Quello che segue può essere considerato un breve capitolo di storia dell'agricoltura. Una storia che ha preso pieghe differenti a seconda di come è stata narrata in televisione negli ultimi 65 anni, fino a scomparire del tutto, fagocitata da trasmissioni bucoliche da un lato e da trasmissioni sedicenti di inchiesta dall'altro, ovvero quei programmi basati più che altro sulla criminalizzazione di chimica, genetica e agricoltura intensiva.
L'attuale percezione distorta che hanno dell'agricoltura i cittadini moderni ha infatti radici antiche, con tutti i danni al comparto primario che ne conseguono.
L'agricoltura in tv, oggi
Le attuali trasmissioni televisive che parlano di agricoltura restituiscono spesso un'immagine deformata delle pratiche agricole e zootecniche da cui dipende l'intera popolazione. Se si parla di agricoltura, infatti, lo si fa per lo più in due modi: o raffigurandola come un romantico spaccato di varietà e razze antiche - magari coltivate le prime con le zappe e nutrite le seconde coi forconi di legno del bisnonno - oppure tramite servizi finalizzati a scandalizzare i telespettatori, mostrando le attività agricole come una ridda di nefandezze ai danni della salute e dell'ambiente. Un continuo martellamento atto a fomentare nei telespettatori specifiche psicosi del complotto a fini di lucro, infiocchettate secondo schemi comunicativi ormai consolidati.Oltre al palese orientamento ideologico di certi programmi, che definire dannosi è usare un eufemismo, ad aggravare ulteriormente il quadro c'è anche il fatto che nessun conduttore che si è alternato nella narrazione pare possegga la benché minima infarinatura di cosa sia l'agricoltura. Fra tutti, non se ne trova uno che sia laureato in Agraria, tanto per dire, per quanto una laurea di per sé aiuti poco se il cervello che l'ha conseguita sia comunque schierato a prescindere a favore di ben precise posizioni ideologiche.
Linea Verde: le origini
C'era una volta la ''Tv degli agricoltori''(1), trasmissione a cura di Renato Vertunni nata nel 1955 e proseguita fino al 1969. La sigla era forse già allora anacronistica, con un contadino un po' mesto e solitario che andava in campo a gettare semi a spaglio, manualmente. Un programma in effetti un po' oleografico e ingenuo concepito per essere una trasmissione dedicata ai contadini, all'epoca ancora numerosi e importanti dal punto di vista sociale, economico e soprattutto elettorale.La "Tv degli agricoltori" comunicava con il mondo contadino, più che con la popolazione urbana. A conferma, i contenuti erano di tipo didattico-tecnico, specifici quindi per chi lavorava in campagna. Dopo circa mille episodi, ad essa subentrò "A come Agricoltura", programma televisivo di Rai 1 che andò in onda le domeniche pomeriggio dal 1970 al 1981. Realizzato da Gigliola Rosmino e curato da Roberto Bencivenga, laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Siena, il programma parlava ancora di agricoltura, pur rammodernato rispetto alla versione primigenia. Essenzialmente, continuava cioè a raccontare come veniva prodotto il cibo che arrivava sulle tavole degli Italiani, mostrando le innovazioni tecniche e descrivendo i problemi di cui il comparto agricolo pativa.
