In diversi areali era la regina delle rotazioni, la barbabietola da zucchero, prima che il pasticciaccio brutto delle “quote zucchero” facesse contrarre le superfici del 75% e obbligando alla chiusura molti zuccherifici italiani.
Le ormai note riduzioni l’hanno infatti quasi mandata in esilio, calando dagli oltre 200 mila ettari agli attuali 50 mila circa. Peccato, perché ben pochi altri prodotti sono inseriti in logiche di filiera come il saccarosio derivato dalla barbabietola da zucchero.
La bietola va infatti vista come coltura altamente specializzata, meritevole quindi di continui affinamenti nelle tecniche di difesa, di nutrizione e di irrigazione. Le rese in saccarosio devono essere infatti sempre più alte, per assicurare la massima redditività all’agricoltore.
 
Con tali finalità ben chiare in testa, Sipcam ha organizzato a Bologna un convegno dedicato alla bieticoltura di qualità, coinvolgendo alcuni fra i più blasonati referenti tecnici del settore.
 
Ha aperto i giochi Marco Marani, di Coprob, il quale ha dapprima inquadrato gli scenari agricoli nazionali: sono poco più di 4.200 gli agricoltori di Coprob, ripartiti equamente a Nord e a Sud del Po. La superficie facente capo al Gruppo è di 33 mila e 200 ettari, con una superficie media pari a 6,2 ha a Nord del Po e di 9,4 a Sud.  Nel 2014 si sono contati in Italia quasi 52 mila ettari complessivi, con una crescita rispetto al 2013 che aveva mostrato solo 40 mila ettari. La stragrande maggioranza degli ettari è situata al Nord, con 46 mila e 500 ettari. Bologna e Ferrara da sole rappresentano oltre 16 mila ettari. Se a queste si aggiungono Rovigo e Padova, con circa 4.000 ettari ciascuna, si mette insieme circa la metà della bieticoltura nazionale. Su questi territori la bieticoltura ha quindi un peso rilevante. Le medie di saccarosio per ettaro sono state nel 2014 di 10,69 tonnellate, contro le 8,36 del 2013 e il 7,84 del 2012, anno però di grande siccità.

L’acqua è infatti una delle variabili più pesanti a livello di produzioni finali.

Il 100% dei semi è inoltre conciato e l’88% è soggetto a “priming” e il 66% delle varietà è ormai nematollerante.

La media produttiva calcolata su cinque anni ha visto il mais produrre 9 tonnellate/ha e offrire una Plv di circa 1.710 euro. Poi il grano tenero (7 tonnellate) e 1.477 euro. Il grano duro ha invece prodotto 5,5 tonnellate e 1.364 euro, mentre la soia ha fatto raccogliere 3,5 tonnellate e 1.350 euro. Orbene, la Plv della bietola è stata costantemente sopra i 2.000 euro, con un tetto di 2.613 euro ottenuto a Minerbio (Bo). I margini operativi lordi per la bietola sono stati circa 990 euro, negli ultimi 5 anni: il mais si è fermato a 410, il grano tenero a 677, il duro a 564 e a 555 euro la soia.

Mesto il confronto con gli altri Paesi Eu: in Francia sono coltivati 385 mila ettari, in Germania 390 mila, con produzioni rispettivamente di 13,3 e 11,4 tonnellate. L’olanda ha addirittura raggiunto le 13,4, con 73 mila ettari coltivati. Infine la Polonia, che conta su 193 mila ettari e ha prodotto mediamente 10,8 tonnellate, un valore quindi simile all’Italia.

Bassa anche la conversione del saccarosio in zucchero: la Francia ottiene quasi un rapporto 1:1, mentre in Italia ci fermiamo all’87%. Il 13% resta quindi nel melasso. Deprimente infine sapere che i drivers più pesanti dei mercati - e quindi dei prezzi - sono i future. Oggi, infatti, si decide di più a Chicago che nei campi.

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Nicola Minerva, a sinistra, e Giuseppe Ciuffrida, a destra, di Beta
 
Nicola Minerva, di Beta, ha invece condiviso con la platea le criticità tecniche della coltura e le linee di ricerca per il 2015. Nei grafici di produttività, dal 2005 a oggi solo la Svezia ha fatto peggio dell’Italia, ma solo nel 2006.
Rispetto ad altri Paesi abbiamo infatti limiti oggettivi climatici, come le estati molto calde, che penalizzano la coltura. Le piogge in Italia sono molto più avare, con precipitazioni che in Germania e Francia cadono molto in estate, cioè il contrario di ciò che avviene in Italia. Essendo una “C3”, la barbabietola sopra i 30°C blocca il metabolismo e penalizza quindi la produzione.

