Così facendo si preserva meglio l'umidità presente nel sottosuolo e quindi si contribuisce ad un bilancio idrico positivo della coltura.
Solitamente durante l'inverno il terreno viene lasciato coperto, mentre le prime lavorazioni si hanno ad inizio primavera, nei mesi di marzo-aprile, in concomitanza con la ripresa vegetativa e l'applicazione in campo dei primi concimi che necessitano di essere interrati. Si prosegue poi con lavorazioni periodiche del suolo ogni qual volta la flora spontanea raggiunga un livello tale di crescita da rendere necessario l'intervento (nel peggiore dei casi una volta al mese).
Durante i mesi estivi, complice il caldo intenso e la carenza di acqua, il suolo non viene lavorato perché non ci sono le condizioni di sviluppo delle infestanti. Nei vigenti irrigui invece l'agricoltore può essere costretto ad intervenire, specialmente nel sottofila, per eliminare la flora che si giova dell'apporto idrico artificiale.
Negli ultimi anni sta poi prendendo piede la pratica del sovescio. In autunno vengono seminate essenze quali loietto e veccia, che crescendo durante l'inverno e la primavera vengono poi interrate alla ripresa vegetativa, apportando sostanza organica al vigneto.
Nel Sud Italia il diserbo chimico risulta invece assai poco diffuso e si limita a casi particolari, come impianti posti su terrazzamenti e quindi poco meccanizzabili.
Vantaggi e svantaggi delle diverse tecniche di gestione della flora spontanea infestante i vigneti
(Fonte foto: Coltura&Cultura)
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