Da quando seguo l'agricoltura come cronista, una costante ha accompagnato il mio lavoro: le critiche del mondo agricolo nei confronti della Politica Agricola Comune (Pac). Troppo spinta in difesa dell'ambiente, troppo avara verso gli agricoltori, troppo severa, troppo miope, disattenta al ricambio generazionale, non in grado di sostenere il lavoro degli agricoltori e via su queste tante varianti.

 

Un fondo di verità, probabilmente, c'è, anche se forse più che la Pac - che con una programmazione pluriennale difficilmente può prevedere le diverse incognite che possono influire sull'agricoltura e sui mercati in un periodo così lungo - sono le misure di intervento sui singoli "incidenti di percorso" che dovrebbero essere più tempestivi.

 

Prendiamo il caso della fine delle quote latte nel 2015. Era prevedibile che, una volta tolto il tetto alla produzione che gli allevatori europei ritenevano ingiusto, miope e non più allineato alle esigenze del mercato, i prezzi della materia prima crollassero e che un aiuto specifico per evitare la chiusura di molte stalle avrebbe dovuto essere attivato tempestivamente.

 

Possiamo citare ancora, più in là nel tempo, la riforma dell'Ocm zucchero ad opera dell'allora commissario europeo all'Agricoltura Mariann Fischer Boel, che portò a una crisi di settore e a un marcato ridimensionamento del settore bieticolo saccarifero. A farne le spese, molti agricoltori e filiere in diverse aree d'Europa, Italia compresa.

 

Da quando è entrata in vigore l'attuale Politica Agricola Comune, accanto ai prevedibili disappunti legati alle risorse economiche giudicate non adeguatamente sufficienti da parte degli agricoltori e all'ambientalismo eccessivo (anche in altri Paesi europei si sono levate voci critiche o di aperto dissenso), un altro tema sembra scontentare gli agricoltori e la natura è, manco a dirlo, di origine ambientale.

 

L'obbligo di rotazione imposto dalla riforma della Pac, infatti, imporrebbe alcuni divieti per consentire l'avvicendamento delle colture. Fra questi, in tema di condizionalità rafforzata, la Bcaa 7, che prevede (non la impone, ma chi dovesse decidere altrimenti si vedrebbe progressivamente penalizzato in termini di contribuzioni) la rotazione, cioè un cambio di coltura, inteso come cambio di genere botanico, almeno una volta all'anno a livello di parcella, con l'eccezione nel caso di colture pluriennali, erbe e altre piante erbacee da foraggio e terreni lasciati a riposo. Per Bruxelles si considera monosuccessione, in quanto successione dello stesso cereale in quanto di medesimo genere botanico, la successione dei seguenti cereali: frumento duro, frumento tenero, triticale, spelta, farro.

 

Sono ammesse le colture secondarie, ai fini del rispetto della Bcaa 7, che però devono essere gestite (cioè portate a completamento del ciclo produttivo, essere tenute in campo per almeno novanta giorni, essere portate a frutto, non essere sovesciate, ma essere raccolte, come spiega con la solita chiarezza l'Università degli Studi di Perugia e il team di esperti guidato dal professor Angelo Frascarelli).

 

E qui si innesca tutta una serie di accoppiamenti o, meglio, di successioni, consentite o vietate, che stanno creando qualche grattacapo agli agricoltori, in particolare a quelle aziende agricole che per questioni di reddito o di fabbisogno o di vocazione colturale dei terreni hanno fatto spesso ricorso alla monosuccessione.

 

Mais su mais, cioè una successione fra il primo e il secondo anno, del cereale principe delle razioni alimentari di molti animali da reddito, è ora vietata dalla Pac. È possibile ricorrere ad avvicendamenti come ad esempio soia-mais, loietto-mais e loietto-mais (dove il mais rappresenta un secondo raccolto), oppure procrastinare in campo, ovviamente, l'erba medica in quanto, essendo una coltura pluriennale, non risente del divieto.

 

L'elenco delle colture e delle successioni ammissibili non è oggetto dell'editoriale. Soluzioni plausibili, di fatto, ce ne sono e siamo sicuri che gli agricoltori e gli allevatori sapranno individuare cicli e alternanze più adatte ai diversi terreni, facendo combaciare i diversi incastri. Non sarà facilissimo, ma dobbiamo guardare avanti con fiducia.

 

Restano alcune riflessioni aperte. Così come appare impostata, la Pac invita o a praticare alternanze botaniche da un'annata agraria all'altra oppure a cimentarsi in secondi raccolti. Non sempre, tuttavia, la disponibilità idrica - soprattutto dopo la siccità del 2022 - consente di praticare un secondo ciclo produttivo, che per essere "accettato" dalla riforma della Politica Agricola Comune deve restare in campo per almeno novanta giorni ed essere poi raccolto.

 

Nelle zone in cui la disponibilità idrica non sarà garantita (e attenzione, perché nel 2022 anche la Lomellina, che ha un reticolo di servizio di diffusione dell'acqua efficiente, ha avuto problemi causati dalla carenza idrica), si dovranno praticare alternanze colturali da un anno all'altro.

 

E qui si interseca un altro tema di fondo. Il tasso di autosufficienza. Siamo sicuri, ad esempio, che i nostri allevatori abbiano sufficiente disponibilità di mais, quando il tasso di autosufficienza è al di sotto del 50% e che in alcune zone produttive di importanti Dop è fatto obbligo utilizzare risorse per la razione alimentare degli animali di almeno il 50% proveniente dal territorio in cui insiste l'indicazione geografica?

 

Guardando su un orizzonte più esteso e sui confini non più nazionali, ma dell'Unione Europea, viene da chiederci: saremo costretti a importare di più o di meno da fuori Ue? Con quali conseguenze in termini di sovranità alimentare, costi, disponibilità, sicurezza alimentare? Domande che rivolgiamo proprio mentre la Cina conferma i propri obiettivi di rafforzamento dell'agricoltura interna, attraverso il ricorso a nuove tecniche genomiche per contrastare problemi diffusi anche in Estremo Oriente, come i cambiamenti climatici, la scarsità di risorse idriche, l'esigenza di produrre cibo sano, sicuro, per tutta la popolazione, a prezzi accessibili.

 

Sparare contro la Pac sembra essere uno sport fin troppo praticato. Non lasciamoci prendere la mano, ma non smettiamo di porci domande, tenere vivo il dibattito, sollecitare risposte e azioni rapide e concrete.

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