Cresce il numero di viticoltori che sono interessati ai vitigni cosiddetti resistenti. Piante che possiedono dei geni di resistenza che le rendono non suscettibili ad alcuni patogeni, come ad esempio oidio e peronospora. Si tratta di vitigni che permetterebbero di avere una viticoltura più sostenibile, poiché richiedono pochi trattamenti, con importanti risparmi economici per il viticoltore, e che comunque esprimono uve il cui mercato sta crescendo.

 

Le viti non sono tuttavia resistenti a tutti i patogeni, come qualcuno potrebbe pensare, ma a singole malattie e ad oggi solo l'oidio e la peronospora sono controllate. Inoltre, è bene dirlo, un vigneto resistente necessita in ogni caso di alcuni trattamenti fitosanitari all'anno, sia per abbattere la pressione del fungo sulla coltura, evitando che si selezionino ceppi in grado di superare le resistenze, sia per controllare patogeni secondari, come il black rot e l'escoriosi.

 

La difesa genetica, istruzioni per l'uso

Dopo l'arrivo della peronospora in Europa dal Nord America, i viticoltori del Vecchio Continente si misero immediatamente a selezionare nuovi vitigni incrociando varietà di Vitis vinifera con varietà di vite americana (Vitis rupestris). Viti che si sono coevolute con il fungo e che quindi hanno sviluppato dei geni di resistenza.

 

Esistono differenti geni di resistenza in natura. Alcuni impediscono al patogeno di svilupparsi a scapito dei tessuti vegetali. Altri invece permettono alla pianta di riconoscere il fungo e portano alla morte le cellule intorno al micete, facendo terra bruciata e quindi impedendo il diffondersi dell'infezione.

 

Oggi esistono vitigni che portano con sé quattro geni di resistenza, due a peronospora e due ad oidio, e riescono comunque a mantenere un profilo organolettico soddisfacente. Sono vitigni con quattro geni di resistenza Bronner, Cabernet Cortis, Artaban, Floreal e Pinot Iskra. Altri vitigni, come Solaris, Pannonia, Soreli hanno due geni di resistenza alla peronospora e uno all'oidio, mentre il Johanniter ha due geni di resistenza all'oidio e uno solo alla peronospora.

 

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I plus della resistenza multipla

Ma qual è lo scopo di avere più di un gene di resistenza? Il fatto è che riproducendosi la peronospora, come l'oidio, può subire delle mutazioni che le permettono di superare le barriere della vite. Un po' come accade con i virus per l'uomo, che mutando possono aggirare i vaccini abbassandone l'efficacia.

 

Avere due geni di resistenza permette al viticoltore di avere una sicurezza in più. Perché se è possibile che un fungo superi un gene di resistenza, è improbabile che ne oltrepassi due. La bravura del breeder sta nella capacità di ottenere vitigni multiresistenti che allo stesso tempo conservino i tratti distintivi del progenitore "nobile" da cui discendono.

 

La necessità dei trattamenti

Come dicevamo, alcuni agricoltori ritengono che un vitigno resistente non necessiti di alcun tipo di difesa. Questo non è corretto. Alcuni trattamenti, da uno a tre, sono comunque necessari per mantenere bassa la pressione del patogeno ed evitare quindi che si selezionino dei ceppi in grado di superare le barriere genetiche della vite. Questo è ancora più vero per quei vitigni che sono in possesso di un solo gene di resistenza.

 

Inoltre è necessario approntare una difesa fitosanitaria anche per controllare quei patogeni, come black rot ed escoriosi, che normalmente vengono controllati dalle strategie di difesa contro oidio e peronospora.

Questi trattamenti non sono da prendere sottogamba, visto che un vigneto resistente in cui si insedia un ceppo capace di superare le resistenze diventa di fatto suscettibile e deve dunque essere oggetto di normali strategie di difesa.

