Agli Italiani si possono toccare tante cose, ma non tutte. Il vino è uno dei temi intoccabili. Il Belpaese è infatti leader mondiale nella produzione e nell'export di vini, basando su questi prodotti un business miliardario. Ovvio che si scatenino reazioni al fulmicotone a fronte di qualunque ombra, vera o presunta, venga allungata sulla vitivinicoltura nazionale. 


In sintesi, le autorità sanitarie mondiali, a partire dall'Oms, hanno stabilito che l'unica dose sicura per l'alcol sarebbe zero. Soprattutto in materia di tumori. Ciò ha scatenato in Europa una vera e propria battaglia campale circa la proposta di apporre avvisi di rischio sulle bottiglie degli alcolici. Tali inserimenti in etichetta, si teme, potrebbero infatti impattare i volumi d'affari dei produttori, i quali ovviamente non ci stanno. 

 

Scarica il documento dell'Oms: "Alcol and Cancer in WHO European Region - An appeal for better prevention"


Alcol: cancerogeno sì o cancerogeno no?

Sì, lo è. L'alcol è infatti da tempo in Gruppo 1 della Iarc, quello dei "sicuramente cancerogeni", insieme a fumo, amianto e radiazioni ionizzanti. Solo per citare alcuni "coinquilini" presenti nel primo Gruppo redatto dall'Agenzia di Lione. 


In tale gruppo, giova ricordare, finiscono tutte le sostanze per le quali vi siano solide evidenze epidemiologiche sull'uomo. Diversi sono infatti i tipi di cancro sui quali l'alcol ha dato prova di aumentare il rischio tumorale, per esempio il cancro all'esofago e alle mucose in genere dell'apparato orofaringeo. A questi si aggiungono il tumore al seno, quello al colon e, ovviamente, quello al fegato. Si stima che nel corso della vita a venti persone su cento verrà diagnosticato uno di questi cinque tipi di tumore. Un rischio che sale di diversi punti percentuali se bevitori. 


La diatriba, quindi, non è tanto sulla cancerogenicità intrinseca dell'alcol, innegabile, bensì sulla dose alla quale tali rischi diventerebbero sensibili nella pratica. Un ragionamento comprensibile, questo, poiché si sono viste già troppe crociate basate sulla mala interpretazione del "principio di precauzione", quello che se venisse applicato tal quale farebbe bandire la stragrande maggioranza delle attività umane. 


Chi scrive, per esempio, è da tempo che si occupa di glifosate e solo il cielo sa la fatica nel fare comprendere che le quantità assorbite annualmente dai cittadini sono qualche milione di volte inferiori a quelle che potrebbero rappresentare un qualche rischio per la salute. Una fatica spesso inutile, visto che la fobia paranoica contro questa molecola continua ad avvelenare, lei sì, l'immaginario collettivo. 


Del resto, sempre chi scrive aveva pubblicato un altro articolo sull'alcol, evidenziando come a livello europeo sarebbe praticamente impossibile fare autorizzare le bevande alcoliche in veste di prodotti fitosanitari. Se infatti venissero applicati al vino, per esempio, i criteri normativi adottati per la valutazione degli agrofarmaci, questo verrebbe probabilmente considerato troppo pericoloso per essere spruzzato in vigna. Al contrario, i banconi dei supermercati pullulano di bottiglie di vino pronte a essere gustate a pranzo o a cena. Un evidente non-sense che rappresenta forse il miglior esempio di quanti danni abbia fatto la chemofobia "antipesticidi".

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Soglia sì o soglia no?

Non volete assolutamente rischiare di fare incidenti in automobile? Il numero di chilometri che vi potete permettere è zero. Potrebbe sembrare una battuta, ma statisticamente non lo è affatto: se non si fanno chilometri in macchina è ovviamente zero anche il rischio di fare incidenti. Quindi tale posizione è del tutto razionale dal punto di vista statistico. Forse un po' meno dal punto di vista della vita di tutti i giorni. 

 

Quindi, affermare che il consumo di alcolici non ha soglia, relegando a zero la dose giornaliera ritenuta sicura, ha senso oppure no? 

