Spiace ripetersi, ma se le cose non cambiano, ripetersi diventa una fastidiosa scelta obbligata. Sul tema televisione e media generalisti se n'è infatti già parlato in passato, testimoniando un profondo disagio nei confronti di articoli e servizi televisivi che pare abbiano come unico scopo quello di coprire di fango chi produce cibo. Specialmente quegli operatori agricoli che con il proprio lavoro permettono di contare su alimenti sicuri alla quasi totalità della popolazione. Soprattutto a quella meno abbiente.

In un primo articolo si era ripercorsa l'evoluzione (o l'involuzione) dei programmi televisivi dedicati all'agricoltura. Nel secondo si era invece approfondita la figura del "disinformatore", ovvero di colui che deliberatamente deforma la realtà per garantirsi vantaggi tutti suoi a scapito del lavoro degli altri.

Oggi si deve purtroppo arricchire la serie dedicata ai media generalisti e agli inutili danni d'immagine che essi portano ad agricoltura e zootecnia, toccando spesso prodotti di pregio che sono per giunta fiore all'occhiello dell'agroalimentare italiano e del suo export, ovvero vini, formaggi e salumi.

Quanto a spunti c'è solo l'imbarazzo della scelta: si può spaziare da Sabrina Giannini, conduttrice di Indovina chi viene a cena, a Sigfrido Ranucci di Report, finendo con Milena Gabanelli e la sua DataRoom. E questo solo pescando la terna più significativa in un mare magnum di giornali, trasmissioni e siti web che se devono parlare di cibo, agricoltura e zootecnia lo fanno solo per allarmare (inutilmente) cittadini e consumatori.

Per esempio sul tema acque si sprecano gli articoli di giornale, oggi contro gli agrofarmaci in genere, domani contro il più specifico glifosate, punti sui quali si sono quindi dovute spendere alcune ore a spiegare come stiano davvero le cose, visto che soprattutto quest'ultima sostanza attiva si rinviene nelle acque per numero di volte e per livelli simili a quelli di un comune antinfiammatorio come il diclofenac. Ma di ciò nessuno fa menzione. Come nessuno pare interessato a dare un quadro completo della molteplicità degli inquinanti antropici nelle acque, ma di derivazione industriale e urbana.


Leggi anche
Avvelenamenti delle acque da glifosate? No: mero clickbait

Sulle trasmissioni televisive sarebbe poi come sparare sulla Croce Rossa se non fossero loro a tenere in realtà il coltello dalla parte del manico, vista la grande presa che hanno sulla popolazione rispetto ai media di settore come per esempio AgroNotizie.

Nella memoria resteranno infatti indelebili le stoccate contro il Prosecco e i vignaioli che lo producono, ma anche quelle contro glifosate e contro i marchi di pasta che lo contengono in tracce omeopatiche, presentate comunque come pericolose per la salute. Per lo meno, instillando il dubbio che lo siano quando invece non è affatto così.


Leggi anche
Residui di disinformazione


Non sono nemmeno mancate puntate di Indovina chi viene a cena e di Report sul mondo della nocciola. Nessuna delle due considerata meritevole di risposta. Nella prima si è data infatti voce a un produttore bio che ha snocciolato, è proprio il caso di dirlo, scenari fantasmagorici in cui le spazzolatrici da raccolta solleverebbero polveri che contengono glifosate, facendole giungere nei polmoni della popolazione e provocando, ovviamente, danni alla salute. Prove? Nessuna. Numeri? Nemmeno. Affermazioni prive di un qualsivoglia contraddittorio, senza che la conduttrice si sia presa la briga di domandare all'intervistato da dove avesse preso quelle informazioni. Perché almeno una siffatta domanda sarebbe il minimo da fare.

Va bene che da mesi si assiste a spettacoli alquanto degradanti in cui si dà voce a ciarlatani laqualunque in materia di Covid, camuffando da talk show una squallida caccia allo share litighereccio, ma a tutto dovrebbe esserci un limite. Dovrebbe, ma non c'è, derubricando a pantomima i molteplici corsi di deontologia che ogni giornalista deve seguire per restare iscritto all'Ordine.

Non meno surreali i due sposi che girano per casa con maschere antigas, come tramesso da Report sempre in tema nocciole. Il tutto, mentre sui social si leggono commenti di altri abitanti della zona che di tali maschere pare non sentano alcun bisogno. Del resto, c'è anche chi nell'area Prosecco ha trasformato la propria casa in una specie di sommergibile a circuito chiuso, trovando anch'egli spazio in Tv quasi fosse una prova concreta dell'irrespirabilità di quell'aria. Forse, maschere e sommergibili sono sì prove concrete, ma di tutt'altro.

Irritante poi l'intervista a un personaggio locale che si rifiuta di fare il nome della cooperativa che raccoglie le nocciole per Ferrero, anch'essa supposta "innominabile", quasi vi sia un clima di intimidazione che grava sulla testa dell'intervistato. Poi si scopre che sul sito della Ferrero è tutto riportato in chiaro, sia il nome della cooperativa, sia il fatto che raccoglie nocciole praticamente in esclusiva per il Marchio piemontese. Quindi, l'aria di occulte pressioni dei soliti "poteri forti", trasmessa con quelle bizzarre esitazioni, è in sostanza aria fritta. Praticamente fiction.

