Le aree interne del Sud rischiano un pesante taglio alle risorse finanziarie della Comunità europea destinate agli investimenti pubblici. L'Unione europea ha infatti dato al Governo meno di due mesi per dimostrare di essere in grado di spendere innanzitutto le risorse nazionali, quelle del Fondo sviluppo e coesione, che sono da ritenersi primarie rispetto a quelle comunitarie, definite nel gergo degli eurocrati addizionali.

Il richiamo dell'Europa - che vale per tutto il Mezzogiorno - include le aree interne soggette alle Politiche di sviluppo rurale e alla Strategia nazionale per le aree interne: la Snai.
Su queste aree, ben 72 in Italia, sono appostate complessivamente risorse per 565,5 milioni di euro, che diventano 260,8 milioni di euro considerando solo le undici aree interne di Sud e Isole ricomprese nella Snai del Governo. Di questi soldi ben il 15,1% sono rappresentati dai denari che porta in dote il Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale.

E se Roma non riuscisse a velocizzare la spesa per gli investimenti pubblici al Sud, calerebbe da Bruxelles entro il 2022 la scure della Commissione Ue su tutti i fondi strutturali cofinanziati dall'Europa, a cominciare dal Feasr. Il fondo europeo contribuisce agli investimenti pubblici con le misure dei Psr destinate ai villaggi rurali, alla viabilità, ai servizi nelle zone ad alto rischio di isolamento ed esclusione sociale
Ma attenzione: il taglio colpirebbe anche le aree rurali non coperte dalla Snai. Per avere un'idea pallida del danno, basti pensare che solo le aree rurali del Sud che rientrano nella Snai, valgono ben 39,5 milioni di euro di sole risorse Feasr, mentre si arriva ad oltre 192,9 milioni, mettendo insieme tutti i fondi strutturali cofinanziati dalla Ue.


Il Matese

E proprio mentre il ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, annuncia il nuovo piano per il Sud, AgroNotizie inizia il suo viaggio nelle aree interne dell'Italia meridionale e lo fa raggiungendo le falde del Matese. Un'area vasta circa mille chilometri quadrati che ricalca i monti dell'omonimo massiccio carbonatico, dislocato tra Campania e Molise, primo vero bastione dell'Appennino Meridionale, tra la piana a trazione adriatica del fiume Biferno, e quella che da Venafro corre lungo il Volturno fino alla valle di Telese, sede di un antico vulcano spento.

In questo scrigno di roccia, adorno di faggi e querceti, è custodita una delle più importanti risorse idriche del Mezzogiorno continentale, grazie alla natura carsica del territorio: i fiumi Sava, Lete e Titerno. Dopo un primo tratto in superficie si inabissano, per poi risorgere più a valle, come si inabissano le acque del lago Matese, per sgorgare più a valle nella sorgente di fiume Torano.

Terra di pastori e di vaccari, di transumanza verso le pianure - che consentì all'antico popolo dei Campani di dialogare con la Magna Grecia e scontrarsi con la potenza di Roma - il Matese oggi ha un'agricoltura per ogni altimetria. Dal pascolo brado di vacche e pecore, esercitato in quota nelle terre pubbliche dei demani mediante l'uso civico della "fida pascolo", un portato dell'eversione dal feudalesimo, fino alla moderna agricoltura irrigua del piano, recente terra d'insediamento della bufala, passando per l'olivicoltura e l'ortofrutticoltura della fascia collinare, che custodisce biodiversità agricole di grande importanza.


Arriva il parco nazionale

Questa vasta area tra le province di Campobasso, Isernia, Benevento e Caserta, oggi si sta trasformando in Parco nazionale del Matese, mentre fino a ieri solo il versante della Campania era Parco regionale.

Ma c'è un'altra asimmetria che dovrebbe essere a breve colmata.
A gennaio scorso, il versante molisano del Matese ha firmato con il Governo un accordo di programma quadro, e si è inserito nella Snai, che porta in dote 6,8 milioni di euro, dei quali 300mila euro in capo al Psr Molise. E la Campania non è stata della partita.


