Matteo Bartolini, attuale vicepresidente di Cia - Agricoltori Italiani, che del Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori (Ceja) è stato presidente nel biennio 2013-2015, lo ha battezzato come "la nuova voce dei giovani agricoltori dell'area del Mediterraneo a Bruxelles". Una "benedizione" che è un'investitura, plasmata con la battuta ("un altro Matteo nel Ceja dopo dieci anni", ha scherzato Bartolini) e allo stesso tempo un riconoscimento del ruolo che Matteo Pagliarani, ventinovenne agricoltore e allevatore di Mercato Saraceno (Forlì Cesena), dovrà sostenere nel suo fresco ruolo di vicepresidente del Ceja.

 

Pagliarani lavora nella Cooperativa agricola di famiglia, che ha fatto della multifunzionalità la propria vocazione, dove agricoltura e zootecnia si esprimono attraverso la produzione di cereali, farine, ciliegie, vino, ma anche con l'allevamento di vacche da carne (quaranta capi con la linea vacca-vitello), un gregge di pecore da carne destinate all'agriturismo e centocinquanta capre da latte per la produzione di formaggi.

 

Pensieri che si formano velocissimi e parole che escono altrettanto rapidamente, con l'entusiasmo della giovane età e una visione che guarda molto lontano, proiettata sull'agricoltura del futuro. È così che si snoda la nostra intervista a Pagliarani.

 

Innanzitutto, come mai ha scelto di fare l'agricoltore?

"È stata una scelta senza forzature. Ho sempre avuto dimestichezza con l'agricoltura e una passione che mi ha portato ad iscrivermi alla Facoltà di Agraria, ma alla fine degli studi mio padre ebbe un incidente sul lavoro e così abbandonai gli studi per entrare nel mondo del lavoro e la Cooperativa di famiglia, dove lavora anche mio zio e siamo in tutto una ventina di persone, mi è sembrato l'approdo più naturale".

 

Da alcuni giorni è stato eletto vicepresidente del Ceja, all'interno di una coalizione guidata da Peter Meedendorp dei Paesi Bassi. È soddisfatto per la nomina?

". Da un lato sono molto soddisfatto, anche perché sono dieci anni che frequento il contesto agricolo europeo, dall'altro sento il peso della responsabilità. Dovrò migliorare il mio inglese perché ritengo essenziale, per svolgere correttamente questo ruolo, avere una comunicazione perfetta sul piano lessicale, tecnico, di concetto".

 

Qual è il messaggio che porta a Bruxelles? Matteo Bartolini, suo predecessore al Ceja, di cui è stato presidente, ha detto che sarà la voce dell'agricoltura mediterranea a Bruxelles.

"Bruxelles è la base della Politica Agricola Comunitaria e uno dei miei obiettivi è quello di migliorare la qualità sociale del nostro lavoro agricolo. Serve un riconoscimento del ruolo dell'agricoltore, che non sia però solo di tipo economico, ma anche di immagine, perché l'agricoltore è in prima fila e si impegna in ambito ambientale e sociale. Ha ragione Matteo Bartolini: sono l'unico che può difendere le istanze dell'agricoltura del Mediterraneo, visto che il Portogallo ha ritirato la propria candidatura per la guida del Ceja e i nuovi vertici hanno una forte componente del Nord Europa. Sono tuttavia convinto che proseguirà l'alleanza di tutti i giovani agricoltori attraverso un sano lavoro e con la missione di tutelare le diverse agricolture in maniera costruttiva".

 

Matteo Pagliarani, vicepresidente del Ceja

Matteo Pagliarani, vicepresidente del Ceja

(Fonte foto: Matteo Pagliarani)

 

Il rialzo dei tassi d'interesse da parte della Bce sta creando problemi nell'accesso al credito?

", e non solo in Italia. L'incremento dei tassi sta creando moltissimi problemi anche nell'Europa Centro Orientale, da Austria a Slovenia, Slovacchia, Lettonia. Crediamo che questo aumento di tassi di interesse sia dovuto prevalentemente alle speculazioni innescate dai mercati e purtroppo gli aumenti dei costi ricadono nei primi anelli della filiera. Accanto alle difficoltà di accesso al credito si collocano, altrettanto complesse, le difficoltà di accesso al bene terra.

 

Il capitale fondiario è un elemento che andrebbe considerato come primario e deve essere preso in considerazione come capitale patrimoniale, mentre troppo spesso viene ritenuto un elemento di scarso peso, soprattutto se uno lo ha già in proprietà. Ecco, ritengo che gli aspetti del bene terra e del costo del denaro siano due problematiche che colpiscono tutti. Poi ogni Stato membro deve fare i conti con ulteriori elementi di criticità, specifici per ciascun modello agricolo. Poi c'è il nodo ambientale".

 

Che sarebbe?

"Abbiamo di fronte un'Europa che sta portando avanti un'agricoltura demagogica, non basata sulla produttività e su aspetti economici, ma su regole ambientali. Una situazione che penalizza la competitività e la redditività delle imprese, elementi che poi sfociano nell'abbandono delle terre da parte degli agricoltori e nelle difficoltà di ricambio generazionale. Ma se dobbiamo trovare un ordine prioritario, al primo posto dovremmo pensare alla sostenibilità economica, poi a quella ambientale e infine alla sostenibilità sociale.

