Il tonno rosso? Lo salva l’acquacoltura della Tunisia. Naturalmente rispettando le quote di pesca fissate a livello internazionale e sottoscritte anche dal Paese nordafricano. Il sushi Made in Japan (il Giappone è il principale Paese destinatario di buona parte della produzione tunisina, dove avviene l’ingrasso del pesce lungo la costa Est, la fascia centrale del Paese) è così salvo, per la soddisfazione delle tradizioni culinarie nipponiche.
E’ questa una delle molte attività dell’acquacoltura tunisina. In crescita e con molte potenzialità di ulteriore sviluppo. Attenta a captare le tecniche di allevamento più innovative (e magari attente al risparmio energetico) e in linea con elevati standard igienico sanitari. ‘Non per niente uno dei principali Paesi destinatari del nostro pesce è l’Italia, che ha esigenze di mercato piuttosto elevate’, dichiara Mostafa Ben Dag, direttore del Centro Tecninco d’Acquacoltura  in Tunisia e ospite al prossimo appuntamento di Acquacoltura Med, in programma a Veronafiere il 22 e 23 ottobre prossimi.
La crescita dell’acquacoltura tunisina è certificata non soltanto dai flussi di prodotto destinati all’Italia (o al Giappone, come nel caso del tonno rosso, 'che consente ai produttori di casa nostra un incremento ponderale ottenuto attraverso l’ingrasso di 400 tonnellate l’anno', spiega ancora Mostafa Ben Dag), ma anche da un rovesciamento della bilancia commerciale dell’acquacoltura, avvenuta dopo una situazione di stallo durata 15 anni (dal 1992 fino al 2007) e provocata da una concorrenza agguerrita proprio sulle importazioni di pesce in Italia, in cui la Tunisia si è trovata progressivamente a dover fare i conti, da una sorta quasi di monopolio o canale privilegiato negli anni Ottanta, alla presenza di altri competitor internazionali come Grecia, Turchia, Malta e Marocco.
‘Dal 2006–2007, quando in Tunisia si è deciso di incoraggiare il settore dell’acquacoltura, per soddisfare le esigenze di un mercato che nel frattempo era cambiato’, prosegue Mostafa Ben Dag, ‘sono sorti 78 progetti. Con una peculiarità: erano rivolti al mercato interno’. Investimenti portati avanti da imprenditori locali e finalizzati al mercato tunisino. Così, ‘se in passato le percentuali del settore dell’acquacoltura erano un 70% di esportazioni e un 30 per cento destinato al mercato nazionale’, analizza il direttore, ‘attualmente le percentuali si sono ribaltate e il mercato interno assorbe il 70-80% della produzione’.
L’acquacoltura in Tunisia, infatti, non significa solamente allevamento da ingrasso di tonno rosso. ‘Le principali specie allevate sono infatti il branzino e l’orata, relativamente alle quali sono in corso quattro progetti di allevamento in gabbia’, spiega Mostafa Ben Dag, ‘Poi possiamo contare su altri tre progetti di allevamento interno e altrettanti importanti progetti di allevamento in gabbie marine off-shore. Sono stati avviati fra il 2007 e l’inizio di quest’anno. La zona interessata è quella della costa Est. Esiste poi un piccolo progetto nel Sud della Tunisia che pratica l’allevamento in gabbie tradizionali, all’interno di un porto commerciale protetto’.
Naturalmente, quando si parla di acquacoltura in gabbia si fa riferimento ad un’attività intensiva, con una densità media di 15 chilogrammi per metro cubo ed un’alimentazione al 100 per cento di tipo mangimistico. Parlando sempre di acquacoltura marina, poi, nel Nord della Tunisia si allevano cozze (e solo marginalmente ostriche), con una produzione di oltre 300 tonnellate.
Il futuro dell’acquacoltura, in Tunisia, appare roseo. ‘I dati indicano da un lato una progressiva diminuzione degli stock, in particolare per alcune specie destinate al consumo diretto. Contemporaneamente, si riscontra un aumento dei consumi sia per motivi di tipo demografico che per l’incremento dei flussi turistici’.
‘In passato, l’acquacoltura ha sofferto di una cattiva immagine. Ora la situazione è cambiata radicalmente. Attualmente, la rintracciabilità, le condizioni rigorose di controllo degli allevamenti, il controllo scrupoloso dell’alimentazione assicurando produzioni in grado di dare la massima soddisfazione ai consumatori’.
Si assiste inoltre alla nascita di un’acquacoltura biologica, ‘chiamata anche verde o azzurra e da sviluppare quanto prima, per una questione di rispetto dell’ambiente. Il mare va preservato attraverso un controllo attento degli scarti, dei rifiuti, dei trattamenti praticati, dell’alimentazione, delle modalità di allevamento’. Una coscienza ‘bio’ come motore dell’acquacoltura.