L'operazione di salvataggio necessaria per mettere in sicurezza l'economia agricola italiana finita sotto il fuoco degli aumenti dei costi arrivati alle stelle, sparati in aria della guerra in Ucraina, ha numeri ingenti. I 9 miliardi di maggiori costi stimati dal Crea sono un colpo durissimo. E lì dove non dovesse bastare l'intervento pubblico in economia, con i saldi di una vera e propria manovra economica adeguata a quanto sta avvenendo, occorrerà giocare d'inventiva e in tempi rapidissimi. Perché i cicli naturali dell'agricoltura - l'avvicendarsi di stagioni, semine e raccolti - si succedono implacabili, e l'attività delle imprese non può impantanarsi tra la burocrazia e le incertezze politiche del Palazzo.

 

Non a caso Confagricoltura ritiene che il pacchetto di misure per l'agricoltura della Commissione Ue varate solo il 23 marzo 2021 è da considerarsi solo una prima risposta, come del resto il Decreto del Governo dello scorso 18 marzo. Eppure questa crisi può avere effetti molto duraturi ed estesi anche alle agricolture dei Paesi terzi, con contraccolpi sui mercati da prevenire, tanto che sui provvedimenti della Commissione Ue il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti già chiede di prorogare la flessibilità sulle terre a riposo anche sul 2023.

 

Contratti di filiera nazionali blindati su grano, mais, soia, foraggere e girasole per dare certezze agli agricoltori a cui si chiedono investimenti importanti, in questo periodo di forte instabilità e costi aziendali esorbitanti, per recuperare maggiori superfici coltivabili e aumentare le produzioni nazionali di derrate alimentari e materie prime agricole. È questa la ricetta di Cai, Consorzi Agrari d'Italia, alla luce del via libera Ue alla semina di nuove superfici, per dare certezze agli agricoltori, aumentare la produzione agricola nazionale e, di conseguenza, evitare che le ripercussioni della guerra in Ucraina possano creare al Paese, nel lungo periodo, problemi su scorte e approvvigionamenti che certamente andrebbero ad influire sui costi dei prodotti finali alle famiglie italiane.

 

Ma resta necessario e urgente incidere sui costi, specie in zootecnia, comparto dove - secondo Copagri - senza un aumento concordato del prezzo del latte bovino alla stalla almeno fino a 0,50 euro al litro, si rischiano danni irreparabili. Entro giugno prossimo - come afferma il responsabile nazionale di Copagri per la zootecnia, Roberto Cavaliere - si rischia di perdere il 30% delle vacche in Lombardia, regione dalla quale dipende circa la metà della produzione lattiero casearia nazionale, con la concreta eventualità di perdere da 12 a 15 milioni di quintali di latte: il 10% della produzione nazionale.

 

Confagricoltura, estendere la flessibilità al 2023

"Il pacchetto di misure per l'agricoltura formalmente varato ieri l'altro dalla Commissione europea è una prima risposta per limitare le conseguenze economiche della guerra in Ucraina", dichiara il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. "Sarà possibile contenere in qualche misura l'aumento senza precedenti dei costi di produzione ed aumentare i raccolti di cereali e colture proteiche. Saranno, però, necessari nuovi interventi per contribuire ad evitare situazioni di crisi alimentare a livello internazionale", sottolinea Giansanti.

 

Secondo le stime della Commissione Ue, le esportazioni di grano dall'Ucraina potrebbero ridursi di circa 20 milioni di tonnellate nella campagna di commercializzazione 2022-2023. L'export ucraino incide per il 10% sul mercato mondiale del grano. Per il mais si sale al 15%. I Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente sono particolarmente dipendenti dai raccolti dell'Ucraina per soddisfare il fabbisogno alimentare interno.

 

"In questo quadro decisamente critico - evidenzia il presidente di Confagricoltura - l'Unione Europea è chiamata a salvaguardare tutto il potenziale produttivo dell'agricoltura. La flessibilità autorizzata quest'anno dovrà essere estesa al 2023".

 

Cai, urgono i contratti di filiera

Il vero problema, in questo momento, ricorda Consorzi Agrari d'Italia, è quello relativo alle concimazioni, fondamentali per ottenere quantità e qualità dei prodotti, all'inizio delle semine primaverili.
All'Italia manca il 40% del fabbisogno di fertilizzanti a causa del caro energia, del blocco dell'export di alcuni Paesi produttori e dei prezzi alle stelle dei prodotti dovuto anche alla guerra.

 

I tecnici di Consorzi Agrari d'Italia, che quotidianamente lavorano accanto a oltre 80mila aziende agricole in tutto il Paese, consigliano di utilizzare prodotti a cessione controllata dell'azoto per ottenere un risparmio del 25% circa sui costi standard di concimazione, o di impiegare sistemi di agricoltura di precisione che permettono di massimizzare gli interventi e risparmiare il 20% sul dosaggio di prodotti tradizionali.