Esempio di agricoltura moderna e tecnologica, dispregiativamente bollata come "intensiva". Peccato sia lei a soddisfare la quasi totalità della domanda alimentare dei Paesi occidentali
(Fonte foto: © Donatello Sandroni)
Il cambio di passo
Nel 1978 e fino al 1980 a condurre il programma subentrò poi Giovanni Minoli, laureato all'Università Statale di Modena con una tesi in Diritto Commerciale. Sotto Minoli il programma cambiò ancora nome, venendo battezzato "Agricoltura domani". Il programma, sempre domenicale ma mattutino, fu la naturale evoluzione televisiva dei programmi precedenti, fondendo però diversi generi e tecniche televisive. Da semplice descrizione di ciò che l'agricoltura era, rivolgendosi prettamente agli agricoltori, la creatura di Minoli assunse sempre più le vesti dal giornalismo investigativo, con alcuni sentori perfino di fiction e dando vita a veri e propri speciali di inchiesta, come per esempio "Le sette sorelle del grano", ispirata alle famigerate sette sorelle del petrolio. Approfondimenti vennero forniti anche sulla rivoluzione agraria a Cuba e in Messico.In sostanza, fu sotto Minoli che le trasmissioni sull'agricoltura smisero di parlare agli agricoltori e spostarono il proprio target sui cittadini consumatori. In quegli anni, del resto, erano ormai finite le grandi migrazioni dalle campagne alle città. La popolazione rurale era stata quindi decimata, trasformandosi in urbana e moltiplicandosi nei grandi centri industriali, soprattutto del Nord. Si era cioè perso ogni interesse verso i produttori primari, divenuti politicamente e mediaticamente insignificanti. Le odierne trasmissioni sedicenti di inchiesta, quelle che ogni due per tre dipingono l'agricoltura come fonte di crimini contro ambiente e salute, nascono concettualmente allora, con tutte le conseguenze che ancora oggi, purtroppo, vediamo con cadenza quasi settimanale. Una costanza persecutoria che potrebbe fare invidia agli inquisitori dei roghi alle streghe.
Fu infatti da lì che la tv di Stato iniziò quel processo di metamorfosi che l'ha portata oggi a ribaltare completamente i messaggi delle origini, fornendo dell'agricoltura un'immagine per lo più storpiata, talvolta diffamatoria e criminalizzante, quasi che i produttori agricoli fossero ormai dei nemici da combattere anziché garanti della propria sicurezza alimentare.
Ciò appare soprattutto nei summenzionati programmi di approfondimento (sic!) come Report, Presa Diretta o Indovina chi viene a cena, tutti su Rai 3. E se dovesse mai esistere il reato di "istigazione all'odio agricolo", come esiste quello per l'odio razziale, sarebbe interessante vedere come andrebbe a finire.
Per contro, l'evoluzione delle trasmissioni dedicate esclusivamente all'agricoltura è proseguita in direzione opposta. Non nel senso che dell'agricoltura venga data un'immagine corretta, anzi, ma per lo meno non criminalizzante. O comunque, non sempre criminalizzante.
Una Formula 1 della produzione di latte. Senza allevamenti intensivi verrebbe a mancare la maggior parte degli alimenti, obbligando a sempre più ingenti importazioni dall'estero
(Fonte foto: © Donatello Sandroni)
Nel 1981 a raccogliere infatti l'eredità di Minoli fu Federico Fazzuoli, laurea in Lettere, il quale diede vita a Linea Verde, ulteriore evoluzione di Agricoltura Domani. Fu Fazzuoli stesso in un'intervista a Libero Quotidiano a spiegare la genesi del suo programma: "Riguardo molte puntate di ‘A come agricoltura' e ‘Agricoltura domani' e trovo tre costanti: sono molto maschili, tutti si lamentano e si parla di cose molto tecniche. Allora chiedo a Catherine Spaak e Gigliola Cinquetti di preparare dei servizi da inserire a fine programma, per rendere la trasmissione più leggera e prendere spettatori a ‘Tg l'una'. Poi introduco le previsioni settimanali del tempo".
Fazzuoli capì che lo spettatore medio degli Anni 80 aveva ormi reciso i legami diretti con la campagna. E così sparì dal nome della trasmissione perfino il termine "agricoltura", chiaro segno dei tempi che cambiano. Perché dell'agricoltura in sé importava più nulla.
L'attenzione, pur poggiando ancora parzialmente su temi agricoli, si spostò quindi su quelli ambientali, salutistici e culinari, grazie anche alla presenza di un cuoco, Mario Mariani, il quale imbandiva tavolate di ogni ben di Dio. Dettaglio non da poco, gli Anni 80 furono anche quelli della nascita di Slow Food e dei suoi presidi.
Purtroppo, se a parlare di agricoltura ci si mettono soubrette, gastronomi e cuochi, il destino degli agricoltori pare decisamente segnato.
