È un quadro del futuro tutt’altro che rassicurante quello disegnato a Roma dal convegno “Trasparenza e informazione per una nuova filiera dell’olio di oliva” organizzato dal Ceq (Consorzio di Garanzia dell’Olio Extra Vergine di Qualità) e dal quale è emerso come l’Italia stia perdendo progressivamente quote di mercato a livello globale, pagando un forte dazio a una comunicazione di settore da rivedere integralmente e a una filiera frammentata che non riesce a elaborare nessuna strategia, neanche elementare, per poter affrontare in maniera competitiva i mercati mondiali.

La situazione generale del comparto olivicolo è stata delineata da Tiziana Sarnari, analista di mercato di Ismea, che ha identificato nella fase contingente alcuni elementi positivi, tra cui l’aumento dei prezzi all’origine e la produzione mondiale in calo, e diversi elementi negativi, tra cui la diminuzione dei consumi e della produzione interna che, aggiunti all’aumento dei costi di produzione e all’atomizzazione del panorama delle aziende produttrici (su 1.123.330 ha a oliveto la media per azienda è di 1,2 ha), sta portando all’abbandono progressivo delle coltivazioni.

A fronte di un export in crescita, grazie esclusivamente all’aumento esponenziale della domanda, inoltre, a livello nazionale il calo della produzione (- 12%, la più bassa degli ultimi 12 anni) non riesce neanche a compensare quello dei consumi.
Il dato generale del commercio vede le importazioni attestarsi intorno al 51% e le esportazioni intorno al 33%, con l’Italia che mantiene il primato di primo importatore a livello mondiale e di secondo produttore ed esportatore dietro la Spagna che, da qualche anno a questa parte, sta rosicchiando all’Italia fette di mercato in Usa, Germania e negli altri paesi esteri di riferimento, mentre domina prepotentemente nei nuovi mercati di Russia, Cina, Brasile e via di seguito.

Un dato piuttosto interessante è invece stato offerto dall’intervento di Massimo Occhinegra, esperto di marketing internazionale che, partendo da un’analisi di bilancio di venti produttori a marchio nazionale, ha dimostrato come a una crescita di fatturato non corrisponda affatto una proporzionale crescita di ricavi, attribuendo tale fenomeno alla riduzione dei prezzi al banco del supermercato che si riverbera su tutti gli attori delle fasi produttive a monte, nonché a un eccesso di competitività tra questi che impedisce di fatto al comparto nel suo insieme di aggredire in maniera efficace i mercati, trasformandosi in una vera e propria “guerra tra poveri”.

Il concetto stesso di filiera è stato parte del contributo di Corrado Giacomini, professore di Economia agroalimentare dell’Università di Parma, secondo il quale è ormai indispensabile "smettere di considerare la filiera come un insieme di aziende che partecipano alla produzione per passare a un concetto che abbracci anche credito e istituzioni", includendovi tutto il sistema di relazioni che contribuiscono in qualche misura alla nascita del prodotto filale e alla sua distribuzione e commercializzazione.
Secondo Giacomini, la situazione odierna del settore è identica a quella del 2004, senza che sia stato fatto un solo passo avanti nella direzione di una necessaria coordinazione dei partecipanti al fine di riuscire a incidere sui mercati e di regolamentarli nei limiti del possibile.
Secondo il docente parmense, per dare una svolta al settore è necessario: dare al prodotto olio una sua specifica connotazione che superi gli autoreferenziali particolarismi di Dop, Igp, Stg, alta qualità, biologico, e lo differenzi agli occhi dei consumatori in maniera percettibile dai prodotti assimilabili; aggredire i mercati target con una comunicazione chiara e univoca e, infine, organizzare in maniera efficace l’offerta.
Tutto questo sarebbe possibile solo attraverso lo sviluppo dell’interprofessione, elemento mai evolutosi nel settore olio benché previsto sin dal 1966 (Reg. CEE 159) dall’Europa.

Secondo Gabriele Canali,  professore di economia dei mercati agroalimentari dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Cremona, l’attuale situazione sarebbe in massima parte da attribuire a una colpevole gestione degli aiuti, intascati per anni senza che ci si preoccupasse di reinvestirli per farsi trovare pronti al momento del bisogno. Anche secondo Canali, la chiave per uscire dall’attuale cul de sac è da ricercare in una regolazione dell’offerta e in una collaborazione dei componenti della filiera di carattere quasi solidaristico, a partire dalla creazione di OP efficaci e in grado di controllare il prodotto sul modello di quelle per il pomodoro da industria.






Elia Fiorillo, presidente del Ceq (Foto Agronotizie - © Alessandro Vespa)
 

Secondo il presidente del Ceq, Elia Fiorillo, sarebbe necessario rivedere la strategia di definizione della qualità come sinonimo di specificità locale. "Di 42 Dop, ne funzionano veramente solo quattro o cinque – ha dichiarato – e questa realtà è lo specchio della situazione attuale. Dobbiamo smettere di autocelebrarci nella nostra vasca da bagno nazionale e imparare a collaborare per riuscire a nuotare nel mare aperto dei mercati mondiali. Se non lo faremo, se non riusciremo a cambiare, semplicemente affogheremo".

Sebbene non risolutivo, certamente utile in questo senso può essere il nuovo strumento informatico presentato dal Ceq nel corso del convegno. Si tratta della piattaforma “Quality sharing”, che si propone di ridurre le distanze tra gli attori della filiera, favorendo le relazioni e i flussi delle informazioni, dalla produzione al consumo. Il sistema riduce tempi e costi di certificazione, migliora l’efficienza e il livello di “confidence” nella filiera olivicola e introduce il paradigma della “condivisione”. Una sorta di nuvola nel web in cui virtualmente si incontrano gli attori della filiera scambiandosi reciprocamente informazioni, esigenze e necessità produttive e contemporaneamente si sottopongono ad un autocontrollo incrociato certificabile da un organismo terzo.

Quattro per ora le categorie di utenti che utilizzeranno lo stesso strumento per fini diversi: Ceq, produttori, Organismi di controllo e confezionatori. A questi utenti se ne aggiungeranno altri verso valle in Italia e all’estero.
A gestire il processo di controllo della qualità e fornire il servizio agli aderenti sarà il Ceq; i produttori potranno pubblicare i dati relativi alla produzione, i confezionatori cercheranno le produzioni compatibili con le proprie esigenze e i distributori potranno supervisionare insieme agli organismi di controllo pubblici e privati.
Per cercare produzioni compatibili con le proprie esigenze, inoltre, i confezionatori avranno a disposizione strumenti di ricerca georeferenziati e i risultati delle ricerche saranno mostrati su una mappa geografica interattiva in forma grafica.