In Italia il ciclo colturale va da marzo a ottobre, arrivando fino a dicembre in Germania, Olanda e Uk. Più lungo sarà il ciclo, più alta sarà anche la resa in saccarosio. Anche la gestione dei cumuli è delicata: da noi entro 20 giorni devono essere rimossi. In Germania le temperature sono invece così basse che possono stare in campo per mesi. Inoltre, i cumuli stessi vanno posizionati in modo razionale, o i camion non ci arrivano causa fango. E poi, meno passaggi in campo si fanno, meno si compatta il terreno.

Le avversità più cocenti in Italia sono nematodi e cercospora. Le varietà sono da considerarsi “tolleranti”, non resistenti: se le infestazioni sono alte, conviene saltare uno o due anni, seminando altre colture. Fra le attività di Beta c’è un forte impegno di selezione varietale che ha portato a un +15% di rese rispetto al 2004. Importanti anche i monitoraggi sul territorio, disponibili sul sito di Beta, per i parassiti e le patologie, come cercospora, cloeno e nottue. L’ottenimento in Italia di rese di 12 tonnellate/ha per Beta sono fattibili, a patto di innalzare l’asticella della professionalità.

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A sinistra: Marco Marani di Coprob A destra Lorenzo Barbanti del DipSa di Bologna
 
Lorenzo Barbanti, docente presso il Dista dell’Università di Bologna, ha trattato invece gli aspetti nutrizionali: il forte polimorfismo delle barbabietole influenza pesantemente le esigenze nutrizionali delle singole varietà. Nelle fasi iniziali sono fondamentali le esposizioni alla luce solare, che permette di sviluppare rapidamente l’apparato fogliare che poi produrrà e trasferirà lo zucchero alle radici. Inoltre, la disponibilità di azoto nelle fasi iniziali stimola anche il Leaf Area Index.

L’anticipo delle semine permette quindi di sovrapporre maggiormente la campana dell’incidenza solare con quella dell’accumulo di saccarosio. Purtroppo, quando da noi inizia questo processo, siamo già in fase calante delle ore di luce. Mediamente, alla coltura servono 215 kg/ha di azoto, 97 di P2O5 e 318 di K2O.
Si sta infine espandendo la pratica dello strip-tillage, senza che si notino influenze negative nella capacità dello sfruttamento delle risorse organiche del suolo.

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Gli aspetti nutrizionali, esposti da Lorenzo Barbanti sono stati poi ripresi da Giuseppe Ciuffrida, di Beta, il quale ha però integrato l’argomento con gli aspetti tecnici legati all’irrigazione. Quando si parla d’irrigazione si deve infatti parlare anche di cambiamenti climatici. L’anticiclone delle Azzorre, dal 1968 al 1987, ha spostato il suo confine settentrionale: prima passava diagonalmente dalla Francia centrale attraverso l’Appennino emiliano. Dall’88 al 2003 si è alzato verso il Nord della Francia, passando a metà della Germania. L’Italia è stata quindi abbandonata. Idem dal 2004 al 2011. C’è quindi una forte differenza climatica fra i territori sopra e quelli sotto il 48° parallelo.

Il deficit idrico per la coltura tocca quindi i 140-180 mm a luglio. Sebbene l’apparato radicale segua l’abbassamento delle falde in profondità (fino a due metri), l’acqua non è infatti sufficiente. Le modalità più utilizzate per irrigare restano i “rotoloni”, gli sprinkler, oppure la manichetta.
 
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Avversità e linee di difesa

 Francesco Magro, di Sipcam Italia, ha quindi approfondito i valori e i punti di forza di Umostart e K Express, ideali per ottimizzare gli apporti efficienti di fosforo e potassio. Il fosforo ha la percentuale più bassa di assorbimento sul totale fornito: si può infatti arrivare fino a solo il 15% del somministrato. Purtroppo il fosforo è anche un elemento strategico a livello metabolico, basti pensare alla produzione di Atp. È anche un elemento fortemente rizogeno, serve cioè a sostenere lo sviluppo radicale. Il fosforo assimilabile, a fronte di un totale di due tonnellate nella terra (profondità pari a 40 cm, densità 1.300 kg) è solo 150 grammi circa nella soluzione circolante. Un valore in effetti molto basso.
Umostart Super Zn presenta fosforo altamente solubile proprio nella soluzione circolante. Essendo poi distribuito in modo localizzato, ed essendo molto solubile, innalza di 14 volte la disponibilità di fosforo nell’acqua microcapillare. Ciò implica un effetto di accelerazione delle prime fasi di sviluppo della coltura.