 


I limiti della teoria LNT, cioè del danno lineare senza soglia

Tossicologicamente parlando, è stata da tempo bocciata la teoria del danno lineare senza soglia, in acronimo LNT. Tale approccio prevede che il danno sanitario decresca linearmente al decrescere dell'esposizione. Quindi, finché non si arriva a zero-esposizione un qualche danno, seppur minimo, la LNT suppone vi sia. Per esempio, tale approccio venne applicato in passato contro l'energia nucleare, asserendo che anche la più esigua esposizione alle radiazioni implicasse comunque un qualche rischio di cancro. Tale supposizione venne poi smentita anni dopo. Eppure anche le radiazioni sono in Gruppo 1, quello dei sicuramente cancerogeni. Esattamente come l'alcol.


La LNT dimentica infatti che al calare della dose i dati epidemiologici diventano sempre meno solidi e talvolta contraddittori, fino a non poterli più considerare attendibili. In tali situazioni il rumore di fondo, ovvero tutte le altre variabili in gioco, schiacciano la singola variabile presa in esame, rendendone di fatto impossibile la corretta quantificazione.


Talvolta certe valutazioni LNT sono sviluppate partendo dagli effetti rilevati a dosi sensibili, chiarissimi e inconfutabili, scendendo poi linearmente fino allo zero. Con estrema e grossolana semplificazione, se a dose 1.000 muoiono 100 individui, ed è un dato certo, alla dose 100 la LNT potrebbe calcolare ne moriranno 10, ma qui l'attendibilità del dato è già calata molto. Proseguendo, alla dose 10 ne dovrebbe morire uno. Ma va da sé che in tal caso si arriva alla mera illazione. Cioè una vera e propria stupidaggine dal punto di vista tossicologico.

 

Del resto, anche senza essere tossicologi o epidemiologi appare bislacca l'idea che bere una sola lattina di birra l'anno possa spostare il rischio oncologico. Purtroppo, fatta salva l'osservazione di cui sopra, vi sarebbe subito qualcuno che penserebbe che se una non fa male, allora neanche due. Quindi neanche tre e la quarta vien da sé. Ed è proprio per questo che è stato necessario dire in modo ufficiale: "non bevete". Punto.


Alcol: cosa dice The Lancet

Uno dei riferimenti scientifici più solidi in tema di alcol e salute umana è una recente pubblicazione apparsa su The Lancet, blasonata rivista in campo medico. Lo studio(1) ha analizzato 22 differenti patologie, non solo oncologiche, andando a confrontare diversi consumi di alcol per diverse categorie anagrafiche, geografiche e per entrambi i sessi. 


I dati sono serviti per la stima di due parametri: TMREL e NDE, acronimi di "theoretical minimum risk exposure level" e di "non-drinker exposure". Il primo è il consumo di alcol al quale si è ottenuto il minor rischio sanitario, il secondo è il punto di equivalenza fra bevitori e non bevitori. Cioè l'incrocio al quale bere o non bere alcolici non mostra differenze. 


Il valore numerico adottato per stimare TMREL e NDE è il cosiddetto Daly, parametro estratto dal Global Burden Disease 2020, programma di ricerca globale che stima l'impatto delle malattie in termini di mortalità e disabilità. Il GBD si basa sulla collaborazione di oltre 3.600 ricercatori provenienti da oltre 140 paesi. Per semplificare, i DALY sono la somma degli anni di vita persi o vissuti con disabilità. Lo studio pubblicato da The Lancet è stato quindi prodotto in accordo con tali evidenze. 


Un esempio di curva del rischio relativo per il consumo di alcol, calcolato per tutte le 22 cause associate all'etanolo, debitamente ponderate, è riportato in un grafico posto a pagina 188 del citato numero di luglio 2022 di The Lancet.


Sull'asse Y del grafico (ordinate) è riportato l'andamento del rischio sanitario legato al consumo di alcol, ponendo pari a uno il rischio per i non bevitori. Sull'asse delle X (ascisse) sono invece riportati i grammi di alcol assunti giornalmente, espressi anche come "standard drink". In pratica, uno "standard drink" equivale a 10 grammi di alcol. 


Il grafico è quindi da considerarsi una "super-media" che congloba i diversi sessi, le diverse età e le diverse malattie. Ergo, il valore indicato non vale per tutti. Negli uomini adulti, ma ancora relativamente giovani, il rischio risulta inferiore a quello degli adolescenti o degli uomini anziani. Come pure le donne mostrano rischi più elevati degli uomini. Analogamente, non tutte e 22 le patologie sono uguali. 


