Campo Libero” inserito nel Ddl “Stabilità”. Taglio dell’Irap per aziende agricole che vogliano assumere operatori under 40 per almeno un triennio. Sgravio pari a un terzo della retribuzione, sempre a chi assume under 40. Istituito anche un credito d’imposta dedicato allo sviluppo di progetti e-commerce sull’agroalimentare fino a un massimo di 50 mila euro e molte altre proposte volte a rilanciare agricoltura da un lato e alimentare dall’altro. Disponibile anche su web un sondaggio per chiedere agli Italiani come vogliono venga gestita la questione della tracciabilità e delle etichettature. Questi i punti messi sul tavolo dal Ministro del Mipaf Maurizio Martina in occasione del secondo “Forum Food & Made in Italy” tenutosi a Milano il 6 novembre scorso.
 
Forte anche la voglia di semplificare e di controllare senza asfissiare gli operatori. Per esempio è previsto un allargamento della diffida prima che giunga la sanzione amministrativa, tema questo noto soprattutto nel comparto viti-vinicolo. Da istituirsi anche il “Registro Unico dei controlli”, necessario per evitare duplicazioni operative di più entità e permettere alle aziende di non dover perdere tempo due o tre volte per le medesime pratiche.
Per tutto ciò serve però un Decreto congiunto col Ministero dell’Interno, ma la speranza è che questo decreto applicativo si possa firmare entro le prime settimane del 2015.
 
Secondo il Ministro Martina, la crescita di attenzione verso l’agricoltura, soprattutto da parte dei giovani, è figlia della crisi recente e funge un po’ da cuscinetto in attesa che migliori la situazione. La scommessa è invece quella di non fermarsi lì. L’Italia non può permettersi che il settore primario venga visto solo come un ripiego nei momenti bui, bensì venga visto come uno sbocco professionale e imprenditoriale strategico per il Bal Paese.
 
Altra criticità da gestire, la Pac del periodo 2014-2020. Sono più di 50 i miliardi di euro a disposizione. La Governance in collaborazione con le Regioni ha creato e continua però a creare criticità a volte aspre fra le parti coinvolte. Il meccanismo che regola i rapporti fra politiche nazionali e interventi territoriali pare ormai non corrisponda più ai tempi che viviamo. I meccanismi di confronto fra i diversi player normativi sono ormai farraginosi e secondo il Ministro andrebbero quindi cambiati.
 
Un grave problema a carico delle produzioni italiane è rappresentato poi dalla frammentarietà nelle esportazioni agroalimentari. Per questo vi è una crescente esigenza di creare un grande marchio distintivo. E ciò è stato inserito nel Decreto. L’intenzione è quella di sperimentare, senza porsi preclusioni o vincoli a prescindere. L’importante, sempre secondo Martina, è fare qualcosa.
Il tema del “segno distintivo” nasce dall’incapacità storica a fare sistema di questo Paese. Il Made in Italy è percepito in modo molto alto, ma poi da lì a sviluppare strategie ce ne corre.
Siamo la Patria dei Dop e Igp, ma quando si deve spiegare cosa significhino storia e territorio la gara diventa difficile (specialmente quando le materie prime siano d'importazione, nda).
Le mille esperienze raccolte, ribadisce il Ministro, devono trovare strumenti semplici e unitari per uscire dai confini. Sono ben poche le Dop che possano infatti reggere i mercati internazionali muovendosi da sole. Il dovere è quindi quello di costruire un’azione nuova e congiunta.
 
Perché segno e non marchio: l’operazione, che verrà lanciata in occasione di Expo 2015, non andrà però sul prodotto con l’ennesimo marchietto, come già fatto in passato. Il “segno” unitario dovrà consentire di seguire le orme raccolte altrove, come il “bòn apetit” in Francia.
Per esempio, l’azione promozionale unitaria dovrebbe essere portata avanti da un pool di ministeri, non solo da quello dell’agricoltura. Un punto interessante sarebbe per esempio la collaborazione fra Mipaf e Ministero dello Sviluppo Economico. Dovrebbe però essere ingaggiati anche gli Esteri e i Beni Culturali. In altri Paesi vi è un sistema che lega luoghi a prodotti: perché in Italia no?
Si può lavorare per esempio su un mix di strumenti, come le settimane italiane specifiche, come pure attraverso promozioni di tipo spaziale e temporale. Anche serve la promozione diretta attraverso una comunicazione più efficace di quella fatta sino a ora.
 
Stabilire con esattezza cosa sia o cosa non sia “Made in Italy” è però argomento molto spinoso e secondo Martina  sarebbe meglio non addentrarvisi troppo. Per l’attuale Ministro dell’Agricoltura l’origine del prodotto finito e l’etichettatura sarebbero due punti altamente strategici e non solo la produzione delle materie prime. Non si dovrebbe quindi avere paura di tali strumenti, perché il valore del prodotto italiano risiederebbe molto nella trasformazione.
Secondo questa logica, si deve concludere che anche i prodotti trasformati e confezionati partendo da materie prime straniere dovrebbero essere considerati pienamente Made in Italy. Concetto che apre la via a importanti discussioni, perché questa posizione non è affatto condivisa a maggioranza.

Grazie però alla consultazione resa pubblica su web, con apposito questionario, ogni Italiano potrà quindi dire cosa intende per origine del prodotto.
Si spera perciò che i consumatori dimostrino tramite il questionario che il buon senso può essere degno d’ascolto più delle attuali Leggi eurocomunitarie.