L'ultimo incubo dell'agricoltura si chiama cinghiale. La sua proliferazione incontrollata ha portato la Peste Suina Africana (Psa) in Italia, rilevata nel gennaio 2022 fra Liguria e Piemonte e ora approdata a Pavia. Il rischio è quello di compromettere una filiera, quella del maiale e dei salumi, che vale oltre 20 miliardi di euro e che, se la Psa arrivasse nel cuore della suinicoltura made in Italy (Mantova, Brescia, Langhirano) sarebbe un colpo durissimo per il nostro export e per un comparto che conta oltre 106mila allevamenti in Italia e quasi 8,4 milioni di capi. Per non parlare di migliaia di persone occupate lungo la catena di approvvigionamento.

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La speranza di frenare, debellare, eradicare la Psa è riposta nelle azioni del commissario straordinario Vincenzo Caputo, secondo il quale servirebbero trentasei mesi per porre fine alla pestilenza, a patto che si eliminino i cinghiali dalle città e dalle zone di prossimità degli allevamenti, oltre a tenere comportamenti etici da parte degli allevatori (in caso di morìa anomala di capi, avvertire tempestivamente i veterinari) e di chi frequenta aree a rischio, come ad esempio i boschi. In Cina ci sono riusciti, più o meno in un tempo analogo, ma non conosciamo quali forze d'urto abbiano messo in campo.

 

Tornando all'Italia, se il pericolo è il cinghiale, la domanda è questa: come mai si è lasciato che il cinghiale proliferasse in maniera incontrollata? Perché non si è accolto il grido disperato degli agricoltori, che già nel 2018 segnalavano la presenza massiccia di cinghiali, peraltro pericolosi anche per la sicurezza stradale e urbana?

 

Lo stesso potrebbe dirsi per le nutrie, roditori che lungo i fiumi del Nord Italia e nei pressi dei canali di bonifica e irrigazione hanno trovato il proprio habitat ideale, scavando tane, cunicoli, buche, e minacciando così la stabilità di strade, ponti, tenuta idraulica degli argini. Le conseguenze sono particolarmente dannose e anche in questo caso il mondo agricolo più volte ha manifestato l'allarme. Ancora una volta, senza successo.

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È complesso, in effetti, porre un freno alla natura, soprattutto se non si adottano comportamenti efficaci, azioni tempestive, mano ferma. E serve, naturalmente, equilibrio.

 

Nel pendolo che oscilla da una visione antropocentrica della natura, in cui l'uomo "può" tutto, e una visione diametralmente opposta da Teddy Bear di rooseveltiana memoria, in cui l'orso ha perso lo scettro di re della foresta (se leggete gli strepitosi libri del professor Michel Pastoureau, scoprirete che nel Medioevo era l'orso e non il leone in re della foresta) e diventa il pacioso amico dei bambini, ci corre un abisso da riempire con la saggezza dell'equilibrio.

 

Era bellissima l'orsa Amarena, così come tenerissimi sono i cuccioli che ha lasciato soli dopo essere stata colpita da una fucilata, sono curiosissimi gli orsi che frugano nei cassonetti nei paesi del Trentino, ma è evidente che la situazione numerica degli orsi in alcune zone è sfuggita di mano. Possiamo dare la colpa agli orsi? Certo che no. Chiaro che non sia questa la soluzione. Servono aree protette per confinare tali animali per natura e per fame aggressivi e/o pericolosi? Parchi? Progetti di gestione delle foreste?

 

Il dibattito è aperto e si accettano suggerimenti. Ma non possiamo tollerare che sia l'agricoltura, la sicurezza idraulica dei territori, la sicurezza in tema di circolazione stradale, di incolumità nelle città, solamente perché è scomodo definire piani di contenimento.

 

Gli agricoltori, tanto per essere chiari, sono vittime. Ed è innegabile che il progressivo abbandono delle aree svantaggiate dell'arco alpino e della catena appenninica abbia favorito la proliferazione dei selvatici. Se si fosse forse protetta adeguatamente l'agricoltura, sostenendone la redditività, avremmo rallentato l'esplosione di ungulati e animali nocivi. E forse, anche una corretta gestione delle foreste (benvenuto il futuro portale del Crea) per arrivare a un rilancio delle risorse forestali.

 

Chiudiamo con una buona notizia (si spera). La Commissione potrebbe decidere di proporre di modificare o "rendere più flessibile" lo status di specie protetta del lupo all'interno dell'Ue. L'Esecutivo Ue ha aperto una consultazione pubblica e invita le comunità locali e tutte le parti interessate a presentare dati aggiornati entro il 22 settembre prossimo sulla popolazione di lupi e sui loro impatti.

 

Il problema della fauna selvatica è già sfuggito al nostro controllo. Cerchiamo di affrontare il problema in maniera razionale, evitando sensazionalismi e derive emotive, ma con equilibrio.

 

Gli strumenti di controllo anche digitale potrebbero essere un valido aiuto. E, magari, una collaborazione a livello comunitario potrebbe essere particolarmente utile. Se pensiamo alla Peste Suina Africana, anche la Germania ha i suoi grattacapi (l'ultima notizia sono livelli elevati di radioattività nei cinghiali, una delle tante "eredità" di Chernobyl, a causa di funghi contaminati di cui andrebbero ghiotti gli ungulati), per non parlare della Romania, in alcune regioni sotto assedio.

 

Vogliamo tutti più Europa, soprattutto per risolvere i problemi. Non per crearne di nuovi.