 

Sul fronte prezzi dei prodotti agricoli, ad un mese dall'inizio della guerra in Ucraina, ricorda Consorzi Agrari d'Italia in base alle rilevazioni della Borsa Merci di Bologna, il grano tenero ha subìto una impennata del 32,9%, il mais del 41%, sorgo e orzo del 39,8%, la soia del 11,3%, mentre il grano duro è cresciuto solo del 2%. L'Italia importa il 64% del grano tenero per il pane e i biscotti, il 44% di grano duro necessario per la pasta, il 47% di mais e il 73% della soia, questi ultimi due prodotti fondamentali soprattutto per l'alimentazione animale.

 

In base ai dati Istat 2020, sottolinea Cai, le maggiori importazioni per il grano tenero si registrano da Ungheria (30%) e Francia (20% circa), con Russia e Ucraina che incidono per il 5%. Per il grano duro l'Italia importa il 50% del prodotto dal Canada, il 21% dagli Stati Uniti e il 7% dalla Grecia, irrisorie le percentuali dai Paesi in guerra. Diverso il discorso per il mais con l'Ucraina che incide sul 13% delle importazioni, al pari di Slovenia e Croazia, distante dal 32% dell'Ungheria, mentre su farina e olio di girasole la percentuale di dipendenza dai Paesi in guerra si attesta intorno al 50%.

"Con gli alti costi di produzione è necessario garantire agli agricoltori la giusta remunerazione, per questo sono fondamentali i contratti di filiera ed è quindi necessario che ognuno faccia la propria parte, a partire dall'industria - spiega Gianluca Lelli, amministratore delegato di Consorzi Agrari d'Italia -. Ridurre le percentuali di importazione significa anche riconoscere il giusto prezzo al prodotto italiano ed evitare che nel futuro, quando la situazione tornerà stabile, si possa rischiare di lasciare indietro le aziende agricole".

 

Copagri, urge un prezzo del latte remunerativo

"Negli ultimi trent'anni gli allevatori dell'Ue hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti di un drammatico crollo della redditività, in base al quale il margine netto di profitto per 1 chilogrammo di latte, corrispondente a poco meno di 1 litro, è passato dai 12,36 centesimi di euro di fine anni ‘90 agli attuali 4,17 centesimi di euro; va precisato che tale margine, in cui sono inclusi ammortamenti, salari, affitto, interessi e tasse, non tiene conto dei rincari senza precedenti dei costi di produzione e delle tariffe energetiche, sommando i quali si arriva a cifre negative". Lo rende noto il presidente della Copagri Franco Verrascina, rilanciando i risultati di uno studio dell'Ufficio di sociologia rurale e agricoltura della rete di ricercatori "Die Landforscher".

 

"Si è verificato un vero e proprio tracollo degli utili dei produttori di latte Ue, che si ripercuote nella complessa situazione che vivono le aziende agricole, dovuta in gran parte a politiche poco lungimiranti e ancorate a meri sussidi, in luogo di sistemi che leghino il prezzo ai costi di produzione; tali scelte miopi non hanno fatto altro che aggravare gli effetti di problematiche che si trascinano da anni", prosegue il presidente.

 

"Il risultato - osserva il responsabile nazionale del comparto lattiero caseario della Copagri Roberto Cavaliere - è che molte aziende sono state costrette a chiudere definitivamente i battenti, con gravi ripercussioni sull'indotto e su tutto l'agroalimentare nazionale; oggi ci troviamo in una condizione nella quale moltissimi altri allevamenti rischiano di sparire o di dover abbattere i propri animali, in ragione degli insostenibili costi necessari al loro mantenimento".

 

"Basti pensare che entro giugno si rischiano di avere il 30% di vacche in meno in Lombardia, regione da cui dipende circa la metà della produzione lattiero casearia nazionale, con la concreta eventualità di perdere 12-15 milioni di quintali di latte, pari al 10% circa della produzione nazionale, con danni irreparabili al tessuto produttivo del Paese", aggiunge Cavaliere, ad avviso del quale "non si può più parlare di crisi, in quanto c'è il serio rischio di vedere il settore zootecnico andare in default entro pochi mesi".

 

 "Non vediamo alternative alla riconvocazione a strettissimo giro del Tavolo di Filiera del Settore Lattiero Caseario, nell'ambito del quale ci aspettiamo una forte presa di posizione del Governo; la nostra richiesta non può prescindere dal mettere nero su bianco un accordo che preveda un riconoscimento di almeno 50 centesimi al litro per il prezzo del latte alla stalla, prendendo a riferimento il mercato della regione Lombardia", concludono Verrascina e Cavaliere.

 

Un dato è certo: occorrono ulteriori misure urgenti e non rinviabili, anche qualora le ostilità sul suolo ucraino cessassero domani.