L'erba elefantina (Miscanthus giganteus) è un ibrido infertile di Miscanthus sinensis e Miscanthus saccariflorus, piante erbacee originarie dall'Estremo Oriente, coltivate come ornamentali nei paesi di origine. Da non confondere con l'erba elefantina africana (Pennisetum purpureum), la quale ha caratteristiche morfologiche simili, ma non resiste alle basse temperature.
Il M. giganteus, invece, predilige il clima freddo e umido, e terreni poco profondi, caratteristiche che rendono la pianta adatta ad essere coltivata nell'Europa Centro-Settentrionale, mentre i risultati delle coltivazioni nell'area del Mediterraneo sono ancora incerti.

Il fatto di essere un ibrido infertile rende il M. giganteus sicuro dal punto di vista ambientale: non è una pianta invadente come il M. sinensis (Database delle specie invadenti). Per contro, la sua coltivazione richiede la disponibilità di rizomi, o di talee ottenute dagli internodi, (Figura 1) quindi il suo costo di impianto è alto (poco meno di 5mila euro/ettaro).

Metodi di propagazione del M. giganteus sperimentati durante il progetto Optimisc
Figura 1: Metodi di propagazione del M. giganteus sperimentati durante il progetto Optimisc
(Fonte foto: risultati del progetto Optimisc)

 
Nella Figura 1: metodi di propagazione del M. giganteus sperimentati durante il progetto Optimisc:
  • Semina automatica.
  • Piante ottenute da semi.
  • Piantine ottenute da callo di tessuto parenchimatico.
  • Piantine ottenute da rizomi e germogli internodali.

Nel periodo 2004-2010 esplose una bolla mediatica riguardo la coltivazione di questa pianta, presentata dai sui sostenitori come la "coltura miracolo", destinata a salvare il mondo dal collasso ambientale. Le false convinzioni di affare redditizio, protratte per circa un lustro, sono state sostenute dalla Ue, la quale ha foraggiato a suon di milioni diversi progetti. Uno di questi è l'Optimisc, coordinato dall'Università di Hohenheim fra il 2011 e il 2016. Stando a quanto dichiarato nella pagina web del progetto, sarebbero state sviluppate nuove cultivar commercializzabili. Purtroppo arrivate troppo tardi nel mercato, ossia quando il principale potenziale consumatore di biomassa di miscanto, l'impianto di biocarburanti della Choren GmbH a Friburgo, era già fallito nel 2011.


Il miraggio della biobenzina andato in frantumi

La Choren Industries GmbH era la divisione della Choren Industrietechnik GmbH che, assieme alla Shell e ad alcuni gruppi di venture capital, intraprese a Friburgo la costruzione di un impianto di produzione di biocarburanti sintetici, mediante il processo Fischer-Tropf. Quest'ultimo fu sviluppato durante la II Guerra mondiale, e consentì alla Germania, un paese privo di petrolio ma ricco di carbone, il funzionamento della imponente macchina bellica di Hitler. Nella sua forma originale, il processo consiste nella gassificazione del carbone con vapore d'acqua, ottenendo syngas, una miscela di H2 e CO. Mediante una reazione catalitica ad alta pressione e temperatura, il syngas si ricombina, diventando metanolo, dal quale è possibile sintetizzare altri idrocarburi più pesanti.

L'impianto di Friburgo doveva essere una evoluzione moderna del vecchio e consolidato metodo, alimentato con biomasse anziché carbone. E la biomassa prescelta fu il miscanto, senza alcuna chiara giustificazione razionale. Nel 2009 l'autore ebbe alcuni incontri con funzionari della Choren, arrivati in Spagna a comprare biomassa. L'atteggiamento dei soggetti denotava una totale ignoranza del mercato della biomassa: non accettavano altro che non fosse miscanto, ed il prezzo che pretendevano era 20 euro/tonnellata di biomassa già trinciata e secca, trasporto incluso. A quei tempi, il nocciolino di oliva si vendeva nel mercato spagnolo a 80 euro/tonnellata, trasporto a parte. Nemmeno la biomassa più simile al miscanto disponibile in Spagna a quei tempi, l'Arundo donax, sarebbe risultata competitiva: il costo della raccolta di canne selvatiche in operazioni di pulizia e manutenzione, sommato al trasporto, stoccaggio ed essiccazione, era a quei tempi dell'ordine di 30 euro/tonnellata, ai quali aggiungere poi il trasporto dalla Spagna alla Germania.

Stupisce constatare che grandi multinazionali, come quelle coinvolte nel progetto e incluso lo Stato tedesco e l'Unione europea, finanziatori delle ricerche, potessero decidere un investimento multimilionario solo su estrapolazioni dai "papers" di un ristretto gruppo di ricercatori e dal funzionamento di un gassificatore prototipo da 1 MW.

Analizziamo i seguenti fatti storici per tentare di capire perché esplose la bolla mediatica del miscanto:
  • La Choren aveva messo a punto il processo di gassificazione nell'impianto "alfa", la cui potenza termica nominale era di 1 MW e produceva biocarburanti, di qualità accettabile, mediante il processo Fischer-Tropf, già utilizzato nell'impianto Shell di Bintulu (Malaysia) dal 1993.
  • Il fallito impianto "beta" di Friburgo avrebbe prodotto 15mila tonnellate/anno di biocarburante sintetico, consumando 116.500 tonnellate di biomassa/anno, con un'efficienza di conversione pari al 12,9% (dati dichiarati dai funzionari della Choren).
  • Una volta messo a punto l'impianto "beta", sarebbe stato costruito l'impianto definitivo, previsto dal business plan della Shell, per produrre 200mila tonnellate/anno di biocarburanti, consumando quindi oltre 1.550.000 tonnellate/anno di biomassa. 

