Fermate quei cinghiali


La peste suina africana continua a destare preoccupazioni, tanto più che sia in Lazio sia in Liguria aumentano i casi di cinghiali infetti da questo virus.
Il timore è che la malattia possa espandersi dai cinghiali ai suini, mettendo a rischio 20 miliardi di euro in salumi e decine di migliaia di posti di lavoro.
Per sollecitare una risposta a questa emergenza, Coldiretti ha organizzato una giornata di protesta a Roma della quale riferisce L'Arena del 30 maggio.


 La richiesta è quella di ridurre la consistenza di cinghiali, sia per limitare la diffusione della peste suina africana, sia per evitare i tanti danni all'agricoltura che questi animali provocano.
A rischio, ricorda l'articolo, ci sono 31mila allevamenti italiani di suini, insieme a una filiera che tra salumi mortadelle e prosciutti impiega circa 100mila addetti.
Le misure fin qui adottate o comunque prese in esame, dalle recinzioni elettrificate ai piani di sterilizzazione, non hanno portato a risultati significativi.
Inoltre il riscontro di cinghiali infetti comporta abbattimenti in via cautelativa dei suini della zona infetta, oltre a vincoli per la movimentazione degli animali, con perdite complessive che sono valutate intorno ai 20 milioni di euro al mese.


La guerra del grano

Il conflitto e il blocco dei commerci contribuiscono a tenere in tensione il prezzo del grano e degli altri cereali, che continua a salire.
Nei magazzini sono fermi oltre 20 milioni di tonnellate di cereali tra grano, orzo e mais destinati all'esportazione.
Lo svuotamento dei magazzini, scrive Vittorio Ferla sulle pagine de Il Riformista del 31 maggio, è indispensabile per trovare posto ai nuovi raccolti in arrivo tra poche settimane.
Le previsioni stimano una produzione di 19,4 milioni di tonnellate, assai meno dei 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione.
Qualche buon risultato è già stato raggiunto utilizzando vie alternative di trasporto su strada e su ferrovia, ma i quantitativi sono ancora insufficienti.


Stando alle stime del ministero dell'Agricoltura ucraino, le ultime semine sono state inferiori di circa il 30% rispetto alla media degli ultimi cinque anni.
Per questo motivo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sottolinea che per fare fronte alla minore disponibilità di cereali e semi oleosi i principali paesi produttori dovranno colmare la differenza per frenare l'aumento dei prezzi.
L'emergenza colpisce anche l'Italia, che secondo Coldiretti importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais per l'alimentazione del bestiame.
L'Italia, si legge a conclusione dell'articolo, deve affrontare una questione importante, che è quella di avere una politica del cibo che ora non esiste, una food policy per dirla con un termine anglosassone.


Niente accordo per il pomodoro

Fumata nera sull'accordo per il prezzo del pomodoro da industria nel Centro-Sud Italia.
Al momento, scrive Vera Viola su Il Sole 24 Ore del 1 giugno, c'è solo un'intesa su alcune norme che porteranno a un accordo quadro.
Distante resta invece la posizione delle parti sul prezzo, con i produttori che chiedono 140 euro a tonnellata, pur essendo disponibili a scendere sino a 130 euro, mentre i trasformatori non sono intenzionati ad andare oltre i 120 euro per la tonnellata.


L'analogo accordo per il pomodoro da industria del Nord, precisa l'articolo, è stato chiuso a 108,50 euro per tonnellata.
La rigida posizione della parte agricola, dichiara il direttore generale di Anicav (Conserve alimentari) Giovanni De Angelis, rischia di minacciare il comparto del pomodoro da industria nel bacino del Centro Sud, con importanti ripercussioni sull'economia del territorio. 


Una recinzione per fermare i cinghiali

Il tema della peste suina africana e della conseguente necessità di contenere la diffusione di cinghiali torna sulle pagine dei quotidiani il 2 giugno.
A occuparsi dell'argomento è Federica Cravero che su Repubblica spiega come il commissario straordinario Angelo Ferrari intenda affrontare questa emergenza.
A quanto pare la strada seguita è quella dell'installazione di recinzioni per tenere i cinghiali lontani dagli allevamenti di suini.
Molte le perplessità, al primo posto la capacità di queste recinzioni di reggere all'assalto di animali pesanti e robusti come possono essere i cinghiali.


