Glifosate e tribunali americani: anche questa volta la sentenza è andata a favore di Bayer e a sfavore dei querelanti. Nel caso all'oggetto a muovere causa contro il Marchio di Leverkusen era stato un giardiniere che, proprio come il collega Dewayne Johnson, aveva sviluppato un linfoma non-Hodgkin.

 

Purtroppo per Johnson il cancro non gli ha dato speranza, ma in quel caso la sentenza andò a favore suo e dei suoi eredi. Si fanno quindi i migliori auguri al giardiniere della Pennsylvania, ovviamente, ma solo nel senso della malattia che lo affligge.

 

Il problema oggettivo per i querelanti, tutti, è che è tutt'altro che dimostrato che a causare il suo cancro al sistema linfatico sia stato Roundup. Anzi, stando alle autorità di regolamentazione americane ed europee, glifosate non sarebbe affatto un "probabile cancerogeno" come sostenuto dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. 

 

Questione di etichetta

Lungi dall'essere basate quindi sulle evidenze scientifiche, le varie cause mosse a Bayer erano e restano basate su una questione di etichetta. Non nel senso delle buone maniere, bensì di quella autorizzata per la vendita in America.

 

Stando ai querelanti e ai loro avvocati, Monsanto prima e Bayer poi avrebbero dovuto scrivere sulle confezioni che l'erbicida avrebbe potuto causare il cancro. Non avendolo fatto, alcune giurie hanno bellamente ignorato i motivi scientifico-normativi (Epa non ha mai reputato di chiedere al produttore di scrivere in etichetta tale avviso), facendo invece leva sul pessimo vizio vigente negli Stati Uniti di fare causa a qualunque azienda non abbia scritto nelle etichette o nelle schede prodotto degli specifici warning di rischio.

 

Tipo l'esempio ormai abusato (ma sempre valido) dell'avviso di non mettere il gatto nel forno a microonde, perché se un bimbo ce lo mette e lo ammazza i genitori possono fare causa all'azienda in caso abbia omesso lo specifico avviso. 

 

In borsa Bayer guadagna oltre il 10%

A seguito della sentenza in Pennsylvania, le azioni di Bayer sono balzate all'insù del 10-12%. Peccato che da quando i tedeschi hanno comprato Monsanto abbiano perso in borsa molto di più, senza contare gli oltre dieci miliardi di dollari versati nel tentativo di chiudere le decine di migliaia di cause che le erano state mosse sempre sullo stesso tema.

 

I danni di quelle cause predatorie continueranno quindi a farsi sentire a lungo e nessuno potrà mai restituire al marchio tedesco quanto perso nel frattempo. A conferma di quanto possa essere sbagliato il detto "chi rompe paga", poiché sul caso glifosate il vaso rotto era di Bayer, ma a pagare è toccato comunque a lei.