Ogni comparto è giusto faccia il possibile per migliorarsi, ma magari diventare il comodo parafulmine di altri, anche no. Infatti, a patto di volerli cercare, emergono molteplici studi che dimostrano come a contaminare l'ambiente possano essere molecole del tutto inaspettate, di uso alquanto comune e verso le quali nessuno però solleva dubbi circa i relativi processi autorizzativi, come avviene invece continuamente per gli agrofarmaci.
Molteplici sono infatti le sostanze attive di varia origine e natura che vengono immesse quotidianamente nell’ambiente, specificatamente nelle acque. Tutte contaminazioni di tipo diffuso, oppure puntiforme, che come esito hanno comunque un diverso grado di contaminazione di laghi, fiumi e falde.
A conferma, magari con un certo qual sconcerto da parte di Stella Kyriakides, medico, basti sapere che in Spagna ben 43 differenti farmaci sarebbero stati rinvenuti nel fiume Ebro che scorre lungo la Catalogna. Farmaci giunti alle acque fluviali a seguito di escrezione fecale o urinaria da parte dei pazienti che li assumevano. Così come un erbicida esce da un campo e finisce in tracce nelle acque, altrettanto fanno i farmaci assunti dai cittadini. E questi in Italia, contrariamente agli agricoltori, sono 60 milioni: qualche pastiglia a testa ogni tanto e buonanotte ai famigerati calcoli sui "troppi pesticidi" usati in campagna.
Negli Stati Uniti, del resto, sono stati trovati ormoni in fiumi e laghi, la cui origine era prevalentemente zootecnica, sebbene anche l’origine umana sia parte integrante del problema tramite assunzione di steroidi o di ormoni con finalità anticoncezionali.
Perfino alcune discutibili abitudini personali, come l’assunzione di sostanze stupefacenti, generebbero ricadute sulle acque, come evidenziato dall’Istituto Mario Negri di Milano che ha rinvenuto cocaina nel fiume Po. Una presenza confermata anche più di recente da alcune ricerche svoltesi in Inghilterra dalle quali sarebbero emersi 56 differenti sostanze attive contenute in una specie di crostaceo d’acqua dolce, il Gammarus pulex, sebbene a livelli di pochi nanogrammi per grammo di peso corporeo.
Al fianco delle tracce di alcune sostanze attive impiegate nella difesa delle colture, come oxamyl, propazina, acetamiprid e thiacloprid, sono state rinvenute per la quasi totalità molecole afferenti alla farmacopea umana: quasi il 90% delle sostanze presenti nei gamberetti erano infatti diuretici come l’idroclorotiazide, o antidepressivi quali alprazolam, diazepam, citalopram, clorazepam (e questi si che creano dipendenza...). Farmaci, questi, prescritti proprio da psichiatri come Stella Kyriakides. Al loro fianco, nel povero Gammarus, sono stati rinvenuti anche antidolorifici come il tramadol, antistaminici come la difenidramina, o stimolanti come il 4-fluoromethcathinone e, come detto, perfino la cocaina. Non mancano nemmeno molecole comunemente usate dagli asmatici quale il salbutamolo, avente anche parziale effetto anabolizzante e pertanto iscritto nelle liste dell’antidoping, oppure la lidocaina e perfino la ketamina, anestetico dissociativo.
Quando si parla di "effetto cocktail" riferendosi agli agrofarmaci, pare quindi ci si dimentichi dei "long drink" di differente origine che per numero e composizione sopravanzano di molto la presenza dei tanto famigerati "pesticidi". Un'evidenza scomoda da trattare, questa, anche perché imporre per Legge la riduzione degli usi di agrofarmaci è cosa relativamente semplice e che al limite scontenta un punto percentuale di tutta la popolazione. Chiedere ai medici di aver mano più leggera con le ricette e ai cittadini di morigerarsi con le pillole, invece, è cosa sicuramente più complessa nelle modalità comunicative e ardua nei risultati che ci possono attendere.
Ben si comprende invece come l’approccio alla qualità dell'ambiente, nella fattispecie delle acque, dovrebbe abbracciare in senso ampio ogni diverso componente xenobiotico, sia di origine agricola, sia di fonte civile o industriale. Un obiettivo, questo, cui dovrebbero mirare le politiche nazionali ed eurocomunitarie dell’immediato futuro, magari in base a una razionale lista di priorità. Poiché, come visto, parlare ossessivamente sempre e solo di agrofarmaci induce il sospetto che volutamente questi vengano presi come falso bersaglio per tenere basso il volume su altri settori. Anche perché è abbastanza facile istigare odio verso risicatissime minoranze, come gli agricoltori, per la chimica da loro usata. Molto meno agevole rendere consapevoli 60 milioni di cittadini che ogni prodotto che essi usano per se stessi finisce esattamente nel medesimo posto in cui galleggia qualche erbicida. Necessario questo per dar loro da mangiare, così come lo è il farmaco per compensare qualche loro disturbo.
Per il momento invece, pur a fronte di uno scenario così variegato, la focalizzazione monocorde della comunicazione sui “pesticidi” ha trasmesso all’opinione pubblica e ai decisori politici l’erronea convinzione che siano gli agrofarmaci a rappresentare i maggiori rischi per l'ambiente. Ricerche come quelle citate, al contrario, mostrano come questi siano solo una frazione dell’ammontare complessivo delle contaminazioni delle acque. Un comodo caprio espiatorio figlio di un settore che appare sempre più incapace di difendersi.