Per approfondire alcuni temi importanti per il mondo dell'ortofrutta - e della melicoltura in particolare - abbiamo intervistato Luca Granata, direttore generale di Melinda.
Qual è il bilancio della produzione melicola 2013?
"Nell'Europa a 28 paesi il raccolto 2013 di mele è pari a circa 10,6 milioni di tonnellate, leggermente superiore a quello del 2012 e leggermente inferiore a quello del 2011. E' inoltre perfettamente identico a quello medio dei dieci anni precedenti. Direi quindi che è ragionevole attendersi un normale equilibrio tra offerta e domanda di mele in tutte le 42 nazioni in cui commercializziamo la nostra produzione. In Italia la produzione 2013 di mele è di poco superiore a 2,1 milioni di tonnellate, con un trend del tutto analogo a quello sopra descritto per la produzione comunitaria".
A proposito di mercati e vendite, è possibile scattare una fotografia del comparto a livello italiano ed europeo?
"Per quanto riguarda i mercati, direi che si possono osservare due trend abbastanza distinti a seconda della tipologia e delle caratteristiche. Nell'Europa a 28 e negli Usa i mercati sono saturi e molto maturi, con consumi stabili o flettenti ed una tendenziale riduzione della domanda per le varietà più classiche a favore di offerte più o meno innovative (ad esempio varietà club, Bio, equo-solidale, Km zero). Queste novità rappresentano promesse d'innovazione per il mercato e per i consumatori che spesso vengono disattese: per questo motivo molte stentano ad acquisire quote di mercato di qualche significato. In Nord Africa, Brasile, Medio Oriente ed Estremo Oriente i consumi sono in crescita e la domanda è molto forte anche per le varietà più classiche (Golden, Granny Smith, Red delicious, Gala), con richiesta di elevatissimi standard qualitativi ma a prezzi molto competitivi ed in molti casi con importanti difficoltà burocratiche (dazi, solvibilità clienti, cambio valuta locale, etc)".
Quale è la situazione produttiva?
"In riferimento ai trend produttivi, credo invece si possano distinguere almeno tre scenari. Il primo è rappresentato da distretti produttivi storici (ad esempio Francia, Italia, Usa, Cile, Argentina) con produzione costante o in tendenziale contrazione, con concentrazione degli impianti nelle zone a reale maggiore vocazionalità. Il secondo è rappresentato dai distretti produttivi emergenti (ad esempio Polonia, Turchia, Iran, Egitto) con produzione in forte e rapido incremento, ma con difficoltà a raggiungere gli standard qualitativi richiesti (sia di prodotto che di processo) necessari per potersi proporre come affidabili fornitori su scala internazionale. Il terzo è la Cina (un pianeta a sé stante). Nonostante in Cina si producano 35 milioni di tonnellate di mele, pari al 55% della produzione mondiale, esporta meno dell’Italia, dove invece si produce solo il 3% delle mele del mondo.
Ciò è dovuto al fatto che la domanda interna cinese di mele sta crescendo ad un ritmo più rapido dell’offerta nazionale. Per questo motivo la Cina per diversi anni probabilmente non giocherà un ruolo significativo sui mercati mondiali, soprattutto in nazioni distanti dai propri confini e - paradossalmente - potrebbe addirittura arrivare alla necessità di abbassare le attuali forti barriere doganali che per il momento impediscono l’esportazione di mele verso la Cina da parte di molte nazioni (solo gli Usa sono recentemente riusciti ad ottenere l’accesso al mercato cinese con le mele di loro produzione) diventando quindi un Paese grande importatore di mele".
Interessante è l'apertura di nuovi mercati e di nuovi consumatori. Quali sono sono i Paesi maggiormente interessati dall'export?
"Per Melinda il mercato nazionale è stato, è e sarà di gran lunga quello più importante. I nostri piani sono quindi prevalentemente orientati a difendere e - se possibile - rafforzare la nostra leadership sul mercato domestico.
