Al centro dell'attenzione saranno poste riforme nel marketing agricolo, nella gestione delle eccedenze commerciabili, nell'accesso degli agricoltori al credito istituzionale e nel sostegno legislativo per garantire adeguato valore all'interno della filiera ai contadini.
L'uso della tecnologia è considerato dal primo ministro Modi strategico e come parte della soluzione, se si vuole migliorare la competitività del settore. Già in queste fasi caratterizzate dal Covid-19 è stata lanciata una app per aggregare i trasporti di materie prime agricole, tenuto anche conto che i mercati erano stati chiusi o ha funzionato un gruppo Whatsapp per la vendita dell'ortofrutta.
Per il ministro dell'Agricoltura, Narendra Singh Tomar, nel 2019 il settore è cresciuto del 3,7% e quest'anno, nonostante le circostanze avverse, crescerà del 3% circa. Tuttavia, per un paese come l'India, è poco.
In un'intervista rilasciata nei giorni scorsi ai media indiani, Tomar è convinto che le riforme nel suo complesso "daranno un grande contributo al settore, e mi aspetto che il settore primario segnerà un tasso di crescita del 4,5% nei prossimi tre anni del Pil". Una crescita già accettabile per rispondere ai bisogni della società, soprattutto considerato la conformazione del settore.
Il gigante indiano è costellato da milioni di aziende agricole a conduzione familiare, collocate nella seconda più grande superficie arabile del mondo, situata in quindici zone agro-climatiche.
Le piccole aziende - con una superficie inferiore ai due ettari - costituiscono l'86,21% delle proprietà terriere totali nel paese. Tale struttura non solo non consente agli agricoltori di avere un reddito sufficiente o sostenibile, ma è anche molto dannosa per la produttività complessiva perché più piccolo è l'agricoltore, minore il capitale, la sperimentazione di colture, semi, uso dell'acqua, fertilizzanti.
Il cambio di passo dell'agricoltura indiana dovrebbe dunque passare dal rafforzamento dell'ossatura, grazie alla creazione di Organizzazioni di produttori, cooperative, forme di aggregazione chiamate a favorire la vitalità dell'economia agraria, la trasparenza nel commercio agricolo e consentire i massimi benefici agli agricoltori.
Una riforma organica che dovrebbe rispondere anche al tema della manodopera. Il fabbisogno di manodopera in agricoltura e lungo la filiera è piuttosto alto, tenuto conto della scarsa meccanizzazione. L'introduzione di nuove tecnologie dovrebbe modificare il mercato del lavoro, aprendo a una fase nuova.
Contemporaneamente, anche l'export è oggetto di attenzione, sia per le peculiarità dell'agricoltura indiana, caratterizzata da una vasta fascia geografica produttiva, sia per le opportunità che una rinnovata logistica, rafforzata da catene del freddo efficienti, infrastrutture meglio collegate fra loro e nuove occasioni commerciali possono offrire.
La crisi innescata dalla pandemia, con il lockdown imposto dal governo agli indiani, ha messo in evidenza le potenzialità del colosso indiano in agricoltura, denunciando allo stesso tempo alcune storture, come ad esempio di divieto di commercializzare i prodotti da uno Stato indiano all'altro. La catena degli approvvigionamenti è stata decisamente rallentata, ma ha saputo comunque funzionare, anche se talora a singhiozzo.
L'agricoltura ha risposto alla prova, soddisfacendo alle esigenze delle città, e benché alcuni segmenti produttivi siano entrati in difficoltà (in particolare l'ortofrutta e il latte), per effetto prevalentemente delle chiusure di moltissimi mercati locali a scopo cautelativo.
Per alcuni aspetti, l'offerta dei prodotti agricoli indiani è eccedentaria in questa fase e ci si aspetta che, per effetto di un'ondata di disoccupazione innescata dal Covid-19, i consumi interni seguiranno una curva discendente, offrendo però la possibilità alternativa di esportare come antidoto all'avvitamento negativo dei prezzi e alle chiusure di bar, ristoranti, hotel, mense, ostelli.
Ad oggi l'export agricolo (38 miliardi di dollari nel 2018) è ancora marginale, rappresenta poco più dell'11% delle esportazioni totali dell'India e poco meno del 2,5% del commercio agricolo mondiale, secondo i dati riportati in un'analisi pubblicata recentissimamente da Pravesh Sharma.
Servono, secondo gli analisti, politiche mirate e proattive a sostegno dell'export, affrontando la competitività dei mercati globali con la forza della sicurezza alimentare, della tracciabilità, della qualità delle produzioni.
La proposta di riforma sostenuta anche dal ministro delle finanze dell'Unione, Nirmala Sitharaman, si poggia su un pilastro giudicato essenziale: i contratti in agricoltura, che permetterebbero di assicurare maggiore prosperità agli agricoltori, lasciando una maggiore libertà di scelta delle colture.
I contratti di filiera sono visti anche come soluzione per fermare i suicidi degli agricoltori e per ovviare a una delle grandi problematiche dell'agricoltura indiana: la mancanza di diversificazione delle colture. Oggi infatti, le decisioni degli agricoltori sono dettate dalle politiche del Governo sui prezzi minimi di sostegno, che sono maggiormente orientate verso le colture alimentari.
Questo ha danneggiato la biodiversità, orientando i produttori verso le colture maggiormente remunerate, come grano o riso, finalizzate al garantire cibo alla popolazione.
Con la possibilità di sottoscrivere contratti gli agricoltori potranno coltivare anche qualsiasi altra coltura non alimentare, purché ottenga lo stesso prezzo o più alto.
La Camera di commercio indiana esorta gli Stati ad attuare le riforme agricole nell'interesse dei produttori, affermando che la proposta di modifica dell'atto sulle materie prime essenziali, che consente agli agricoltori di ottenere il miglior prezzo per i loro prodotti sui mercati (locali, nazionali o globali), è uno spartiacque nella storia economica dell'India in quanto rimuove la disintermediazione e lascia il mercato all'agricoltore.