Come si convincono quattrocento viticoltori, molti dei quali in età avanzata, a cambiare il modo di produrre uva, passando da trattamenti a calendario ad una difesa digitale? A raccogliere la sfida è stata la Cantina vini tipici dell'aretino, una cooperativa con circa 800 ettari vitati che nel 2017, nell'ambito del Psr Toscana e insieme al Crea viticoltura di Arezzo, ha lanciato il progetto Quasar - Qualità e sostenibilità dei vini aretini. Un progetto che ha come scopo proprio quello di implementare un Sistema di supporto alle decisioni per la difesa del vigneto.

Una delle anime del progetto è l'enologo Gianni Iseppi, in cantina dal 1980, che ad AgroNotizie spiega: "L'obiettivo che ci ha spinto ad intraprendere questo processo innovativo è stata la volontà di migliorare la difesa del vigneto. Siamo voluti passare da un piano di trattamenti a calendario ad uno basato sui dati raccolti in vigna".

Iseppi, quali strumenti avete adottato nell'ambito del progetto Quasar?
"Sono state installate sul territorio dieci centraline meteo che raccolgono dati come la temperatura dell'aria, l'umidità relativa, la forza del vento, la bagnatura fogliare e altro ancora. Questi dati vengono trasmessi ad Horta, lo spin-off dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che li analizza e valuta il livello di rischio di infezione da peronospora e oidio".

L'informazione come arriva al viticoltore?
"Giornalmente il nostro agronomo valuta le informazioni provenienti da Horta e contatta le aziende agricole suggerendo eventuali trattamenti da effettuare. L'agricoltore si può confrontare con il tecnico per decidere la migliore strategia di difesa e può anche consultare il nostro sito internet dove è presente una mappa con la geolocalizzazione delle centraline e tutte le informazioni sul livello di rischio di contagio e i trattamenti da effettuare".

La mappa

Quali risultati avete ottenuto?
"Abbiamo assistito ad una crescita del livello tecnico dei nostri associati. Se prima i trattamenti fitosanitari venivano effettuati a calendario o sulla base di bollettini, oggi si tratta solo se effettivamente necessario. Solo se cioè, sulla base di dati oggettivi raccolti in uno specifico territorio, viene valutato come possibile o certa una infezione fungina".

Avete riscontrato anche un aumento della qualità dell'uva?
"Non è possibile fare un discorso generale perché ogni annata è unica e ogni azienda ha le sue specificità. Sicuramente però abbiamo avuto una razionalizzazione dell'impiego dei fitofarmaci. Questo significa che le nostre aziende riescono ad esprimere una qualità delle uve costante a fronte di un utilizzo di agrofarmaci che non eccede mai lo stretto necessario".

Come è stata accolta dai vostri associati la decisione di cambiare approccio alla difesa?
"Nella nostra cooperativa abbiamo sempre sostenuto l'innovazione. Era il 1999 quando, a fronte dell'introduzione dell'obbligo di conferire tutte le uve prodotte, abbiamo stabilito un premio per il socio che rinnovava il vigneto. In questo modo, nell'arco di vent'anni, abbiamo reso più moderna la metà della superficie vitata, con sesti di impianto più efficienti e cloni più performanti".

La chiave di volta è dunque fornire un incentivo economico?
"E' estremamente utile, ma non basta. Serve anche assistenza tecnica. Fin da subito abbiamo messo a disposizione delle aziende agricole un agronomo che accompagnasse gli agricoltori nel processo di rinnovamento. Parimenti oggi abbiamo organizzato una serie di incontri sul territorio con i soci per condividere le potenzialità rappresentate dall'agricoltura digitale".

E come è stato accolto questo cambio di paradigma?
"Direi bene. I nostri soci hanno colto le potenzialità di questa nuova tecnologia e dopo un primo periodo di rodaggio ora utilizzano con successo questo strumento. Anche perché per noi il sistema, che nel frattempo si è ampliato con tre nuove centraline, rappresenta un costo che non avrebbe senso se non fosse giustificato da un utilizzo attivo da parte degli agricoltori".