“Il nostro settore economico ha la forma di una clessidra”, racconta Luca. “Da una parte ci sono tantissimi piccoli agricoltori, dall'altra i consumatori. Al centro le poche industrie che trasformano e distribuiscono i prodotti. Ad arricchirsi sono solo loro, perché comprano la materia prima a prezzi stracciati e la rivendono a dieci volte tanto. Il risultato? Chi lavora la terra fa la fame e sfrutta al massimo il terreno, impoverendolo, per cercare di campare. E ai consumatori arrivano prodotti scadenti”. Ed è proprio per uscire da questo circolo vizioso che Lago Scuro ha sposato la multifunzionalità.
Ma andiamo con ordine. La tenuta agricola Lago Scuro si trova a Cremona, in una zona a vocazione lattiero-casearia che in questi anni ha sofferto molto il crollo del prezzo del latte. A Lago Scuro il latte si produce, ma non lo si vende. Si fanno invece formaggi freschi e stagionati che poi vengono venduti nella zona.
I due ettari coltivati ad orto producono verdura di vario genere, niente monocoltura e niente vendita ad intermediari. Lo spaccio interno si rivolge al pubblico diretto e ciò che non viene venduto viene trasformato in conserve. Il week end l'azienda si trasforma in agriturismo (anche se il termine a Luca non piace, preferisce l'hashtag #CucinaInCascina) con menù degustazione fisso. Si mangia ciò che è di stagione. L'80% delle materie prime viene dall'azienda e il resto è comprato da produttori locali, tutto biologico naturalmente.
“E' il concetto della multifunzionalità e della vendita diretta che salva l'agricoltore dall'essere strozzato dal mercato”, spiega Carlo Fiorani, anche lui cremonese, anche lui disgustato dagli sprechi e dai prezzi bassi del sistema produttivo agroalimentare. “Io coltivo grano e produco pane che vendo direttamente al consumatore attraverso il network di Cortilia. Il mio lavoro ha un senso. Non lo ha, a mio avviso, quello dei panificatori della grande distribuzione, che per avere sempre gli scaffali pieni panificano alle 7 di sera per poi gettare tutto nell'immondizia. Nell'ipermercato del mio paese si lavorano sei quintali di farina al giorno e se ne gettano tre nell'immondizia”.
Rimane il problema di come fare quadrare i conti visto che un ettaro di grano biologico rende la metà di quello tradizionale. “Che però l'industria compra allo stesso prezzo di trenta anni fa, mentre i costi sono aumentati”, si indigna Carlo. “La mia cascina invece offre al consumatore un prodotto di qualità ad un prezzo di mercato. E lo stesso vale per gli insaccati, fatti con suini allevati in maniera umana. Con le uova delle galline e con l'orzo, con cui faccio la birra”.
Luca e Carlo concordano su un punto fondamentale: serve una nuova educazione all'alimentazione. “Se le persone avessero la consapevolezza di ciò che mangiano non andrebbero nei supermercati, ma si rivolgerebbero agli agricoltori”. E quando si parla di educazione si parla di scuola. Così Luca, la cui moglie è educatrice, ha aperto un asilo in cascina in cui i bambini, molti figli di contadini 'tradizionali', imparano che il maiale, in natura, non è affatto marrone, ma rosa. “Speriamo che poi, crescendo, si ricordino il vero senso della parola agricoltura”.
Le due cascine sono un esperimento interessante, ma replicabile su scala nazionale? Un milanese può davvero abbandonare il supermarket per la campagna? “Le grandi città sono il passo finale. Bisogna iniziare dai piccoli centri abitati affrontandoli con reti di distribuzione diretta. Solo così i consumatori avranno del cibo buono ad un prezzo giusto per l'agricoltore”.