Sulle aflatossine le Regioni del Nord fanno quadrato e trovano l’intesa per destinare il mais contaminato alla produzione di energia rinnovabile, alimentando così gli oltre 500 impianti di biogas del territorio.
Così prevede infatti l’accordo di filiera promosso dagli assessori regionali All’agricoltura dell’Emilia-Romagna, Tiberio Rabboni, della Lombardia, Giuseppe Elias, e del Veneto, Franco Manzato, e indirizzato alle principali organizzazioni agricole e consorzi di biodigestori.
Il 2012 è stato l’annus horribilis per le aflatossine, spinte in alto da temperature elevate e da una siccità prolungata, che ha di fatto reso il mais inidoneo all’alimentazione umana e zootecnica.
L’intesa sottoscritta nei giorni scorsi da Lombardia, Emilia Romagna e Veneto sarà valida per tutto il 2013 e mira alla tracciabilità del prodotto in un’ottica di trasparenza e di sicurezza, in linea con le disposizioni del ministero della Salute e al riparo da rischi di traffici non autorizzati o illeciti.
Sui siti delle tre regioni agricole del Nord Italia è possibile scaricare il modulo di adesione, rivolto sia alle imprese agricole che ai biodigestori.

Così il protocollo punta ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta, impegnando le parti a precise garanzie contrattuali, di prezzo e di programmazione del flusso di prodotto, della cui entità non si hanno stime precise. Secondo gli assessorati all’Agricoltura di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna il mais extra-soglia si aggirerebbe intorno alle 350mila tonnellate, secondo altre fonti i volumi sfiorerebbero addirittura i 2 milioni di tonnellate.
Quello che è certo è che l’emergenza aflatossine non si è fermata solamente all’Italia. Livelli superiori ai valori massimi consentiti sono stati registrati con frequenza negli Stati Uniti (dove l’asticella parte già con valori più elevati rispetto ai vincoli comunitari) e in alcune aree europee normalmente immuni dal problema delle aflatossine, come l’Ucraina, uno dei granai del vecchio continente.

Recentemente il ministero dell’Agricoltura della Bassa Sassonia ha denunciato un grave inquinamento da aflatossine di tipo B1. In 13 stabilimenti controllati, l’inquinamento da aflatossine era di dieci volte superiore alla media dei valori consentiti dall’Ue. Sono risultate colpite 10mila tonnellate di mais, per la produzione di mangimi ad uso zootecnico, per alimentare polli, suini, bovini. Il rischio più elevato riguarda la presenza di aflatossine nel latte.
Anche l’area balcanica è stata investita dal problema. La Serbia ha addirittura esportato 45mila tonnellate di mais inquinato, finiti in Germania e, pare, anche nei Paesi Bassi.
A Belgrado la situazione è scivolata sul piano politico, con accuse all’opposizione, preparativi per un rimpasto di governo e possibili elezioni anticipate, anche se nel Paese c’è chi è convinto che il prossimo scandalo andrà a seppellire quello precedente.
In ogni caso, riporta l’Osservatorio Balcani e Caucaso, “a seguito dei rapporti sull’aumento del livello di aflatossine nel latte acquistato dai cittadini serbi, il governo di Belgrado ha reagito in modo veramente unico: modificando la legge ed alzando il tasso consentito della sostanza cancerogena dallo standard europeo dello 0,05 percento allo 0,5 percento”.