Non ha dubbi Gilles Luneau, giornalista francese esperto di globalizzazione e non solo; il suo no alla carne artificiale è netto e indiscutibile.

Per spiegare questo inappellabile giudizio ha scritto persino un libro, intitolato "Carne artificiale, no grazie", edito nel 2021 da Castelvecchi.

 

Circa 300 pagine nelle quali si raccontano i retroscena di un progetto multimiliardario dove si muovono le lobby del cibo in provetta.

Leggendo il suo libro si apprende che produrre carne artificiale non serve ad aiutare l'ambiente e può rappresentare un rischio per la salute.

A chi ama la "dietrologia" non sarà poi sfuggito che gli investimenti sulla carne prodotta in laboratorio hanno coinciso con una campagna di demonizzazione su scala mondiale della carne "naturale".

Come pure che al contempo si siano accentuate le accuse (per lo più strumentali) sull'impatto ambientale degli allevamenti.

 

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Il libro di Gilles Luneau

(Fonte: Angelo Gamberini - AgroNotizie)

Il "similpollo" statunitense

Incurante di queste evidenze, la statunitense Fda (Food and Drug Administration), una sorta di corrispettivo del nostro ministero della Salute, ha già dato il via libera alla produzione di "similpollo", per il momento assai costoso.

Se incontrerà il favore del mercato (evenienza possibile, almeno negli Usa) la produzione aumenterà e i costi scenderanno.

 

Dopo gli Stati Uniti il "similpollo" potrebbe approdare sul vecchio continente, dove già si è al lavoro per produrre carne artificiale, tanto che Bruxelles ha stanziato fondi per molti milioni di euro alle imprese private che si occupano di questa materia.

 

Il divieto italiano

In Italia il dibattito sulla carne artificiale (che con abile strategia di marketing si definisce "carne pulita" oppure "sostenibile") ha subìto un'accelerazione all'indomani della presentazione di un disegno di legge che vorrebbe dichiarare fuori legge queste preparazioni.

Multe salate e persino il carcere per chi voglia cimentarsi nella coltivazione di cellule staminali da moltiplicare in bioreattori su vari substrati, da arricchire infine con addensanti, coloranti, aromi e leganti vari.

Una complessità che mal si combina con la pretesa di "sostenibilità" di un prodotto iperprocessato, privo di ogni connessione con la natura, se non per quella cellula staminale di origine.

 

I pregiudizi sulle stalle

Ascoltando gli "esperti" che si alternano sui media per dibattere questo argomento, è deludente verificare, ancora una volta, quanto siano radicati i pregiudizi sull'agricoltura e sulla zootecnia.

Pur senza averne mai visto uno, si descrivono gli allevamenti come lager di tortura degli animali, i campi come un concentrato di chimica.

È il risultato delle eccellenti campagne di comunicazione delle associazioni animaliste e ambientaliste.

Ma anche colpa di un mondo agricolo incapace di comunicare all'esterno cosa fa e come lo fa.

 

Cibo strategico

Comprensibile allora che si preferisca un laboratorio a una stalla.

Adducendo anche motivazioni etiche, quando si pensi al sacrificio degli animali.

Senza però interrogarsi sulle conseguenze.

 

Oggi la produzione di carne, latte e uova è affidata nel mondo a milioni di produttori.

Potrebbero essere sostituiti da poche multinazionali. Che avrebbero in mano strumenti di pressione come mai è accaduto in passato.

Chi è proprietario del cibo dispone dell'arma più potente. Non dimentichiamolo.