Gli allevamenti? Meglio chiuderli. Troppo elevato il loro impatto ambientale, per non parlare delle sofferenze inflitte agli animali e dei rischi che si corrono nel consumare latte e carne.
Falsità ripetute senza sosta, insistenti e convincenti. Non stupisce che queste "false-verità" siano divenute opinione diffusa fra i più, specie se disinformati.
Troppi sono così pronti a sostituire carne e latte con farine di insetti, prodotti di laboratorio e bevande vegetali.
Salvo poi ricorrere a un largo impiego di integratori alimentari, dei quali gli italiani sono tra i più voraci consumatori in Europa.
Ma cosa accadrebbe a un mondo privo di allevamenti?
L'ambiente
Partiamo dagli aspetti ambientali. Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, afferma che il contributo della zootecnia italiana alla produzione di CO2 si ferma al 5,2%.
Impietoso il confronto con altri settori, come quello dei trasporti (24,7%) o della produzione di energia (55%).
Senza contare che la CO2 di origine animale, a differenza degli altri settori, non è "aggiunta" all'ambiente, ma fa parte di un ciclo biogenico.
Nel caso dei bovini si realizza poi un ciclo virtuoso che si traduce con una quota di CO2 sequestrata in piante e terreni che è superiore alla CO2 emessa.
Contribuisce a ridurre l'impatto ambientale il modello di allevamento italiano. Aziende mediamente più piccole rispetto ad altri Paesi e con un alto livello di efficienza. Una zootecnia di precisione che consente di produrre di più consumando meno.
Salubrità indiscussa
Inutile soffermarsi sulla salubrità di carne e latte. Le affermazioni su una loro presunta pericolosità sono state tutte sconfessate dalla scienza.
Ovviamente a fronte di un consumo in linea con le raccomandazioni della Who, World Health Organization.
Come accade in Italia, dove il consumo reale di carni procapite è di soli 32,9 chilogrammi all'anno.
Economia circolare
Meglio allora interrogarsi sulle conseguenze che uno stop agli allevamenti avrebbe su ambiente, economia e società.
Iniziamo dall'ambiente. Il vantaggio si fermerebbe al solo 5,2% che già abbiamo visto. Ma si tratta di un dato teorico, stimato in eccesso, in quanto gli animali sono alla base di un virtuoso sistema di economia circolare che apporta innegabili benefici ambientali.
Nella loro alimentazione rientrano infatti numerose lavorazioni seconde (erroneamente definite sottoprodotti) che altrimenti dovrebbero essere trattate per il loro smaltimento, con impatti ambientali non trascurabili.
È il caso, ma sono solo alcuni esempi, dei residui di lavorazione delle barbabietole da zucchero, della trasformazione delle arance e di altri frutti, come pure dei pomodori, o quanto residua dalla produzione di olio o di birra.
Animali come "miniere"
Dagli animali non si ricava solo carne, latte, uova, ma anche sostanze che hanno importanti applicazioni in campo medico.
Un elenco incompleto comprende il materiale biologico per protesi e poi componenti dei farmaci (ad esempio lattosio, stearato di magnesio). Prodotti difficilmente sostituibili senza modificare la biodisponibilità del farmaco stesso.
Molti sottoprodotti di origine animale trovano inoltre applicazione nella cosmesi, come pure nell'industria manifatturiera.
L'esempio delle pelli e del cuoio nelle imprese calzaturiere è quello più comune.
Le parti degli animali che non trovano utilizzo possono essere valorizzate come fertilizzanti o fonti energetiche.
Acqua e desertificazione
Parlando di fertilizzanti non si può dimenticare il ruolo fondamentale dei "residui" del metabolismo animale. Il letame che si può ottenere dai bovini, ma anche da suini e avicoli, è un ammendante naturale che oltre ad apportare nutrienti al terreno ne migliora le caratteristiche fisiche, favorendo ad esempio la ritenzione idrica.
I processi di desertificazione che interessano talune aree del nostro Paese, e sono quelle dove l'allevamento è meno diffuso, ne trarrebbero vantaggio.