L'arma vincente della trasmissione di Fazzuoli fu infatti quella di puntare non più su chi produceva cibo, bensì su temi d'attualità, intervistando medici, docenti e vari esperti di diversi settori. Dallo spiegare agli agricoltori come fare per produrre un buon olio di oliva, come avveniva negli Anni 50 e 60, la trasmissione televisiva finì quindi col catturare l'attenzione del pubblico cittadino parlando più dell'olio che di chi lo aveva prodotto. La fine di un'era e l'inizio di un'altra. Purtroppo, con gravi conseguenze a livello di percezione popolare su cosa sia davvero l'agricoltura, divenendo i cittadini ostaggio di tutte le fake news cresciute poi nel tempo.
Per quanto meno romantico dei pascoli in malga, il trinciato di mais assicura una massa di alimenti irrinunciabile al sostentamento della filiera zootecnica italiana
(Fonte foto: © Donatello Sandroni)
Linea Verde: seconda fase
Dal 1994, dopo 13 anni di trasmissione, a Fazzuoli subentrò Sandro Vannucci, con maturità classica e laurea in Giurisprudenza. Nelle nebbie della memoria di quegli appuntamenti domenicali emergono per lo più tanti cavalli e poca agricoltura.Dopo Vannucci, che pur durò cinque anni, vi fu un vero e proprio tourbillon di conduttori e di co-conduttori/ici, come Fabrizio Del Noce, ex-dirigente Rai, seguito da Guido Barendson, critico gastronomico e membro del Comitato di direzione della Guida dei ristoranti dell'Espresso. A Barendson successero Paolo Brosio, oggi imbevuto di estasi religiose, in abbinamento con Paola Saluzzi e il cuoco Gianfranco Vissani. Poi ancora Massimiliano Ossini, laureato in Scienze della comunicazione, Veronica Maya, attrice, nonché Elisa Isoardi, ex "Miss Cinema", modella e conduttrice tv.
Dopo una fugace presenza di Eleonora Daniele, laureata anch'ella in Scienze della Comunicazione, e Fabrizio Gatta, giornalista, dall'autunno del 2014 Linea Verde venne condotta da Patrizio Roversi e Daniela Ferolla. Il primo attore e conduttore con laurea in Lettere e Filosofia, la seconda ex Miss Italia e laureata, tanto per cambiare, in Scienze della Comunicazione. La coppia rimase al timone della trasmissione sino al 2018, quando Roversi venne letteralmente "fatto fuori" dalla produzione per essere rimpiazzato da Federico Quaranta, conduttore radiofonico che però durò anch'egli un anno, venendo silurato pure lui con non poche recriminazioni, anche sul sostituto, Beppe Convertini, come emerge da un'intervista rilasciata a il Fatto Quotidiano.
Convertini, il nuovo conduttore, è un modello-attore con esperienze nelle conduzioni di programmi radiofonici. Ha seguito corsi a Economia e Commercio di Torino, anche se non si trovano riferimenti in bibliografia circa una sua laurea. Ha poi seguito la carriera, appunto, di modello e attore. Al suo fianco Ingrid Muccitelli, giornalista laureata in Scienze della Comunicazione (quasi un'ossessione questa facoltà) alla Libera Università Maria SS. Assunta. Con loro il cuoco chiamato "Peppone". Quindi un profilo del tutto in linea per una trasmissione che di agricoltura ha ormai più nulla e parla per lo più di food-entertainment.
Agricoltura Vs. bucolico
Di tutti coloro che ho sopra citati ne ho conosciuti personalmente due: Ossini e Roversi. Il primo di sfuggita, partecipando a Uno Mattina Estate in tema di glifosate. Con il secondo ebbi modo invece di chiacchierare un po' più a lungo grazie a un convegno cui partecipai a Trento. Mi confessò che Linea Verde l'avrebbe voluta diversa, più collegata all'agricoltura reale anziché ai soliti spaccati bucolici silvo-pastorali ed enogastronomici. Forse il suo defenestramento, chissà, potrebbe essere nato proprio da questo? Non credo lo scopriremo mai. A Roversi va però tutta la mia personale simpatia, nonostante anch'egli, nel corso della chiacchierata, si sia mostrato vittima della disinformazione pseudo-ecologista sulla Rivoluzione Verde e sull'agricoltura moderna.Di certo, Linea Verde è ormai divenuta una serie di servizi incentrati per lo più su allevatori alternativi che hanno riscoperto una qualche razza, meglio se antica e abbandonata, e che si sono messi a fare formaggi tipici in malga, distribuendo fieno in stalla col forcone come facevano i contadini ai tempi di Cecco Beppe. Oppure trova lustro qualche agricoltore altrettanto alternativo e talvolta improvvisato in quanto ex-qualchecosa. Niente di peggio dal punto di vista ideologico, purtroppo, degli agricoltori di ritorno fai-da-te, magari dopo una laurea di tipo umanistico e un lavoro d'ufficio cittadino alle spalle.