Alla ricerca di progetti di sviluppo nel segno dell'unità

A San Potito Sannitico, versante campano, il presidente del Parco regionale del Matese Vincenzo Girfatti rassicura: "Siamo finalmente vicini anche al riconoscimento nazionale del Matese intero, Caserta e Benevento in aggiunta, come area interna del Paese. Non è una questione formale, perché serve ad avere priorità negli interventi pubblici da parte dello Stato e dell'Unione europea. Scontiamo un ritardo enorme della politica del casertano e della Campania, sicuramente solo l'aspetto più evidente di uno dei suoi più grandi fallimenti è stata l'assenza di una politica di sviluppo socio economico del Matese".

Girfatti fa una pausa e squaderna in silenzio un foglio di giornale, è del quotidiano napoletano "Roma", datato 1971, in un titolo a tutta pagina - che sembra scritto appena ieri - vi si legge: "Lo sviluppo socio economico del Matese".
Il ritardo è di quasi cinquanta anni: come colmarlo per il riscatto dell'area?
La risposta di Girfatti non si fa attendere: "Non basta essere inclusi in un programma o essere parte di una strategia, questa terra ha bisogno di darsi un progetto complessivo, di offrire occasioni concrete di sviluppo, altrimenti anche questa opportunità rischia di perdersi e sa quanto vale? Il Matese con dentro il versante campano può candidarsi a investimenti per 100 milioni di euro, ma non possiamo certo pensare di svilupparli solo con le grandi opere, che si pongono in antitesi con le esigenze di tutela dell'ambiente naturale espresse dal Parco, e sbagliare oggi significherebbe perdere ulteriori fondi sulla programmazione 2021-2027".

Il presidente del Parco regionale poi ricorda: "Avremo presto il raddoppio della Statale Telesina, c'è già una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica, è una necessità, ma occorre lavorare sulla segnaletica e sul marketing territoriale: altrimenti questa terra, che pure si vede dalla Telese-Caianello, resterà sempre dimenticata".

Girfatti poi parla del Parco che sta diventando nazionale: "Con i municipi del Molise arriveremo a più di 60 comuni che dovranno dare voce alla Comunità del Parco. Bisogna fermare lo spopolamento, oggi che tanti giovani sono già partiti, è una questione anche di tempo, occorre fare bene e presto".

Girfatti, alla guida del Parco regionale da circa un anno, ha come primo atto chiesto ai comuni del versante campano il numero di giovani residenti tra i 17 ed i 35 anni: "Perché ho voluto poter calibrare l'offerta di formazione sul territorio, nel tentativo di legare i giovani ad un futuro qui".
L'elenco delle cose da fare è lungo: costruire un marketing territoriale per l'area, investire sulla rete sentieristica, che è già parte del Sentiero Italia, e nel turismo religioso e nella formazione per l'ospitalità.
"Ma le dico una cosa, qui come altrove, occorre investire sulla connettività. Un turista, che voglia qui venire per godere delle bellezze naturali e per assaggiare i nostri formaggi e il nostro olio, deve poter usare uno smartphone, cosa non sempre possibile".


L'acqua, gli acquedotti e l'irrigazione

Da San Potito Sannitico, sede del Parco, a Piedimonte Matese il passo è breve. Pochi chilometri tra rotatorie nuove di zecca lungo una provinciale, quindi l'arrivo alla città che vide il suo volto cambiare radicalmente negli anni '60 del secolo scorso, con l'inaugurazione, nell'aprile 1963, dell'Acquedotto campano.
Solo da Piedimonte oggi vengono pompati verso Napoli e Caserta dai 1.000 ai 2.500 litri al secondo di acqua, attinti dalla sorgente del fiume Torano e altri 400-900 litri al secondo dalla sorgente del Maretto.
Altro apporto è quello delle sorgenti di fiume Biferno, sul versante molisano, risorsa idropotabile strategica per Benevento: da 700 a 1900 litri al secondo.