Michele Capriotti, a sinistra, e Francesco Magro, a destra, di Sipcam

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Capitolo a sé lo ha meritato la difesa della barbabietola da Cercospora e dalle infestanti: Franco Cioni di Beta ha ricordato come i costi della difesa rappresentino circa un quarto di quelli totali. Come fare quindi a contenere i costi della difesa senza aprire la strada alle avversità? Solo la cercospora può incidere infatti fino al 28% della Plv. Anche le infestanti possono ridurre dal 26 al 100% la Plv, soprattutto se emergono dallo stadio di 2 foglie e nelle 4 settimane successive. Meno se nascono più tardi e crescono nelle 6 settimane successive. Fondamentali quindi i diserbi di pre-emergenza.

Contro Cercorspora possono invece essere utilizzati Ibe, oppure prodotti di copertura come rameici, clortalonil, mancozeb e zolfo, o ancora tiofanate metil. Le strobilurine sono ancora allo studio, anche perché sembra siano attive solo contro l’oidio. Nel 2014 la malattia è partita lentamente, ma poi si è voluta rapidamente dai primi di luglio fino a raggiungere livelli di virulenza simili all’anno record, il 2010. Nelle parcelle non trattate l’area malata si è mostrata pari al 94,2%, contro un 27,8% nelle piante difese senza tiofanate metil e un 12,7% nelle tesi che comprendevano tiofanate metile. Nei primi due trattamenti si è deciso di applicare un prodotto ad azione multisito, come clorotalonil, seguiti poi da sali di rame al 3° e al 4° trattamento. I partner possono in tal caso essere zolfo nel primo caso e tiofanate nel secondo, oppure miscele con procloraz/difenoconazolo + fenpropidin/tetraconazolo. Il tiofanate in T2, prima della sintomatologia, ha dimostrato si saper fare la differenza, mentre il calo di efficacia degli Ibe suggerisce la composizione di opportune miscele.

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A sinistra: Franco Cioni di Beta. A destra: Alessandro Capella di Sipcam
 
Per quanto riguarda le infestanti emergenti, vi sono 60 specie importanti per la bietola: stanno espandendosi le cosiddette flore di sostituzione, cioè le infestanti cosiddette ruderali. Alcune di esse sono l’Abutilon, composite come Xanthium, Ammi majus, Datura, sorghetta, convolvolacee e poligonacee come il Rumex. Alcune di esse, come Datura, non hanno nemici “chimici” su bietola, ma possono essere controllate adottando rotazioni con colture su cui si possano utilizzare erbicidi efficaci. Servono quindi strategie miste di pre e di post-emergenza. Si stanno inoltre valutando disseccanti come pyraflufen, ma anche pendimethalin (attivo anche su cuscuta) e clomazone, il quale mostra attività su Abutilon e Datura. 
 
Michele Capriotti di Sipcam Italia ha fornito infine la descrizione tecnica di Clortosip 500 SC ed Enovit metile Fl. Il primo ha avuto la registrazione definitiva su bietola sul finire del 2014.
Il valore di clortalonil risiede nel meccanismo d’azione mutisito, il che equivale a dire anti-resistenza. Le dosi sono di 2 L/ha da solo oppure 1,5 in miscela. Massimo due le applicazioni previste nell’anno, adottando intervalli di 15 giorni. Nelle prove sperimentali Clortosip 500 SC ha permesso di innalzare le produzioni di saccarosio fino a oltre 3 tonnellate rispetto al non trattato.
Enovit Metil Fl Beta” ha invece avuto la registrazione temporanea nel 2014 e Sipcam sta lavorando per averne un’altra nel 2015, meglio se definitiva. Alta la sua sistemia, al contrario di clorotalonil. È però ad alto rischio di resistenza, perché il meccanismo d’azione è alquanto specifico (inibizione della B-tubulina). Questo richiede l’alternanza d’uso con altre sostanze attive. Va applicato in pieno sviluppo vegetatitvo, perché in tal modo si esalta la sua efficacia per via sistemica. Un solo trattamento viene previsto in programmi strutturati.

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Le conclusioni sono quindi spettate ad Alessandro Capella, responsabile R&D di Sipcam: sebbene il tiofanate metil sia già in corso di registrazione, è stata comunque avviata anche una richiesta per “usi eccezionali”. Di queste ve ne sono in effetti tante, quindi qualcuno parla già di abusi. Del resto se aumentano i problemi si devono però aumentare anche gli strumenti da utilizzare. Pyraflufen è anch’esso in corso di registrazione e potrà essere utile nelle applicazioni in pre-emergenza della coltura su infestanti appena nate. Clomazone è anch’esso in fase di taratura fine: su terreni strutturati si stanno tarando le dosi ed è un percorso tecnico che si sta evolvendo, prodromo di uno specifico dossier. Su pendimethalin, infine, si sa che è efficace su cuscuta. L’obiettivo è studiare le finestre applicative, le fasi fenologiche e le dosi selettive.