"Le proteste degli agricoltori e gli esiti del primo anno di applicazione della Pac 2023 hanno convinto le istituzioni europee che i vincoli ambientali erano eccessivi rispetto a un pagamento che, oltretutto, è leggermente decrescente rispetto alla programmazione precedente. Le decisioni adottate, ratificate lo scorso 13 maggio dal Consiglio dei Ministri Ue dopo l'approvazione del Parlamento Europeo a fine aprile, sono un alleggerimento degli impegni ambientali delle condizionalità".
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Così Angelo Frascarelli, docente di Economia e Politica Agraria all'Università degli Studi di Perugia e fra i massimi esperti di Pac, commenta l'evoluzione dell'ultima riforma, entrata in vigore tardivamente nel gennaio 2023 e finita sotto accusa dal mondo agricolo praticamente subito, scatenando le proteste di una parte del mondo agricolo, che in diversi Stati europei ha manifestato per chiedere minori pressioni sul fronte burocratico e sul piano dei vincoli ambientali.
"Le modifiche adottate - prosegue il professor Frascarelli - non generano un aumento della spesa, ma introducono importantissimi cambiamenti che alleggeriscono gli impegni ambientali, con riferimento in particolare alla Bcaa 7 sull'obbligo della rotazione colturale. Un vincolo che aveva creato grossi problemi in Pianura padana per le aziende agricole che producono mais, o in Puglia, dove si fa grano duro. Di fatto, dopo questa riforma l'agricoltura può scegliere se attuare la rotazione o la diversificazione come nel 'vecchio' greening della riforma precedente. Inoltre, le modifiche attuate sono intervenute anche sulla Bcaa 8, che di fatto elimina l'obbligo della percentuale minima del 4% dei seminativi, destinata a superfici ed elementi non produttivi, per l'adempimento della quale i singoli Stati membri dovranno adottare uno specifico Ecoschema, in modo da prevederlo come opzione volontaria per le imprese agricole, eventualmente mettendo a disposizione un premio aggiuntivo".
Le modifiche si applicano, specifica il professor Frascarelli, "retroattivamente dal primo gennaio 2024 e non costituiscono una deroga, ma rappresentano un cambiamento definitivo fino alla scadenza della Pac nel 2027".
Professore, è già ora di parlare della riforma post 2027, visto che siamo, di fatto, a metà del 2024?
"Sì. Teniamo conto che il prossimo giugno ci sono le elezioni in Europa ed è praticamente scontato che il dibattito sulla riforma della Pac dopo il 2027 si avvierà con il nuovo Parlamento Ue e con i nuovi organi comunitari. Gli Uffici tecnici della Dg Agri stanno già lavorando ed è possibile che una prima proposta possa essere presentata nel primo trimestre del 2025, anche se non è detto. Ad oggi, in ogni caso, non è trapelato nulla. Quasi certamente si parlerà di un incentivo alle imprese agricole per le pratiche che favoriscono il sequestro di carbonio nel suolo, ma né ufficialmente né ufficiosamente sono emerse indiscrezioni di sorta".
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La Pac, sempre più strategica, conferma la propria essenza: non è un sussidio e nemmeno un regalo.
"No, infatti. Il nuovo ciclo della Pac, partito nel 2024, eroga gli stessi fondi di prima, 7,4 miliardi di euro, e il sostegno della Pac è una remunerazione dei beni pubblici prodotti dall'agricoltura e di una serie di impegni dell'agricoltore: ambientali, di benessere animale, di qualità degli alimenti. Questo significa che la Pac è una remunerazione a fronte di impegni che l'agricoltore deve assumersi, non è né un sussidio né un regalo. E non è vero che è una Pac che porta a una diminuzione di produttività, ma spinge alla produzione con innovazione.
È una Pac multiobiettivo: economico, sociale e ambientale, che restano obiettivi condivisibili. Dopo il 2028 prevedo un grande cambiamento degli strumenti della Pac e la direzione sarà remunerare gli agricoltori per il sequestro di CO2 e per la tutela del suolo e la biodiversità".
La Commissione Ue riconosce le difficoltà del settore in tema di ricambio generazionale. È possibile fare di più?
"La Pac fa la propria parte. Il sostegno ai giovani agricoltori c'è nel Primo pilastro e nel Secondo pilastro. Il vero problema, semmai, è la bassa redditività dell'agricoltura, per lo meno nei settori tradizionali. Il giovane quando entra in agricoltura entra nei settori meno tradizionali, che paradossalmente sono i settori meno tutelati dalla Pac, che guarda forse più alle colture tradizionali. Quindi deve fare i conti con bassi guadagni e con la necessità di capitali ingenti, anche per il peso che riveste l'accesso al capitale terra, che resta un aspetto complicato. Rispetto ad altri settori dell'economia, magari rispetto a startup innovative che hanno bisogno di minori capitali, l'agricoltura richiede un maggiore impegno economico iniziale e restituisce in questa fase una bassa redditività. E la politica più di tanto non può fare".
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L'Italia deve sempre puntare sulle Dop?
"Sì, l'Italia deve puntare sulla distintività dei prodotti e le Dop sono il principale strumento, anche se non l'unico. Si può fare qualità anche con la marca privata, ma la Dop è uno strumento molto efficace. La peculiare condizione dell'Italia suggerisce che il Paese non ha futuro sulle commodity, bisogna piuttosto promuovere l'unicità tramite la trasformazione dei prodotti. È quella la vera forza dell'Italia.
Per cui il grano deve essere legato alla trasformazione, il mais alla filiera dei prosciutti e dei formaggi come il Grana Padano, il latte deve essere destinato alla caseificazione, l'erba medica alla filiera del Parmigiano Reggiano. La nostra agricoltura è destinata a promuovere la qualità e a raccontare la distintività. Tutta la nostra agricoltura è condannata a questo".
CAP4AgroInnovation è il nuovo progetto di Image Line®, cofinanziato dall'Unione Europea, dedicato all'innovazione in agricoltura e alle opportunità offerte dalla Pac.
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