Dei fiumi Torano e Maretto a Piedimonte Matese oggi resta ben poco. E il Consorzio di bonifica e irrigazione del Sannio Alifano fu costretto a costruire una nuova diga, visto che ogni possibilità di derivare fiume Torano a scopi irrigui era saltata.
Più a monte, ad Ailano fu così sbarrato il Volturno, un'opera di presa entrata gradualmente in funzione a partire dai primi anni '70. Insieme alle opere di derivazione sul fiume Lete, oggi il Consorzio irriga 18.970 ettari, a fronte di un territorio protetto dalle opere di bonifica integrale di 838 km quadrati.

"Oggi abbiamo una progettualità finanziabile con il Fsc - tra destra e sinistra Volturno, per complessivi 330 milioni di euro. Si tratta di trasformare le reti irrigue a pelo libero in reti a pressione, corredate di strumentazione automatiche e di telecontrollo, finalizzate in uno al risparmio della risorsa idrica e ad ampliare l'area servita da acquedotto irriguo, grazie al risparmio ottenuto, e quindi senza attingere nuova risorsa" dice Alfonso Santagata, presidente dell'ente, che da due anni ha i bilanci in pareggio: uno dei pochi in Campania e al Sud. 
"E' questa la risposta che ci sentiamo di dare in questo momento, noi abbiamo progetti cantierabili, siamo in attesa di una delibera del Cipe di prossima approvazione, che metterà a disposizione le risorse dedicate al comparto irriguo dal Piano operativo agricoltura dell'Fsc".

Ma i dazi che il Matese paga allo sviluppo urbano non sono ancora finiti. Un altro importante corso d'acqua del Matese è il fiume Tammaro, che corre ai piedi beneventani del massiccio verso il Calore. Il Tammaro, sbarrato da una imponente diga finanziata coi fondi del dopo-terremoto del 1980 a Campolattaro, presto fornirà altra acqua potabile all'Acquedotto campano.

Oltre a fornire acqua da bere alle principali città della Campania e ad essere sfruttate per scopi idroelettrici e dall'industria delle acque minerali, le montagne del Matese, insieme ai suoi abitanti, attendono ora un definitivo riscatto. L'obiettivo è quello di coniugare agricoltura, turismo rurale e naturalistico e la protezione di un ambiente a tratti ancora incontaminato, dove osano le aquile reali e i lupi, e dove ancora oggi, una faggeta fitta e generosa è perno dell'economia del legno, con tanto di certificazioni internazionali di sostenibilità forestale.


Il tema dell'identità ritrovata

Eppure per fare la quadra manca ancora qualcosa.
"Un progetto compiuto di comunità, che dia conto di una identità ritrovata - dice Gianfrancesco D'Andrea, dirigente scolastico e giornalista, impegnato nel settore dell'associazionismo - Oggi occorre fare rete tra le tante realtà che rendono possibile la riscoperta del territorio del Matese e del suo essere una comunità e avere una missione: i progetti, importantissimi, hanno un senso solo se c'è questo vitale collante".

E D'Andrea, che ha sviluppato recentemente una serie di iniziative volte alla riscoperta dei siti della città legati all'acqua, come la Filanda Egg, ricorda uno dei fallimenti del recente passato.
"Con il Progetto integrato territoriale del Matese, negli anni scorsi, sono stati spesi 35 milioni di euro di risorse pubbliche, dei quali oggi si trova traccia in strutture di accoglienza rimaste abbandonate, perché mancò, alle spalle del progetto concreto, una precisa scelta della collettività di lavorare in questo settore. Oggi il vento è cambiato, ma c'è bisogno di fare squadra, per non disperdere energie ed evitare scontri tra campanili: tanto inutili quanto dannosi".