Anche per noi tuttavia sta crescendo l’importanza delle esportazioni, che negli ultimi 10 anni sono aumentate sia in termini di incidenza percentuale (passando dal 10% al 20% del totale delle nostre vendite) che in termini di nazioni in cui siamo presenti (passate da 15 nel 2003 a 41 nel 2013).
In relazione al nostro previsto incremento di produzione, prevediamo di aumentare ancora le nostre esportazioni: dalle attuali 65-70 mila tonnellate/anno a 100 mila tonnellate/anno dal 2018 in poi. I luoghi di destinazione più importanti per Melinda sono – muovendosi da nord a sud – i Paesi Scandinavi, l’Inghilterra, i Paesi dell’Europa dell’Est, la Penisola Iberica ed i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente".
In tutto il mondo se producono oltre 45 milioni di tonnellate di mele.
L'italia, leader in Europa assieme alla Francia,
ne immette sul mercato circa 2 milioni di tonnellate.
Di queste, più di un decimo le produce il Consorzio Melinda
Quali sono le principali linee guida in fatto di sperimentazione e ricerca di nuove varietà?
"Anche qui vedo due fronti diversi, ma in qualche modo tra loro complementari. Il primo è legato ai programmi di breeding (detti progetti dell’officina) orientati a migliorare le performance di varietà esistenti - o comunque ad esse riconducibili - in termini agronomici (ad esempio produttività, resistenza o tolleranza a parassiti, autodiradamento, accentuata colorazione) o in termini di processo (ad esempio maggiore serbevolezza, minore suscettibilità a malattie da conservazione o alla manipolazione ).
Il secondo è legato ai programmi di breeding (detti progetti della stanza dei sogni) orientati ad individuare nuove varietà di melo più interessanti per i consumatori: penso in particolare a mele di elevato valore nutraceutico o particolarmente user-friendly o con gusti totalmente nuovi.
Quindi l'innovazione varietale può essere fondamentale nella crescita del comparto melicolo?
"Se il breeding per migliorare le varietà esistenti è utile ed meno difficile da realizzare, il breeding per individuare nuove varietà è indispensabili per portare reale innovazione utile per i consumatori in un mercato che - come quello della mela - è altrimenti stramaturo e quindi inevitabilmente destinato al declino. Sono quindi profondamente convinto che se gli agricoltori e le loro organizzazioni intendono davvero avere il controllo del loro destino, anziché subirlo, debbano entrare direttamente, immediatamente e consistentemente nel mondo del miglioramento e soprattutto dell’innovazione varietale. Se noi agricoltori non comprenderemo che ci conviene investire qualche punto percentuale del nostro fatturato annuo in 'Ricerca e Sviluppo' per individuare nuove varietà corriamo il grosso rischio di fare la fine di quei produttori di auto che non hanno saputo lanciare nuovi modelli validi".
Cosa si aspetta per il futuro?
"Mi aspetto che sarà come è sempre stato: che le aziende e le persone lavoreranno sodo - con passione, costanza e competenza - e sapranno anche essere lungimiranti, coraggiose ed innovative continueranno a prosperare. Allo stesso tempo le aziende e le persone che sapranno solamante lavorare tanto e bene ma senza imprenditorialità e visione innovativa probabilmente continueranno a sopravvivere ma non prosperanno per molto.
Infine, le aziende e le persone che non sapranno lavorare tanto e bene saranno destinate ad 'estinguersi' (economicamente parlando), con tempi più o meno rapidi in relazione alle condizioni socio-politico-economiche in cui si troveranno.
Ogni forma di assistenzialismo per procastinare questo inesorabile declino è deleteria, in quanto estremamente onerosa, inutile e controproducente. In natura l’assistenzialismo non esiste, se non nel caso degli esseri solo temporaneamente deboli perché giovani ma comunque in rapido sviluppo e quindi utili per il prosperoso futuro della specie cui appartengono. Se ci si pensa un attimo, è sempre stato così, per tutte le specie viventi e da quando esiste la vita sulla Terra. Non vedo quindi perché dovrebbe cambiare nei prossimi pochi decenni".