Biologico, prodotto elitario per fasce di popolazione a reddito medio alto o risposta alla fame del mondo? Quesiti solo apparentemente inconciliabili. Perché se è vero che agricoltura biologica fa rima con prezzi più alti, è anche vero che dall'agricoltura biologica ci si può attendere la valorizzazione di aree che l'agricoltura intensiva non è interessata ad utilizzare. E altri ragionamenti si potrebbero fare sul prezzo. Perché spendere un po' di più sul cibo può far risparmiare da altre parti, nella difesa dell'ambiente ad esempio. Questi alcuni degli argomenti emersi dalla presentazione del volume “La terra che nutre”. Un'opera editoriale per i tipi di Giunti, dove 22 personalità della scienza, della politica e della nutrizione si scambiano opinioni, anche discordanti fra loro, sui temi dell'agricoltura biologica. L'occasione per realizzare il volume e con esso un dibattito sul settore biologico viene da un compleanno importante, i 25 anni del CCPB il Consorzio per il controllo dei prodotti biologici, società a sua volta controllata dal Consorzio il Biologico, cui spettano le attività di promozione, divulgazione e formazione.
Conversazioni sul biologico
La conversazione sui temi del biologico iniziata sul libro è idealmente continuata con la presentazione del libro stesso, avvenuta a Bologna il 31 maggio, riunendo di fronte ad un vasto pubblico accademici, economisti, esperti di marketing, sociologi, operatori del settore. E dopo 25 anni, ha sottolineato il presidente del Consorzio Il Biologico, Lino Nori, i valori fondanti di quella che all'inizio era una iniziativa ancora piccola, sono tutt'ora validi. Se il primo slogan inneggiava al binomio tecnica e natura, oggi a maggior ragione si può sostenere che l'agricoltura biologica è qualcosa di assai diverso dal ritorno al passato che a volte si evoca, ma semmai è un settore attento all'innovazione e alla sperimentazione, proiettato verso il futuro.
I numeri
Sono molti i progressi compiuti in questi 25 anni dalle produzioni agroalimentari biologiche. Ma il settore soffre ancora di una certa marginalità. Due numeri per fotografare la dimensione dell'agricoltura biologica in rapporto a quella tradizionale. Gli ultimi dati del censimento indicano in circa 1,6 milioni le aziende agricole in attività. In media la loro superficie è di 7,9 ettari. Le aziende biologiche sono poco meno di 38mila, con una superficie media di 28 ettari. In totale le superfici impegnate nelle produzioni biologiche sono circa un milione di ettari, l'8% della superficie agricola coltivata in Italia, 13 milioni d ettari. Tradotto in termini di produzioni, quelle che possono dirsi biologiche oscillano fra il 2 e il 3 percento del totale delle produzioni agroalimentari. Molto se si pensa ai tempi, quasi eroici, dei primi anni, quando ancora non esisteva nemmeno una legislazione in materia, poco se il paragone è fatto con altri paesi, come la Germania, dove l'agricoltura biologica vanta numeri più importanti.
Il valore della comunicazione
Il che significa che c'è spazio per crescere, magari interrogandosi prima sugli errori sin qui commessi. Ai primi posti la comunicazione con il consumatore. Che ancora oggi guarda al prodotto biologico con occhio critico e sospettoso. Colpa degli inevitabili scandali alimentari, ma anche di una comunicazione che specie nelle fasi iniziali prometteva il “residuo zero” anche quando ciò non era realizzabile. Il tema della comunicazione si spinge sino al prezzo. Perché la maggior spesa che il biologico richiede può ripagare in altri modi, salutistici e poi etici e infine ambientali. Cambiare la percezione del biologico da parte del consumatore è compito non facile, che impatta su abitudini radicate, che vedono priorità di spesa su prodotti diversi dal cibo. Tanto che anche di fronte ad un aumento dei redditi la spesa in alimenti resta costante, come dicono le analisi di mercato. E al contrario in tempi di crisi i primi risparmi si cercano nel cibo piuttosto che in altri “bisogni” che non sempre sono tali. Insomma, si è proposto in queste conversazioni, meglio sarebbe che al termine consumatore si sostituisse quello di “valorizzatore”. Bastassero la parole.
Un consumo consapevole
Cambiare si può, ma il percorso è lungo, coinvolge l'educazione, da quella civica a quella alimentare, ma i benefici si allargherebbero ben oltre l'agricoltura biologica. Che intanto promette di crescere, nei campi come nelle città. Perché l'ansia di cibo buono (più del risparmio) fa dilagare la moda dell'orto. Sul balcone o di fianco a casa per chi può. E chi coltiva un pomodoro, piuttosto che una zucchina o qualunque altra cosa, impara ad apprezzare l'agricoltura e a comprenderne le difficoltà. Ne scaturisce un consumatore più attento e consapevole, con una maggiore percezione sui valori dell'alimento piuttosto che sul prezzo. Dunque disposto a dare più spazio al biologico.
Quando, fra 25 anni, il Consorzio celebrerà i suoi 50 anni di attività, l'agricoltura dovrà aver già risposto al forte aumento della domanda di cibo che arriverà da tutto il mondo. Una domanda destinata a crescere ulteriormente negli anni a seguire. E chi produce prodotti biologici si è detto convinto che un aiuto importante per affrontare questa nuova sfida arriverà proprio dalle produzioni biologiche. Gli crediamo sulla parola.