Un lavoro ciclopico, quello di Arpa Lombardia sulle acque, nella fattispecie superficiali. Ben 305.726 determinazioni analitiche, relative a migliaia di campioni prelevati in decine di comuni differenti e punti di campionamento diversi. Bene quindi che tali progetti proseguano e vengano adeguatamente finanziati, anche perché tramite i loro risultati è possibile scoprire alcune cose interessanti.

Per esempio, c'è una molecola che è stata reperita per 371 volte, con un minimo di 0,03 µg/L (microgrammi per litro, ovvero milionesimi di grammo) fino a un massimo di 4,6 µg/L, con una media di 0,2 µg/L e per 175 volte sopra il limite di legge per le acque potabili, pari questo a 0,1 µg/L.

No: non è glifosate, bensì diclofenac, un antinfiammatorio di comune impiego sotto molteplici forme di somministrazione. Essendo di ampio utilizzo non è quindi strano si trovi nelle acque, ovviamente dopo essere stato smaltito per via urinaria dai cittadini che l'hanno assunto per una qualsivoglia ragione. Tali statistiche, con somma sorpresa, sono quasi perfettamente sovrapponibili a quelle di glifosate, il quale è stato trovato 321 volte da un minimo di 0,03 µg/L a un massimo di 4,8 µg/L, con una media di 0,229 µg/L e per 178 volte sopra il limite di 0,1 µg/L. In pratica, diclofenac e glifosate mostrano più o meno gli stessi trend, tranne che per due aspetti: l'antinfiammatorio è stato trovato 50 volte in più rispetto all'erbicida e per lui non è previsto alcun limite nelle acque, contrariamente agli agrofarmaci. Aspetto di cui si parlerà in un prossimo paragrafo.

Proseguendo nell'analisi dei dati resi disponibili da Arpa Lombardia per il 2019 (un gigantesco file in excel con tutte le informazioni sui luoghi, le date e le concentrazioni), troviamo Ampa, metabolita anche di glifosate. Bene sottolineare "anche", poiché esso deriva pure da vari detergenti e tensioattivi di uso civile e industriale. Non a caso è stato trovato per 846 volte, con un picco di 40,91 µg/L e una media di 1,22 µg/L. Per 700 volte è risultato superiore al mai abbastanza vituperato limite di legge per le acque potabili (vedi sotto), come pure per 173 volte è risultato sopra 1 µg/L, poi 35 volte sopra i 5 µg/L, 21 volte sopra i 10 µg/L, infine 6 volte sopra i 20 µg/L.

In sostanza, Ampa è risultato presente in ragione di 2,6 volte di più di glifosate. Esprimendo il rapporto fra le due molecole in via percentuale, glifosate è stato cioè trovato in ragione del 38% delle volte in cui è stato rinvenuto Ampa, peraltro senza mai avvicinarsi ai valori di concentrazione più alti mostrati dal suo metabolita. Questo, infatti, per 35 volte è risultato superiore alla massima concentrazione di glifosate stesso. Ergo, si deve iniziare a ragionare anche sulle molteplici vie che portano Ampa alle acque superficiali. Vie non necessariamente agricole. Anzi, visti i numeri sopra esposti vi è da pensare che quelle agricole siano minoritarie rispetto a quelle civili e industriali.

Molto peggio fa però l'arsenico, trovato 1.234 volte a valori superiori a 1 µg/L fino a un picco di 54 µg/L e una media di poco inferiore a 3 µg/L. Il problema è che per l'arsenico l'approccio normativo e comunicativo è profondamente differente. Trattasi infatti di elemento naturale, con una normativa che ne fissa i limiti 500 volte più in alto dei prodotti fitosanitari. Altrimenti si perderebbe il conto dei pozzi e degli acquedotti che andrebbero chiusi in nome della salute pubblica.
 

Limiti obsoleti e allarmismi ingiustificati

In primis, è bene sottolineare come il più delle volte venga tirato in ballo a sproposito il limite di legge per le acque potabili quando si parla di acque superficiali. Per queste ultime, infatti, non esiste una soglia stabilita dalla legge, a meno ovviamente che un corpo idrico superficiale serva anche per l'approvvigionamento degli acquedotti. Di fatto, nel report di Arpa Lombardia sono descritti corpi idrici che vanno dal grande lago alla roggia di scolo dei campi coltivati. Quindi è del tutto fuori luogo sventolare come uno spauracchio i famosi (o meglio: famigerati) 0,1 µg/L che tanto sembrano piacere alla stampa generalista quando si tratti di spaventare ad arte la cittadinanza. Un limite che oltre a essere inadeguato per le acque superficiali, appare del tutto obsoleto e anacronistico anche dal punto di vista scientifico perfino circa le acque potabili per le quali è stato concepito.

La Direttiva 80/778/CEE, del 1980, stabilì infatti diverse soglie per una molteplicità di sostanze inquinanti, esprimendole come concentrazioni nelle acque. A tutti i prodotti per la difesa fitosanitaria delle colture agrarie, indipendentemente dalla loro tipologia e dagli aspetti tossicologici intrinseci di ciascuno di essi, venne attribuita una soglia pari a 0,1 µg/L. Questo in caso di presenza di singole molecole, ma la soglia sale a 0,5 µg/L per eventuali miscele di sostanze attive contestualmente presenti.