Si potrebbe contestare che per produrre un chilo di carne siano necessari 15mila litri di acqua. Si tratta di una forzatura tesa a sostenere tesi preconcette.
Per la maggior parte si tratta di acqua piovana, mentre quella realmente utilizzata dagli animali torna in circolo con gli alimenti e con gli "esiti" del metabolismo.
Nessun consumo dunque, ma semplicemente un "uso", come ricordato dal Crea, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria.
I custodi dell'ambiente
L'assenza di animali è poi motivo di spopolamento di aree marginali che si traduce nel degrado dei boschi, nella progressiva scomparsa di prati e pascoli, nell'incuria di quelle opere di regimazione delle acque fondamentali nel prevenire il dissesto idrogeologico, in particolare nelle aree di montagna.
Quello dell'agricoltore e allevatore custode dell'ambiente e del territorio è una figura che incontra sempre maggiori consensi, tanto da essere contemplata in un progetto di legge, che dopo aver superato l'esame del Senato è stato recentemente approvato dalla Camera.
Con 198 sì, 56 astenuti e nessun voto contrario, la legge, che attende solo di essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale, riconosce il ruolo dell'agricoltore nella tutela dell'ambiente e del territorio e per dare maggior peso a questa figura si è istituita al contempo una Giornata Nazionale dell'Agricoltura.
Preziose fonti di proteine
Senza gli allevamenti non sarebbe possibile valorizzare territori inadatti alla produzione di alimenti direttamente consumabili dall'uomo.
Emblematico il caso dei ruminanti, che grazie al loro particolare metabolismo sono in grado di trasformare in preziose proteine essenze vegetali di nessun interesse per l'alimentazione dell'uomo. Accade anche per altre specie animali, come suini e avicoli, sia pure in misura più ridotta.
Se l'alimentazione dell'uomo dovesse basarsi esclusivamente su prodotti di origine vegetale, trascurando le possibili conseguenze di carattere nutrizionale, ci sarebbe da interrogarsi su come sfamare una popolazione mondiale che in 30 anni avrà 2,5 miliardi di bocche in più.
Fao e Ocse confermano che la produzione di riso, frumento e mais, principali cereali della dieta dell'uomo, potranno aumentare del 20%, ma sarà necessario anche un aumento del 35% delle produzioni di origine animale.
E non bisogna dimenticare che molti alimenti di origine vegetale, come frutta e verdure fresche, non possono essere disponibili ovunque. E la sostituzione di carne e latte con cibi vegetali ultraprocessati potrebbe essere una risposta impraticabile per motivi sia economici sia nutrizionali. Analoghe considerazioni si potrebbero fare per i cibi realizzati in laboratorio.
Impatto sociale
Infine, la scomparsa degli allevamenti avrebbe ripercussioni economiche e sociali devastanti.
In Italia il mondo degli allevamenti conta circa 170mila aziende (ma ogni anno ne perdiamo circa settemila, come denunciato da AgroNotizie®) che realizzano un fatturato di 30 miliardi di euro e che occupano 513mila addetti.
Impossibile rinunciarvi, in Italia come nel resto del mondo.
Tanto più che la richiesta di alimenti di origine animale, come si è visto, è destinata ad aumentare per rispondere alla crescita demografica.
Una risposta alla fame
Si pensi poi al ruolo dei piccoli allevamenti nelle aree più povere del pianeta. Mi piace ricordare a questo proposito il passaggio di un libro, a firma di Martin Caparros, dal titolo emblematico: "La Fame".
Caparros racconta l'incontro in Niger con Aisha, una giovane donna intenta a preparare un pasto povero e frugale a base di miglio e gli chiede: "se un mago potesse esaudire ogni tuo desiderio che cosa gli chiederesti? Voglio una vacca - risponde Aisha - che mi dia molto latte. Se vendo il latte in più posso comprare quello che serve per fare più frittelle di miglio".
"Il mago - replica Caparros - può darti molto di più, tutto quello che vuoi". E Aisha, in un sussurro, risponde: "Due vacche, così non avrò fame mai più".
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