Diceva il compianto amico e ambientalista di formazione cattolica Alexander Langer che: "la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile".

 

A leggere quanto si sta scrivendo negli ultimi giorni sul Green Deal europeo potrebbe venire in mente che ora solo in pochi hanno a cuore il destino del nostro pianeta. Bisogna però stare attenti a non buttare via il bambino con l'acqua sporca del bagnetto. Certo il momento è topico e la vittoria di Trump negli Stati Uniti consegna una grande forza ad una certa visione del mondo.

Una visione che però, osserviamo, ha subito portato Trump a congelare i supporti economici pubblici all'agricoltura.

 

La Commissione Europea negli ultimi anni è intervenuta sulle politiche ambientali con misure che spesso sono parse radicali e draconiane. Sono parse - qui spesso si paga la ignoranza della maggior parte della popolazione europea a riguardo del funzionamento della macchina comunitaria - estremamente lente e farraginose, ma anche piuttosto garantista per quanto concerne il rispetto delle differenti opinioni e necessità.

Per esempio, noi sappiamo che uno fra i provvedimenti più contestati del Farm to Fork - la riduzione del 50% dell'uso dei fitofarmaci - non è mai passato. L'agricoltura ha certo necessità ben precise per quanto riguarda le tecniche produttive.

 

Non bisogna però dimenticare che per salvare l'agricoltura si deve riportarla al centro della società. Solo dando valore all'agricoltore come custode dei territori, e non come mero fornitore di commodity indistinte, possiamo dargli un ruolo. E possiamo provare a risolvere il conflitto per la redistribuzione dei proventi fra produttori, trasformatori e distributori: che vede inevitabilmente sconfitti sempre i produttori.

 

In certi periodi, per citare Papa Francesco, bisogna che il pastore riconosca l'odore delle sue pecore.