Ovviamente non è detto che sia la vera verità, perché per essere lì si può anche pagare. Il digitale è entrato prepotentemente nelle nostre vite e con il Covid-19 vi è stata una drammatica accelerazione.
Dal punto di vista del commercio abbiamo visto che in pochi anni si è avuto uno sviluppo veramente incredibile delle piattaforme di ecommerce. Si sono creati veri giganti nel settore con diversi livelli di servizio (i famosissimi Amazon e AliBaba - oramai fra le attività al vertice planetario dell'economia) come anche siti specializzati (pensate, per il turismo, a Booking). In pratica questi giganti spadroneggiando sulla rete intascando una fee (ricordate il famoso fiorino del film "Non ci resta che piangere"? ) per ogni transazione, in una sorta di oligopolio globale. Mica bello.
Un altro filosofo questa volta italiano, Stefano Bonaga, diceva anni fa che come una volta il potere pubblico si impegnava a costruire (o a far costruire) strade oggi si deve impegnare a costruire (o a far costruire) le vie digitali.
Noi aggiungiamo: anche i mercati digitali, per il commercio a tutti i livelli, dal bottegaio al grande export).
Dalla recente indagine "Imprese agroalimentari: trasformazione digitale ai tempi del covid" (scaricabile in rete) voluta dal promettente e oramai lanciatissimo assessore all'Agricoltura della Regione Emilia Romagna Alessio Mammi, apprendiamo che ancor oggi i due terzi delle imprese agroalimentari di una regione estremamente evoluta come l'Emilia Romagna non fa ricorso all'ecommerce (sia a gestione interna, sia delegando a piattaforme esterne).
C'è tanta strada da fare o, meglio, da costruire.