 

L'agricoltura è un traino per la cooperazione, la trasformazione, le produzioni Dop e Igp e la missione è quella di restituire dignità agli agricoltori e redditività al settore, sostenendo innanzitutto le zone svantaggiate, dove è più difficile lavorare. Ma se non abbiamo una gestione equilibrata delle aree svantaggiate e dove è più difficile fare agricoltura, difficilmente riusciremo a dare benessere e futuro anche alle realtà più vocate".

 

Il ricambio generazionale, lo ha confermato in alcuni passaggi, resta complicato. Quali misure potrebbero favorire l'ingresso di nuovi giovani?

"Accanto ad agevolazioni per accompagnare l'accesso alla terra e l'accesso al credito, sono necessarie misure finanziarie e politiche di sostengo per favorire una equa distribuzione del valore economico lungo la filiera. Sono necessarie politiche di gestione delle acque lungimiranti, perché dobbiamo rendere produttivo il capitale terra. È altrettanto fondamentale sostenere le aree svantaggiate. Dobbiamo anche fare in modo che venga riconsiderato il valore sociale dell'agricoltore come imprenditore e dell'agricoltura come attività produttiva. Anche le politiche ambientali andrebbero armonizzate con il contesto, studiando strategie alternative per la riduzione dei fitofarmaci, abbandonando l'approccio meramente didattico".

 

La sostenibilità è una delle grandi sfide del futuro. Quale approccio dovrebbe avere, secondo lei, la Commissione Europea?

"Da un punto di vista sociale siamo tutti d'accordo sulla riduzione dell'impatto ambientale dell'agricoltura. Lo chiedono i cittadini e la crescita del biologico è un esempio eclatante. Ma dobbiamo darci degli obiettivi di sostenibilità e coordinare le strategie necessarie.

 

Negli anni sono intervenuti diversi soggetti per legiferare su partite che direttamente o indirettamente coinvolgono l'agricoltura. Pensiamo non soltanto alla politica di riduzione degli agrofarmaci, dove sono coinvolte non soltanto la Dg Agri, ma anche la Dg Ambiente, la Dg Sanco, la Dg Sante. Gli agricoltori hanno delegato altri su temi che riguardano il loro ruolo e il loro futuro. Un altro esempio è la Direttiva sull'etichettatura ambientale degli imballaggi, che pesa anche sul sistema agroalimentare. Avremmo bisogno, e parlo in generale, di più tempo e di alternative, altrimenti corriamo il rischio che politiche ambientali anche necessarie si traducano in politiche economiche che mortificano la crescita".

 

Come immagina l'agricoltura del futuro?

"Forse sarà molto diversa da quella di oggi. Il mio sogno è vedere l'agricoltore al centro di tutte le politiche economiche: agricoltura, ambiente, sanità. Ritengo anche che in futuro aspetti come la prevenzione e la cura delle persone anziane o delle donne, saranno oggetto di nuovi sviluppi. Abbiamo bisogno di aumentare le politiche sociali rivolte all'agricoltore e al sistema agricolo. Inoltre, immagino un agricoltore in futuro sempre più protagonista del territorio".

 

Avremo una Pac dopo il 2027? Se sì, come sarà?

"Mi immagino che la Pac ritorni ad essere quello strumento per cui è nata, cioè una politica di strategia comunitaria agricola e non solo una politica ambientale e di consumo. La Pac deve tornare al centro del dibattito europeo, anche per gli aspetti economici e sociali che svolge. Certamente, vedo una Pac nel futuro, magari più attrezzata per sostenere adeguate strategie di valorizzazione del prodotto, che oggi a mio parere sono poche. Vedo una Pac futura, ma allo stesso tempo mi chiedo se servirà fra dieci anni una Politica Agricola Comune, soprattutto se penso che oggi facciamo i conti con agricoltori che hanno scelto di non avvalersene, per le troppe complicazioni che caratterizzano l'impianto attuale. Servirà quindi una Pac che non penalizzi le scelte delle imprese agricole. E auspico che si smetta di considerare la Pac come il salvagente economico di altre politiche comunitarie, dove si tagliano i fondi per utilizzarli per fronteggiare le più diverse emergenze dell'Unione Europea.

 

Dobbiamo impegnarci affinché le risorse destinate alla Pac raddoppino, perché se non pensiamo alla sovranità europea e all'autosufficienza alimentare ed energetica, come pensiamo di far rimanere i nostri figli qui? Quando parliamo di politiche pubbliche, parliamo di risorse per un benessere pubblico. Dobbiamo strutturare una nuova Politica Agricola Comune, dove gli aspetti ambientali, alimentari, le politiche sociali di inclusione possano dialogare senza penalizzare sempre gli agricoltori o le persone più svantaggiate. La Pac del futuro dovrà prevedere risorse per la resilienza dell'agricoltura, ma anche per la resilienza dei territori, per combattere lo spopolamento dei territori e per fare questo servono risorse economiche adeguate. Ormai in agricoltura si sopravvive da diversi anni, ma qualcuno ancora non l'ha capito".