Non male nemmeno l'agricoltore che in lacrime asserisce di aver dovuto espiantare il vigneto che aveva da decenni per sostituirlo con un noccioleto. Quasi la cosa non fosse stata una sua precisa e deliberata scelta imprenditoriale dettata da calcoli di convenienza economica. Peraltro, i noccioleti richiedono un terzo dei trattamenti fitosanitari che necessita una vigna. Quindi delle due l'una: o le vigne non sono i mostri mortiferi che vengono presentati, oppure i noccioleti sono un cambio da prendere con gioia proprio per questioni ambientali e sanitarie. (Disclaimer: né vigneti, né noccioleti sono un problema ambientale o sanitario, a meno di pensare all'agricoltura come a una bucolica passeggiata fra i leopardiani pascoli dell'Asia centrale).

Se poi nei laghi locali si trovano inquinanti a effetto eutrofizzante, forse sarebbe meglio interrogarsi sul destino degli scarichi fognari e industriali delle cittadine circumlacuali. Come pure lascia basiti il fatto che uno degli inquinanti predominanti e più pericolosi nei fondali di quei laghi sia l'arsenico, del tutto naturale. Ma sorvoliamo e proseguiamo.

Tocca pure ai formaggi la propria porzione di mal di pancia: ancora Report si è lanciata infatti all'assalto di Grana, Parmigiano e mozzarelle. Una serie di puntate in cui si sollevano dubbi e sospetti di irregolarità procedurali, quando invece all'analisi dei fatti e delle circostanze nulla di illecito è emerso da quei servizi: una ridda di domande e risposte sapientemente montate in studio, con musichette accuratamente selezionate al fine di alimentare sospetti senza però dare mai una risposta degna di far finire quei manager, quelle aziende o quei consorzi in tribunale.

Anche Milena Gabanelli ha avuto modo di sparare le sue in una puntata di DataRoom, affermando che in Italia si userebbero 1,3 miliardi di tonnellate l'anno tra fertilizzanti e agrofarmaci. A parte il cumulo del tutto fuori luogo fra le due differenti categorie di prodotti, se si consultano le banche dati ufficiali, come Istat per esempio, si scopre che nel nostro Paese siamo ormai scesi a 60 mila tonnellate circa di sostanze attive, corrispondenti più o meno a 120 mila tonnellate di formulati commerciali. Tali usi sono peraltro in calo da 30 anni, risultando inferiori di oltre il 43% rispetto alla fine degli anni ‘80.

Per quanto riguarda poi i fertilizzanti, questi ammonterebbero a sole 4,6 milioni di tonnellate, in buona parte concimi organici di origine naturale. Anche sommando le due voci, come fatto impropriamente dalla redazione di DataRoom, si arriva quindi a 4,73 milioni di tonnellate. Cioè lo 0,36% di quanto citato, ovvero 274,8 volte di più del dato reale. E ci volle un intenso scambio epistolare per ottenere la doverosa rettifica. A buoi ovviamente già scappati, perché nei telespettatori il numero impresso nella mente sarà rimasto sicuramente quello sbagliato.

Ovviamente, l'agroalimentare italiano non è avulso da situazioni imbarazzanti: può essere la cantina sociale che marmella coi volumi di vino prodotti e sulle origini delle uve lavorate, oppure dei maiali derivanti da incroci in cui compaiono razze non incluse negli specifici disciplinari di produzione di certi salumi. Si passa poi nel criminale vero e proprio quando si scoperchiano pratiche immonde come lo smaltimento in campo di fanghi tossici. Quindi il comparto produttivo per primo è chiamato a moltiplicare i propri sforzi affinché tali "incidenti" non avvengano più.

Da qui, ci corre però un mare dal presentare gli allevamenti come lager in cui gli animali sono praticamente torturati con gusto da allevatori para-nazisti. Qualche bifolco che si avvicina a tale profilo c'è, ma è ormai una mosca nera in mezzo a una maggioranza di mosche bianche virtuose. Ce ne corre anche dallo spacciare gli agricoltori per inquinatori a spaglio di "pesticidi" e concimi, visto che sono mezzi tecnici necessari al sostentamento di quelle rese interne per sostituire le quali, altrimenti, dovremmo moltiplicare le importazioni. E visti gli attuali prezzi, v'è da esser certi che gli agricoltori ne useranno giusto il minimo necessario. Forse anche un po' meno.

Non resta quindi che attendere le prossime puntate, magari incentrate su scene strazianti di api morenti su musiche da dramma hollywoodiano, oppure interviste a cittadini laqualunque che senza dovere alcuno di portare prove concrete testimoniano disgrazie personali, attribuendole magari ai "pesticidi" e ricordando per certi versi i no vax che millantano improbabili effetti avversi dei vaccini, per la quasi totalità rivelatisi nei fatti non veritieri. E non è infatti per caso che le due comunità di hater si sovrappongano spesso, poiché quando la fobia contro qualcosa raggiunge livelli parossistici, questi sono i risultati. Risultati per i quali i media generalisti hanno responsabilità enormi e spesso vergognose. Bene appare quindi riaffermarlo una volta di più, per lo meno a beneficio dei posteri.