Nel 2013 l'azienda vinicola Guido Berlucchi, famosa per i suoi spumanti, ha iniziato la conversione di tutti i suoi vigneti al biologico. Conversione che è terminata quest'anno, con la prima vendemmia completamente bio.
A seguirli in quella che la cantina stessa definisce "una avventura" sono stati anche i conferitori, che coltivano 400 dei 500 ettari di Chardonnay e Pinot nero usati nel metodo classico.

Ma il passaggio al biologico non è stato facile, anzi. AgroNotizie ha intervistato Diego Cortinovis, agronomo dell'azienda.

Cortinovis, perché avete deciso di passare da un'agricoltura tradizionale a quella biologica?
"Siamo passati al biologico come coronamento di un percorso di attenzione al territorio iniziato alcuni anni fa con l'introduzione di pratiche di agricoltura sostenibile. Abbiamo inizialmente eliminato l'utilizzo di diserbanti, poi abbiamo adottato il metodo della confusione sessuale per combattere la tignoletta e ci siamo impegnati ad eliminare gradualmente alcuni agrofarmaci".

Come è stato il processo di conversione?
"E' stato molto impegnativo perché il biologico richiede delle attenzioni particolari. In Franciacorta siamo fortunati perché si coltiva prevalentemente Chardonnay e un po' di Pinot nero, dunque abbiamo un ciclo produttivo molto corto. Normalmente il 6-7 agosto vendemmiamo e dunque la pianta è meno esposta".

Facendo biologico come vi difendete da ampelopatie come la peronospora?
"Utilizziamo rame e zolfo. Ogni pioggia che ha determinate caratteristiche di intensità e bagnature fogliari richiede un intervento. Lo facciamo però con dosi bassissime in modo da non inquinare il terreno. Mediamente consumiamo 5,5 chilogrammi di rame per ettaro all'anno".

Per concimare le vigne quali tecniche adottate?
"Facciamo una concimazione organica, con letame bovino, compost e residui vegetali verdi. E poi il sovescio, che aiuta moltissimo la struttura del terreno, grazie al lavoro svolto dall'apparato fittonante di alcune essenze".

Come combattete l'oidio?
"Questo non è un areale particolarmente interessato dal fungo. Nelle zone in cui compare, specialmente nei vigneti più ridossati alle colline, utilizziamo zolfo in polvere".

Con la tignoletta ricorrete al metodo della confusione sessuale. E' efficace?
"Funziona bene su ampie superfici. Da questo punto di vista abbiamo dato vita ad un processo virtuoso in Franciacorta. Dato che l'efficacia aumenta con l'estensione di utilizzo anche i vicini dei nostri conferitori sono stati spinti a usare i diffusori di feromoni".

I vostri conferitori come hanno accolto la decisione di passare al biologico?
"Sono i primi ad essere orgogliosi di fare biologico. Abbiamo fatto questo percorso assieme e non c'è stata alcun tipo di imposizione. Certo, per loro significa più lavoro e attenzione alla vigna, ma vengono ripagati dal giusto riconoscimento e dal vivere in un territorio dove si usano meno agrofarmaci".

Qual è il premio che la Regione Lombardia attribuisce a chi fa biologico?
"La Regione riconosce circa 800 euro ad ettaro, 500 per l'integrata. Ma se si guarda solo a questi soldi il gioco non vale la candela. Il nostro è stato un discorso di etica aziendale: noi e i nostri conferitori abbiamo preso coscienza che praticare un'agricoltura diversa è possibile".

Non ci sono state resistenze?
"Non particolari. D'altronde la Franciacorta è giovane e aperta all'innovazione. Settant'anni fa questa non era una zona a vocazione vitivinicola. Dunque molti agricoltori sono giovani, altamente preparati, svincolati dalla tradizione e aperti al progresso".

Le scelte fatte nel corso del tempo vi hanno ripagato?
"Come azienda abbiamo puntato sempre sulla qualità. Lo vediamo ad esempio in vigna, dove abbiamo scelto sesti di impianto molto fitti, con 10mila ceppi per ettaro. Abbiamo produzioni limitate, circa 900 grammi per vite, ma di qualità. Questa annata non è stata favorevole, per il clima e per la presenza di peronospora. Avremo una diminuzione della resa di circa il 20%, ma con una qualità comunque alta".