Supponendo che effettivamente il miscanto renda 20 tonnellate/ettaro, come sostengono i ricercatori di Hohenheim, e che il processo di gassificazione ipotizzato dalla Choren possa davvero produrre un syngas comparabile a quello ottenuto dal carbone (Figura 2), allora sarebbe necessario dedicare, alla coltivazione della biomassa, almeno 77.520 ettari di terreno, possibilmente nelle vicinanze dell'impianto,. 

Il processo di gassificazione della biomassa, modificato per l'utilizzo del syngas in impianti di sintesi tipo Fischer-Tropf
Figura 2: Il processo di gassificazione della biomassa, modificato per l'utilizzo del syngas in impianti di sintesi tipo Fischer-Tropf
(Fonte foto: diapositiva di una presentazione della Choren ai potenziali partner e fornitori nel 2009)

Orbene, tutta la superficie agricola utile del Baden Württemberg equivale a 1.400.000 ettari. Osservare che la Germania consuma mediamente 2.500.000 barili di gasolio al giorno, ovvero 125.017.125 tonnellate/anno. Quindi, se tutti i presupposti fossero veri, allora basterebbe sottrarre all'industria alimentare il 5,5% della superficie agricola di una singola regione, per produrre l'1,2% del fabbisogno nazionale di gasolio, con un unico impianto. Fatto possibile con le regole di allora, impossibile alla luce della nuova direttiva europea sulle energie rinnovabili (Red II) poiché penalizza le colture energetiche dedicate.  Il fatturato - circa 200 M€/anno - e l'occupazione - 290 posti di lavoro - certamente sono attraenti secondo le logiche di multinazionali e politici. Tuttavia nessuno, inclusi i capitalisti finanziatori dell'iniziativa, si prese la briga di considerare l'aspetto più elementare fondamentale per il successo del progetto: Quale agricoltore investirebbe quasi 5mila euro/ettaro per avviare una coltivazione che rende 400 euro/ettaro (lordi!) all'anno?


Pellet di miscanto: più facili da produrre dei biocarburanti, ma i conti sono incerti

Il fallimento del progetto della Choren non significa a priori che il miscanto non possa essere una biomassa da prendere in considerazione per altri scopi, il più semplice e immediato è la pelletizzazione.
Una sperimentazione condotta dal Gruppo di azione locale Gran Sasso Velino, finanziata dalla Regione Abruzzo, sembra aver dato risultati positivi, ma non si trovano dati posteriori al 2015.
Uno studio condotto da Arpav e Veneto agricoltura, pubblicato nel 2010, analizza la potenzialità di questa pianta nel contesto veneto e la compara con altre colture energetiche.

In linea di massima, pur essendo una coltura fattibile in una buona parte della pianura veneta, il suo grado di affidabilità risulta basso. E' vero che, una volta piantato, produce per circa venti anni e con minimi input agronomici, ma la sua biomassa contiene ceneri a basso punto di fusione, quindi i pellet prodotti con essa, oltre ad avere un basso valore di mercato, richiederebbero l'aggiunta di calce, che ne abbassa il potere calorifico (si veda I pellet di biomassa erbacea).
La "alta produttività", tanto decantata nei "papers" tedeschi, vale per i parametri di valutazione centroeuropei, ma alle nostre latitudini esistono altre piante più interessanti. Secondo lo studio veneto citato, la canna comune (Arundo donax) produce fra le 25 e 35 tonnellate/ettaro, consumando meno acqua del miscanto; inoltre, le sue ceneri hanno un punto di fusione alto rendendola più adatta per produrre pellet.
Il sorgo da fibra (Sorghum bicolor) può arrivare a produrre fino a 40 tonnellate/ettaro e la sua coltivazione consente le rotazioni, cosa difficile con il miscanto, i cui rizomi sono difficili da estirpare alla fine del ciclo produttivo e il terreno, nel quale si è coltivato miscanto, non favorisce l'avvicendamento con la soia, necessaria per recuperare l'azoto.

Se compariamo il miscanto con le specie forestali come il pioppo, lo studio veneto dimostra che quest'ultimo può produrre biomassa nell'ordine di 10-20 tonnellate/ettaro con la tecnica detta short rotation coppice (bosco ceduo a rotazione rapida) e 20-22 tonnellate/ettaro con la tecnica short rotation forestry (bosco a rotazione breve). Vale la pena ricordare che tali biomasse hanno maggiore potere calorifico e minore contenuto di cenere rispetto alle biomasse erbacee, ed il valore di mercato del cippato e dei pellet di legno sono noti e prevedibili. Le alte produttività di biomassa non si limitano al pioppo e non sono circoscritte al Veneto: sono possibili anche in altre regioni italiane, selezionando i cloni più adatti (si veda Produzioni legnose: viaggio nel centro di ricerca di Casale Monferrato).
 

Conclusione

Guadagnerà mai il miscanto una quota nel mercato agroenergetico o rimarrà confinato nel mondo della ricerca? In teoria è una coltura più adatta per la produzione di pasta di carta, per la quale il punto di fusione delle ceneri è ininfluente. Purtroppo, nella pratica le cartiere italiane non sono interessate e attrezzate per la produzione di pasta da biomasse erbose: costa di meno importare la pasta di cellulosa.

E' difficile pensare che il miscanto possa competere con il sorgo come biomassa per gli impianti di biogas. Neanche il diretto concorrente del miscanto, la canna comune, si è rivelato economicamente competitivo, nonostante nel 2014 le prospettive si presentassero buone (si veda Dal Friuli i cloni di Arundo donax ad alta produttività agroenergetica).

Tutto sembra indicare che, almeno in Italia, il ruolo del miscanto sia destinato a rimanere marginale.