 

Non solo, se si dovesse selezionare un ceppo resistente e dovesse poi diffondersi ad altri vigneti, in cui magari sono presenti vitigni con due geni di resistenza (di cui uno già superato), sarebbe possibile nel tempo la selezione di un ulteriore ceppo in grado di superare entrambe le resistenze. Decine di anni di ricerca diventerebbero quindi inutili e per il viticoltore crescerebbero i costi della difesa.

 

L'esperienza del Lazio con i vitigni resistenti

I vitigni resistenti ottenuti tramite incrocio rappresentano oggi uno strumento interessante per rendere la viticoltura maggiormente sostenibile, come richiede d'altronde anche l'Unione Europea. L'area del Triveneto, della Lombardia e dell'Emilia Romagna è quella più avanti sia per quanto riguarda la selezione di vitigni resistenti, sia nel percorso autorizzativo che porta nuove varietà ad essere impiantabili.

 

Ma è interessante anche la sperimentazione che si sta svolgendo nella Regione Lazio, dove Arsial, insieme al Crea, sta testando in campo cinque varietà resistenti a bacca bianca (Fleurtai, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos e Soreli) e cinque a bacca nera (Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Julius, Merlot Kanthus e Merlot Khorus). L'obiettivo è sperimentare l'adattabilità di questi vitigni nel territorio laziale e procedere con le microvinificazioni al fine di ottenere l'autorizzazione regionale all'impianto.

 

"Dalle prove effettuate posso dire che c'è un'ottima resistenza di questi vitigni. Alcuni hanno avuto la necessità di appena un trattamento, mentre altri di tre, ma sicuramente hanno avuto performance molto più positive rispetto al testimone, rappresentato da varietà quali il Trebbiano Toscano e il Sangiovese", ci spiega Giovanni Pica di Arsial, che ha condotto le sperimentazioni.

 

Guardando ai numeri della sperimentazione si può notare come il Trebbiano abbia avuto una incidenza di oidio su grappolo pari al 95% sul non trattato, del 56% con due trattamenti e dell'11% con tre trattamenti. Il Fleurtai e il Sauvignon Nepis non hanno avuto attacchi, il Soreli rispettivamente il 36%, il 20% e l'. Il Sauvignon Kretos il 58% sul non trattato, il 26% dopo due trattamenti e il 2% dopo tre trattamenti. Il Sauvignon Rytos rispettivamente il 28%, il 15% e il 2,6%.

 

Grafico: La sperimentazione nel Lazio

La sperimentazione nel Lazio

(Fonte foto: Arsial)

 

Sulla severità degli attacchi i dati riportati nel grafico qui sotto confermano come i vitigni resistenti abbiano avuto performance in media superiori rispetto al Trebbiano.

 

Grafico: La sperimentazione nel Lazio

La sperimentazione nel Lazio

(Fonte foto: Arsial)

 

Passando alla bacca nera, il Sangiovese ha avuto una incidenza dell'oidio sul non trattato pari all'89%, del 44% sulle parcelle con due trattamenti e del 14% su quelle con tre trattamenti. Il Merlot Kanthus e il Julius hanno subìto attacchi molto bassi, mentre per quanto riguarda il Cabernet Eidos, il Cabernet Volos e il Merlot Khorus l'incidenza è stata elevata sul non trattato, ma ben sotto il 10 nelle parcelle con tre trattamenti.

 

Grafico: La sperimentazione nel Lazio

La sperimentazione nel Lazio
(Fonte foto: Arsial)

 

Se si guarda però alla severità si nota come i vitigni resistenti abbiano avuto delle performance ben superiori rispetto al Sangiovese.

 

Grafico: La sperimentazione nel Lazio

La sperimentazione nel Lazio
(Fonte foto: Arsial)


"Oltre a queste sperimentazioni di vitigni già selezionati e sperimentati in altre parti d'Italia ed Europa, stiamo anche procedendo ad incrociare due vitigni tipici locali, quali Cesanese e Malvasia del Lazio, con vitigni resistenti al fine di ottenere nuove varietà, legate al nostro territorio e al contempo portatrici di geni di resistenza", conclude Pica. "Si tratta di un lavoro lungo, che durerà dieci anni e più, ma di cui potremo godere dei frutti in futuro".