Il coronavirus influenza il mercato delle commodity agricole, risveglia i sovranismi (questa volta alimentari), sprona a progettare una nuova agricoltura (a partire dall'aumento delle rese in campo fino all'utilizzo di sistemi di agricoltura di precisione e agricoltura 4.0) e spinge anche a ragionare sull'opportunità di sostenere le filiere agroalimentari verso l'autosufficienza, peraltro non sempre possibile.

È innegabile che gli ordini di rimanere a casa abbiano influenzato le abitudini di vita, le modalità di acquisto del cibo (più e-commerce e Gdo, azzerata l'Horeca), i consumi (+65% le vendite di farina in Italia, dove pasta, pane, pizza fanno parte del Dna della storia della nutrizione di tutti i ceti e i censi), ma anche l'andamento dei mercati e le politiche degli Stati.

Le commodity hanno subito inevitabilmente le sollecitazioni di nuova domanda, di freni al trading, di rallentamenti di logistica, oltre agli effetti dei cambiamenti climatici.

Fao, Wto e Oms nei giorni scorsi hanno invitato i governi "a ridurre al minimo l'impatto delle restrizioni sul commercio di prodotti agroalimentari legate alla pandemia Covid-19", a conferma che qualche timore c'è.

Si chiami nazionalismo, sovranismo, protezionismo, sono le dinamiche che ricorrono sistematicamente a ogni accenno di guerra e il coronavirus, per alcuni aspetti, viene considerato alla stregua di una guerra in atto.

Non stupisce, dunque, che la Russia - il più importante esportatore di grano a livello mondiale - abbia deciso di bloccare una parte del trading sui mercati internazionali. Benché la Russia sia stata solo sfiorata (per ora e sempre secondo le dichiarazioni) dal Covid-19, Mosca non vuole correre il rischio di lasciare senza scorte di grano e farina i propri cittadini. E chissà che queste misure non vengano rafforzate, applicando come quasi sempre avviene quando si vuole erigere un muro con l'esterno, attraverso dazi all'export o veri e propri stop imposti per legge.

Il Kazakistan ha vietato le vendite all'estero di grano, applicando restrizioni anche ad altri prodotti considerati strategici come olio di semi di girasole, zucchero, carote e patate. La Serbia ha imposto lo stop all'export di olio di semi di girasole.

Il Vietnam ha bloccato l'esecuzione di nuovi contratti di fornitura all'estero di riso. L'India ha sospeso le esportazioni, dovendo monitorare forse il più imponente lockdown imposto alla popolazione di uno Stato di 1,4 miliardi di persone. E la Cina non solo ha fermato le esportazioni di riso, ma per non minare i propri stock e garantire gli approvvigionamenti ha siglato un'intesa con l'Italia per importare riso e carne bovina. Dal ministero dell'Agricoltura cinese è giunto l'invito alla popolazione di non fare incetta di riso, dal momento che le forniture di mercato sono abbondanti. Ma evidentemente la gestione complessiva delle notizie dopo il coronavirus ha minato la credibilità dei messaggi delle autorità cinesi al popolo.

In Egitto, il maggiore acquirente mondiale di cereali, il presidente Al-Sisi ha ordinato di aumentare le riserve strategiche di prodotti di base, mentre nelle Filippine il Governo prevede di importare riso per sostenere gli approvvigionamenti.
La scorsa settimana, l'Arabia Saudita ha incrementato gli ordini di orzo, l'Algeria ha pagato diversi carichi di frumento l'8% in più rispetto alle due settimane precedenti, mentre i commercianti turchi hanno pagato prezzi che erano il 10% superiori rispetto a due settimane prima.

I prezzi sono aumentati (+10% i grani nelle ultime due settimane), mentre le proiezioni dell'International grain council (Icg) indicano per la prossima campagna (2020-2021) raccolti più abbondanti rispetto alla stagione precedente e un trading mondiale (import ed export) in aumento. Stime che non dovrebbero dunque innescare la miccia rialzista oltre soglie preoccupanti e a dimostrazione che il rialzo dei prezzi di quest'ultimo periodo è dettato da dinamiche legate ai consumi (si veda il boom dei prezzi del Carnaroli a 1.040 euro la tonnellata e del Vialone Nano a 1.390 euro, con un balzo del 20% per entrambe le varietà).

Fra le commodity non agricole sta riprendendo quota il prezzo del petrolio, dopo l'accordo raggiunto in seno all'Opec, che ha stabilito di ridurre le produzioni del 10%, ponendo così fine alla guerra fra Arabia Saudita e Russia. Un aumento dei prezzi verso valori superiori ai 50 dollari al barile - secondo gli analisti - dovrebbero stimolare la ripresa delle fonti alternative energetiche, favorendo così politiche di sostenibilità ambientale.