E alcuni di questi pontificano pure su cosa dovrebbe essere l'agricoltura, senza contraddittorio alcuno, dimostrando solo di essere degli arroganti senza vergogna.
Questi hanno magari recuperato un antico podere del bisnonno e si sono messi a coltivare qualche varietà da tempo abbandonata di alberi da frutto o di ortaggi. Quelle varietà che di solito producono pochissimo, magari non sono neanche tanto buone perché selvatiche, ma che acchiappano facilmente il cittadino medio facendo leva sul suo cuore gonfio di nostalgia dei "bei tempi che furono". Cioè quei tempi che quel cittadino medio non conosce affatto e nei quali i suoi nonni facevano la fame in campagna. Per questo decisero di andare a cercare fortuna nelle fabbriche in città. Un affarone, i "bei tempi antichi", non c'è che dire.
E così, puntata dopo puntata, conduttore dopo conduttore, il primo filone di trasmissioni televisive sull'agricoltura si è snaturato progressivamente nel tempo, scivolando sempre più nell'enogastronomia e nel turismo. Il danno prodotto da queste trasmissioni (non c'è solo Linea Verde sulla Rai) è che consolidano nei telespettatori l'idea che quella mostrata in tv sia l'agricoltura cui si dovrebbe tendere, in contrasto con quella brutta e cattiva chiamata "intensiva" contro la quale sguazzano appunto le trasmissioni di "inchiesta".
In un pubblico di profani, il malgaro che produce qualche chilo di formaggio l'anno diviene così il contraltare dei caseifici che producono centinaia di tonnellate di formaggi, anch'essi ottimi, intendiamoci, che vengono però distribuiti nei supermercati a prezzi accessibili per 60 milioni di Italiani, non solo a qualche fortunato cittadino in vacanza. Mentre infatti il romantico malgaro può al massimo soddisfare il palato di qualche turista che abbia la fortuna di passare le proprie vacanze in quei luoghi ameni, l'agricoltura e la zootecnica intensiva sono quelle che danno da mangiare a tutti e per 365 giorni l'anno.
Le due realtà possono convivere benissimo. Anzi, è un bene che vi siano entrambe, ma per favore non demonizziamo quella che regge la baracca per tutti, raccontando fanfaluche agresti su quella che copre solo una minima parte dei fabbisogni delle filiere agroalimentari. Tornato dalle ferie, quel turista, infatti, per le altre 51 settimane deve fare la spesa proprio nei tanto vituperati supermercati e questi sarebbero praticamente vuoti se fossero riforniti solo dai succitati malgari dal forcone di legno e dai coltivatori di frutti e grani antichi.
Una sproporzione che non viene affatto trasferita al pubblico dalle trasmissioni tipo Linea Verde, purtroppo. E così il cittadino s'illude che quella mostrata sia un'agricoltura alternativa possibile, senza allevamenti presentati come "lager" e senza gli odiati "pesticidi", cioè quelli senza i quali ci mancherebbe più di metà del cibo.
Una dimensione parallela che odora molto di ubriacatura collettiva. Un giorno, forse, qualche grave rovescio agroalimentare farà passare tale sbornia suicida. Un po' come accade oggi con il Covid-19 nei confronti degli haters dei vaccini e di BigPharma. Ma il prezzo che si dovrà pagare in tal caso sarà altissimo. E di certo non lo pagheranno registi, produttori e conduttori delle trasmissioni che hanno contribuito a tale disastro.
1) Gian Luigi Corinto* (2013): "La TV degli agricoltori. The italian television broadcasting for farmers until 1970". Agricoltura – Istituzioni – Mercati, n° 1-2/2013, pag. 273. * Università di Macerata.