Quando parliamo di ricerca l'etica dovrebbe avere un peso? E quale (diamo per scontato che sì, l'etica dovrebbe contare)? La domanda sorge spontanea in seguito agli avvenimenti delle scorse settimane e allo stop alla ricerca in tema di cibo sintetico contenuto nel Disegno di Legge elaborato dal Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf).

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Apparentemente, la risoluzione adottata dal Masaf è totalmente in linea con il pensiero del cittadino medio. Chi vorrebbe trovarsi nel piatto una bistecca ottenuta da processi innaturali, attraverso bioreattori, cellule sviluppate in laboratorio, il tutto con l'obiettivo dichiarato di un taglio alle emissioni che è tutt'altro che provato? Non solo: l'intero processo di produzione di cibo sintetico sarebbe governato non dagli agricoltori, che di cibo se ne intendono, ma da multinazionali, le quali sembra paghino affinché di sperimentazione non se ne parli. Una "sostituzione etnica" inaccettabile, perché a produrre cibo dovrebbero pensarci gli agricoltori e gli allevatori e le filiere ad essi connesse, non altri.

 

L'importante è non parlarne e agire sotto traccia. Prova ne è l'ultima denuncia lanciata da Coldiretti Brescia, secondo cui Facebook avrebbe censurato la campagna di raccolta firme promossa dal sindacato, proprio contro il cibo sintetico.

 

Secondo il fact checking di Facebook - denuncia Coldiretti Brescia - il manifesto disinformerebbe poiché definisce i cibi ottenuti in laboratorio come sintetici mentre si tratterebbe di "carne coltivata". Il rischio oggettivo è quello di ingannare i cittadini poiché in realtà quella ottenuta in laboratorio non è carne e non è coltivata.

 

E proprio Coldiretti ha lanciato una vera e propria crociata contro il cibo sintetico e sarebbe davvero impossibile dare torto al sindacato guidato da Ettore Prandini. Alcuni hanno denunciato Palazzo Rospigliosi di miopia, sollevando l'obiezione che è forse più urgente preoccuparsi dei redditi degli agricoltori che non del cibo sintetico, ancora al di là da venire. Forse, ma è opportuno ripercorrere la storia e porsi qualche domanda, soprattutto se si ha il vantaggio di non essere più giovani - almeno per il Psr - e ricordare quando, una ventina di anni fa, Coldiretti cominciò a parlare di tutela del consumatore, attenzione del consumatore, interessandosi cioè a una dinamica mai conosciuta prima dal mondo agricolo: preoccuparsi di chi compra il cibo che gli agricoltori producono.

 

Oggi la maggior parte di chi produce materie prime e cibo si preoccupa della sostenibilità, degli ingredienti, della tracciabilità, di chi produce cosa e come e, soprattutto, di cosa pensa il consumatore e di cosa cerca e chiede. Vent'anni fa, quando Coldiretti per prima pose l'attenzione al tema, da una parte del sistema agricolo non venne capita. Ci aveva visto lunghissimo.

 

Ecco, se anche nel caso del cibo sintetico o di laboratorio, ancora al di là dall'essere consumato su larga scala, avesse ragione? Se la posizione fosse sì avanguardista, ma non così tanto? Cosa ne sarebbe degli agricoltori, se domani il cibo venisse prodotto in laboratori sterilizzati, controllati magari da multinazionali? Gli agricoltori esisterebbero ancora, ma avrebbero un competitor in più sul fronte dei prezzi e magari, una volta affinata la ricerca rischierebbero di essere eliminati dal mercato perché meno economici del cibo in provetta. E chi presidierebbe il territorio?

 

L'Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, prevede che il consumo di carne a livello mondiale aumenterà del 14%. Possiamo tollerare che il laboratorio soppianti l'allevamento, che potrebbe essere fonte di reddito per milioni di famiglie nel mondo, dall'Asia all'Africa, con una fertilizzazione organica, maggiore attenzione al suolo, difesa della società e dell'occupazione e freno alle ondate migratorie? Preferiamo la carne sintetica?

 

I favorevoli toccano i tasti del benessere animale, dei cambiamenti climatici, delle emissioni, sostenendo che la carne in laboratorio o il cibo sintetico sarebbe una soluzione vincente per abbattere le emissioni (ma questi signori hanno mai sentito parlare di trasporti, industria, logistica, automobili, eccetera?), ma si perdono alcuni dettagli importanti: senza fertilizzazione naturale dei terreni come potremmo ridurre la chimica in campo? Senza animali chi fornirebbe le proteine nobili? E a quali costi, una volta che la zootecnia fosse confinata all'angolo? Chi deciderebbe i prezzi del cibo sintetico, gli ambientalisti? O le multinazionali che lo producono?

 

Resta una obiezione che, personalmente, mi fa riflettere e scalfisce la mia posizione granitica nel definire il cibo prodotto in laboratorio come un errore. Ma se fermando la ricerca e la sperimentazione in questo ambito ci precludessimo soluzioni utili a scopo medico? Non ho risposte, sono un umanista e non un uomo di scienza. Credo però che l'etica debba guidare la ricerca, per favorire il progresso e offrire risposte alle grandi domande dell'umanità. Una cosa è certa: dobbiamo rispettare il Pianeta e gli agricoltori lo fanno. Fidiamoci di loro.