Detta in altri termini, i parametri espressi in modo ponderato in quel grafico non vanno presi per qualcosa che valga per tutti e per tutte le patologie. Resta comunque il fatto che intorno ai 16 grammi di alcol consumati giornalmente il valore del rischio è uguale a quello dei non bevitori (NDE). In pratica, è il quantitativo di alcol contenuto in 125 millilitri di vino a 13°. Un sesto circa di una bottiglia da 750 millilitri. 


In più, vi è una sorpresa: scendendo sotto i 16 grammi/giorno, la curva del rischio scende sotto al valore di uno. In sostanza, è come se vi fosse un effetto protettivo dell'alcol (nel paper è indicato proprio così: "protettivo"). 


Non a caso, il valore di TMREL (theoretical minimum risk exposure level) è leggermente più basso dell'NDE: a consumi di 4-5 grammi di alcol al giorno il rischio sarebbe infatti intorno a 0,95 anziché 1. Un'inezia, tale differenza rispetto al valore dei non bevitori. Sarà bene sottolinearlo, prima che parta la ola di chi propugna benefici sanitari dovuti al consumo di alcolici. Si parla infatti di una riduzione del rischio medio ponderato complessivo del 5% rispetto ai non bevitori, bevendo praticamente un sorso al giorno. E quando si dice un sorso, si intende proprio un sorso: non fate i furbini.

 

Siamo cioè su valori talmente bassi di consumo giornaliero, con differenze così minime dal punto di vista del rischio sanitario, che parlare di "benefici" appare del tutto fuori luogo. 

 

Ciò non di meno, anche per l'alcol si dimostra che il concetto di soglia zero è più di tipo mediatico che tossicologico, essendoci margini di manovra davvero risicati. In sostanza, il famoso bicchiere di vino al giorno ci può quindi anche stare, ricordandosi però che ogni individuo e ogni malattia è storia a sé. Quindi, per qualcuno quel singolo bicchiere potrebbe essere sicuro, per qualcun altro no. E nessuno a priori sa se è il primo o il secondo soggetto. Quindi l'estrema prudenza è d'obbligo. 


I warning sulle etichette degli alcolici

Il messaggio "soglia zero", a quanto pare, avrebbe un carattere fortemente politico: serve infatti a dire alla popolazione di non bere, perché i margini di sicurezza sono davvero molto, molto sottili. Come messaggio è ovviamente tranciante e non ammette repliche. Del resto, non si può sperare che il consumatore medio di alcolici possa comprendere una spiegazione basata sul Global Burden Disease, sul Daly e su TMREL ed NDE. 


Sarà quindi bene che il comparto-vino nazionale rinfoderi le scimitarre, poiché non è certo negando le evidenze scientifiche che si difende al meglio il proprio giro d'affari. Anzi, si rischia seriamente di passare solo per l'ennesima lobby che protegge se stessa anche a costo di ignorare la salute dei propri clienti. Un messaggio che dal punto di vista dell'immagine è tutto tranne che positivo. L'ormai noto "bevi responsabilmente" ha cioè trovato una ulteriore ragione di esistere. 


La domanda quindi è: verranno mai apposti, prima o poi, i famosi "avvisi" sulle bottiglie degli alcolici? Forse. L'Irlanda lo sta per fare, incurante del fatto che le sue stesse birre, rinomate in tutto il mondo, e i suoi pregiatissimi whisky dovranno esporre tali diciture in etichetta. Si dubita però che gli estimatori di vini, birre e superalcolici diverranno astemi. Vi sono infatti aspetti dell'alcol che affondano le radici nella storia gastronomica e culturale di più Paesi, non solo dell'Italia. Radici che si dubita possano essere recise da un pittogramma, per quanto macabro possa essere. 


Di certo, una volta apposta sulle bottiglie la scritta "Può causare il cancro", si spera finisca la boria di chi cerca di valorizzare le proprie produzioni basandosi più che altro sulla criminalizzazione dei colleghi che usano i "pesticidi" di sintesi. Una soddisfazione piccola, se vogliamo, ma pur sempre apprezzabile. 

 


1) "Population-level risks of alcohol consumption by amount, geography, age, sex, and year: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2020". Lancet, Vol. 400 July 16, 2022. Pagg 185-235. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(22)00847-9/fulltext