L’idea di mangiare bene, sano e italiano tutelando a tavola la propria salute e, contemporaneamente, sostenere la produzione di qualità nazionale e - con essa - una fetta non trascurabile del Pil, non è un’utopia.
Questo, almeno secondo, Uip Fpl e Uila che a Roma hanno organizzato il convegno dal titolo “Alimentare made in Italy e tutela della salute: binomio inscindibile per l’Italia di domani”.

L’incontro, al quale hanno partecipato tra gli altri Gianni Alemanno (sindaco di Roma ed ex ministro dell’Agricoltura), Mario Catania (ministro delle Politiche agricole), Paolo De Castro (presidente Comagri del Parlamento Ue), Ferruccio Dardanello (presidente Unioncamere), Maurizio Gardini (presidente Fedagri-Confcooperative), Sergio Marini (presidente Coldiretti) e il senatore Ignazio Marino, ha fatto registrare temi e informazioni noti, offrendo tuttavia spunti interessanti, a partire dal fatto che a organizzarlo sono stati i sindacati che, attraverso le parole del segretario generale Uila-Uil, Stefano Mantegazza, hanno voluto lanciare al nuovo governo tre proposte per una maggiore focalizzazione e promozione del binomio tra agroalimentare ‘made in Italy’ (quindi di eccellente qualità per antonomasia) e salute, con tutte le relative ricadute economiche e sociali.

A cominciare dall’idoneità degli alimenti, che dovrebbe prevenire e ridurre i rischi sanitari e divenire un requisito da inserire tra i criteri di erogazione alle imprese dei finanziamenti nazionali e comunitari; da
Secondo Mantegazza, ai prodotti agroalimentari poi dovrebbe essere estesa la recente legge sulla protezione del made in Italy e si dovrebbero sollecitare le autonomie locali a organizzare periodiche “conferenze di servizio” per elaborar politiche territoriali di raccordo tra buona alimentazione e salute.




Stefano Mantegazza, segretario Uila-Uil
 


Secondo Mantegazza almeno stando alle previsioni basate sui dati diffusi da Coldiretti sui consumi, l’attuale anticiclicità del comparto agroalimentare rispetto al desolante panorama economico dominante negli ultimi anni non può resistere a lungo e il comparto necessita di interventi non solo economici, ma legati a un nuovo modello di sviluppo che premi qualità e sostenibilità e rispetto al quale il Pil non sia il fine ultimo, ma solo uno strumento di misura. Ai dati dell’agroalimentare sono stati affiancati quelli sanitari, in base ai quali in Europa le sole cure per infarti ed ictus costano annualmente poco meno di 200 miliardi di euro. 

Mettendo in relazione diretta questi dati appare evidente come l’idea di promuovere la buona alimentazione come baluardo di difesa della salute pubblica non sia affatto peregrina.
Tanto più che questo nuovo “modello” avrebbe ricadute positive a 360 gradi, sia sotto il profilo economico che sociale, a partire dalla crescita qualitativa e quantitativa della produzione nazionale e conseguente incremento di capacità occupazionale e valore del comparto.

Elemento chiave per la realizzazione del nuovo modello deve essere la lotta senza quartiere a falsari e sofisticatori che, in base alle ultime stime, privano l’Italia di un fatturato superiore ai 60 miliardi di euro derivati dal cosiddetto italian sounding.

Più drastico il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, che ha sollecitato l’eliminazione, o quanto meno un netto ridimensionamento, del ruolo degli intermediari, identificati come i principali autori della sostituzione dei prodotti italiani con falsi di scarsa qualità.
Secondo Marini, che chiede l’adozione un Testo Unico sulla contraffazione e pirateria agroalimentare, oltre ai già citati miliardi il falso made in Italy costerebbe al nostro paese circa 300 mila posti di lavoro.

Per il neopresidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, solo se la politica porrà al centro della sua attenzione il comparto agroalimentare ci saranno le condizioni affinché esso diventi davvero la chiave di sviluppo del paese.

Da parte sua, il ministro Catania ha riconosciuto la necessità di assistere maggiormente le imprese agricole che si trovano ad affrontare i mercati globali, ricordando che il settore “rappresenta il 16% del Pil con un trend di crescita dell'export,negli ultimi dieci anni, migliore di altri settori” e che il governo sarà schierato nel prossimo negoziato sul bilancio europeo a difesa delle risorse per l'agricoltura e la coesione.
Secondo il ministro, che accompagnerà Monti a Bruxelles, la situazione è incerta e difficile anche e soprattutto a causa del pessimo negoziato condotto per il 2007-2013, che ci ha trasformato – con uno scarto di sei miliardi di euro – nel primo contribuente d’Europa.

Il lavoro per migliorare la Politica agricola comune è stato anche il focus dell’intervento in videoconferenza di De Castro, che ha ricordato le profonde correzioni già apportate alla proposta originaria di Ciolos e annunciato un'azione di promozione dei prodotti alimentari europei in elaborazione da parte della Commissione agricola dell'Europarlamento.





Il senatore Ignazio Marino

Molto il lavoro fatto e moltissimo quello da fare, dunque, per arrivare al nuovo modello economico, culturale e alimentare proposto e avallato anche dal senatore Ignazio Marino, secondo il quale è indispensabile “far emergere l'importanza del rapporto tra nutrizione e salute e i costi della sanità pubblica. Con la messa in sicurezza dei luoghi da cui provengono le produzioni agricole, la tracciabilità degli alimenti, il contrasto alla contraffazione, e con un lavoro sui corretti stili di vita, si può al contempo garantire la tutela della salute e la sostenibilità economica di un servizio sanitario pubblico davvero accessibile a tutti".

Tutte posizioni condivisibili e condivise, ma che lasciano aperta una questione squisitamente economica: se è vero che la qualità costa, il nuovo modello dovrebbe prevedere anche un sistema di controllo di questi costi, giacché non ci è dato di sapere se la riduzione dei consumi alimentari sia legata a una nuova coscienza dei consumatori o, più semplicemente e drammaticamente, alla sopravvenuta impossibilità di pagare certi prezzi.
Qualora si rilevasse esatta questa seconda ipotesi, educare i consumatori al mangiar sano sarebbe meritorio quanto inutile, giacché, per citare un aforisma, “solo chi non ha fame è in grado di giudicare la qualità del cibo”.