Esercitare la forza del consumatore è un diritto ma anche un dovere. Scegliere e acquistare solo dopo aver valutato non solo la qualità organolettica ma anche quella etica e ambientale delle produzioni, sembra banale, non necessario o meglio ancora, facoltativo. Non dovrebbe esserlo.

La portata dei danni al sistema sociale ed economico conseguenti ad azioni criminali nel comparto agroalimentare vanno dal pericolo per la salute dei consumatori fino all’alterazione dell'andamento del mercato.

A dirlo è il primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia presentato a Roma da Eurispes e Coldiretti.

Si tratta di un vero e proprio business parallelo che si insinua sulle tavole degli italiani e che porta con sé l'aumento dei prezzi, la riduzione della qualità dei prodotti e gravi danni alle imprese impegnate nella tutela degli standard del made in Italy alimentare.

Secondo l'analisi, condotta grazie alla collaborazione di Coldiretti, Ismea, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo forestale dello Stato, Procura nazionale antimafia e Agenzia delle dogane, il livello di penetrazione mafiosa in uno specifico settore economico cresce in determiante circostanze.

Concorrono allo sviluppo della cosiddetta 'agromafia', la crisi economica, gli eccessivi squilibri tra domanda e offerta di finanziamenti, la presenza di un tessuto economico prevalentemente composto da piccole e medie imprese - più esposte al rischio di usura e racket - e una maggiore diffusione dell’economia sommersa.

Pur privilegiando settori a maggiore valore aggiunto, la holding del crimine organizzato, in questo periodo di fragili certezze e di insicurezza sociale diffusa, ristabilisce un ruolo di mediazione economica e sociale mostrandosi come 'industria della protezione-estorsione'.

In questo modo, non solo continua a radicarsi nelle regioni meridionali ma segna anche una massiccia espansione nel Nord, specie nelle grandi aree metropolitane in cui risulta localizzata la parte più cospicua, per volume di produzione e fatturato, dell’industria di trasformazione alimentare.

I principali reati in ambito agricolo attribuibili alle associazioni mafiose, si legge nel Rapporto, vanno dai comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli, all’abigeato e dalle macellazioni clandestine al danneggiamento delle colture. Non vanno dimenticate l’usura e il racket estorsivo, l’abusivismo edilizio ed il saccheggio del patrimonio boschivo, per finire al caporalato e alle truffe, consumate, a danno dell’Unione europea.

Gli strumenti forniti dall’innovazione tecnologica, poi, favoriscono i processi di integrazione monetaria e quindi il reinvestimento dei proventi illeciti in attività agricole, nel settore commerciale e nella grande distribuzione.

Rientrano, secondo il Rapporto, tra le attività iscrivibili all'agromafia, anche la contraffazione di marchi, imballaggi e l’Italian sounding che rappresenta la forma più diffusa e nota di contraffazione e falso made in Italy nel settore.

La credibilità conquistata dagli agricoltori italiani nel garantire la qualità delle produzione è un patrimonio da difendere” ha affermato Sergio Marini, presidente Coldiretti, sottolineando come si tratti di un crimine ai danni del consumatore che, per la ridotta capacità di spesa o per la mancanza di trasparenza nei flussi commerciali e d'informazione, viene tratto in inganno.

Accorciare la filiera per un rapporto più diretto tra produttori e consumatori è la ricetta di Coldiretti; inserire la sofisticazione tra i reati riconducibili alla mafia, incrementare i mercati dei produttori agricoli e le cooperative che sorgono sui terreni confiscati mettendo in campo un maggiore coordinamento di magistrature e forze di polizia, quella del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso.

Per i reati che da subito vengono identificati come crimini di mafia” spiega Grasso, “non abbiamo particolari problemi, ma per quelli di sofistificazione sì, perché hanno tempi di prescrizione brevissimi poiché non collegati alla mafia dal codice penale. C’è una commissione agricoltura che sta approfondendo il fenomeno, ma ci vogliono delle politiche agricole che controllino i mercati”.

Colpito dall'interesse dimostrato dai giovani agricoltori Coldiretti intenzionati a proporre un modello alternativo di produzione rispettoso delle regole, Donato Ceglie, della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, ha concluso spiegando come il Rapporto voglia essere un racconto di storie e di partecipazioni per rendere perseguibile la vittoria di questo Paese rispetto alle agromafie.