Colpisce che nel medesimo documento vengano poste soglie decisamente superiori per elementi la cui nocività per la salute umana è ormai chiara, come arsenico, cadmio, piombo e mercurio. Questi inquinanti possono essere anche di origine naturale, cioè non essere immessi nelle acque da specifiche attività antropiche, come per esempio l'arsenico. A questo la medesima direttiva fissò una soglia di 50 µg/L. Appunto, 500 volte quella imposta alle sostanze attive a uso fitosanitario.

Medesimi livelli vennero considerati tollerabili per i cianuri, per il piombo (in acqua corrente) e per il cromo, mentre per cadmio e mercurio tali valori vennero espressi rispettivamente pari a 5 e 1 µg/L. Ovvero 50 e 10 volte i limiti posti agli agrofarmaci. Anche gli idrocarburi furono contemplati nella direttiva, con un valore di 10 µg/L: cento volte superiore rispetto a quello degli agrofarmaci. Divari palesemente sproporzionati, sebbene si comprenda come all'epoca i prodotti fitosanitari fossero gravati da profili tossicologici molto peggiori di quelli attuali.

Applicando invece specifiche formule "Risk & science based" è possibile stimare per gli agrofarmaci reali soglie di tollerabilità tossicologica, superiori centinaia o migliaia di volte al valore di 0,1 µg/L. Un aspetto che ridimensiona di molto il tema della presenza di agrofarmaci nelle acque, rivelatasi per la quasi totalità sotto il singolo microgrammo per litro nel report sopra citato.

Scarica il Report sulle acque potabili 2020
 

Molteplici inquinanti del tutto ignorati

Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito. In caso si parli di acque, quando il dito indica i "pesticidi" l'ingenuo fissa appunto i "pesticidi" e non vede tutto il resto che la mano, ovviamente, si guarda bene dall'indicare. Cioè la vasta eterogeneità di inquinanti nelle acque di cui si parla poco o nulla, forse perché su di essi non è facile costruire campagne di criminalizzazione pianificate ad hoc.

Per esempio, nelle analisi dell'Arpa su vari corpi idrici superficiali, si rileva una presenza anche di piombo, cromo, nichel e idrocarburi. Non mancano nemmeno gli ftalati, i fluoruri, nonché solventi come xylene, dicloroetilene, isopropilbenzene, dicloropropano o toluene. Nell'elenco compaiono anche stirene, benzene, fenoli. I PCBs vengono trovati anch'essi, sebbene in concentrazioni nell'ordine dei picogrammi, rivelandosi contaminanti pressoché ubiquitari anche se ormai di minima entità. Reperiti in diverse località anche Pfos (perfluoro octane sulfonate), anch'essi a concentrazioni fra i pico e i nanogrammi. Parimenti, sempre su questi ordini di grandezza, sono stati rinvenuti idrocarburi policiclici aromatici, dieldrin e metaboliti di endosulfan e Ddt, ormai banditi da tempo.

A fronte di quanto sopra esposto, cosa dovrebbe pensare il mondo dell'agricoltura di titoli come "I fiumi lombardi avvelenati dal glifosato: la diagnosi dell'università Statale", di La Repubblica (2021). Oppure quello de Il Fatto Quotidiano (2016): "Glifosato e pesticidi, quest'agricoltura ha fatto disastri. Ma si può ancora fare qualcosa", pubblicato nella rubrica "Ambiente & veleni" sempre in tema acque.
Non da meno, sebbene pubblicato da una testata a carattere locale come PrimaTreviglio.it (2021): "Glifosato nell'acqua, nella Roggia Vignola concentrazioni otto volte sopra i limiti di legge". Nella roggia? Limiti di legge per le potabili? Otto volte sopra il limite? Si sta cioè parlando di 0,8 µg/L, un valore circa 900 volte più basso dei già prudenziali limiti per le acque potabili di alcuni Paesi anglosassoni. Cioè il nulla trasformato in notizia.

E l'elenco potrebbe proseguire a lungo, basta fare una ricerca su Google. Di fatto, grazie a tale campagna mediatica a martello, è stato costruito a tavolino un Golem, gigante d'argilla presente nella tradizione ebraica. Un essere privo di facoltà intellettive, ma dotato di poteri sovraumani. Ovviamente nefasti, quando si parli di agrochimica. Dura quindi che l'opinione pubblica non venga polarizzata da una comunicazione così fuorviante e deliberatamente direzionata. Soprattutto quando la contro comunicazione del mondo agricolo stesso sia frammentata, loffia e talvolta persino contraddittoria.

Un problema, quello della comunicazione, che sarà bene tutti i player del settore primario inizino ad affrontare insieme, anziché limitarsi a qualche sparuto comunicato stampa, a buoi scappati, che non sa né di pesce né di carne, ripetendo il mantra che i "pesticidi" sono sicuri perché normati bla bla bla.

Serve ben altro. O lo si capisce, e in fretta, o l'erosione di fiducia popolare operata dai soliti noti proseguirà imperterrita finché da salvare non vi sarà più nulla.