Insieme alle recinzioni inizierà anche il piano di abbattimento, che potrebbe interessare circa 50mila cinghiali e nel frattempo si è dato il via libera allo spopolamento degli ungulati anche fuori dalle zone infette.
Gli obiettivi da perseguire sono quelli di contenere la diffusione del virus e al contempo mettere in sicurezza gli allevamenti di suini.
A questo fine sono stati stanziati finora 50 milioni di euro, 10 per le reti di recinzione, 25 per i ristori alle aziende e 15 per adeguare le aziende alla prevenzione del contagio.
Intanto, si legge nell'articolo, è stato posato il primo pezzo di recinzione sulle colline di Ponzone nell'alessandrino.


Il latte non latte

Dopo la carne non carne ottenuta in laboratorio arriva anche il latte non latte.
Ne dà anticipazione Attilio Barbieri sulle pagine di Libero del 3 giugno, descrivendo le iniziative di una start-up israeliana che sta aprendo in Danimarca un impianto gigantesco per produrre latte in laboratorio, partendo dalla fermentazione di proteine animali.
Facendo leva sulle tentazioni ambientaliste che pervadono la politica europea, il progetto vorrebbe proporsi come alternativa sostenibile alla zootecnia tradizionale.

Qualora arrivasse il via libera dell'Unione Europea al commercio di latte e formaggi sintetici, l'impianto danese sarebbe pronto a invadere il mercato europeo.
C'è il tentativo di imporre una dieta globalizzata, interviene il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, commentando il nuovo progetto danese.
Dubbi sulla pericolosità di questo novel food li esprime Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, secondo il quale c'è un gruppo di multinazionali che sta approfittando della transizione verde per imporre una dieta unica a livello globale


Braccianti cercasi

C'è preoccupazione per la carenza strutturale di manodopera in agricoltura.
L'allarme viene dalle pagine di Avvenire del 4 giugno, dove Cinzia Arena fa il punto della situazione raccogliendo le dichiarazioni di Davide Vernocchi, coordinatore Ortofrutta di Alleanza cooperative italiane.
A suo parere il problema si va facendo sempre più forte, vista l'impossibilità di reperire lavoratori per la raccolta di frutta e ortaggi che si concentra in estate.
Molte le difficoltà incontrate per fragole e ciliegie, raccolte facendo ricorso a braccianti improvvisati e impreparati.

 

Anni fa non era difficile reperire manodopera italiana, poi sostituita da polacchi, quindi rumeni e moldavi, mentre ora si trova disponibilità solo nella popolazione nordafricana.
A parere di Vernocchi una soluzione passa dalla revisione del sistema contributivo.
Poi il voucher agricolo andrebbe perfezionato per evitare eccessive rigidità.


Grano, il prezzo resterà alto

Forse non sarà sufficiente a ridare stabilità al mercato del grano, ma la recente apertura alla possibilità di riprendere le esportazioni dai porti ucraini ha contribuito a "raffreddare" i prezzi, come scrive Andrea Zaghi su Avvenire del 5 giugno.
La notizia arriva da fonti turche, dove il portavoce del presidente Erdogan ha dato notizia della disponibilità della Russia a riaprire i porti.

 

I mercati delle materie prime, spiega il presidente della Borsa Telematica (Bmti) Giampaolo Nardoni, continuano ad essere sotto pressione per un insieme di fattori e non solo per il conflitto. 
Fra questi, le condizioni climatiche avverse in alcune aree del mondo forti produttrici, poi l'elevato costo dell'energia e dunque dei fertilizzanti.
Il prezzo del grano duro, infatti, è cresciuto in Italia dell'86% su base annua e solo del 3,6% dall'inizio della guerra.
Sotto il profilo esclusivamente tecnico, le prospettive non sono buone in quanto a livello mondiale il Grains Council prevede un calo dell'1,6% e una riduzione delle scorte del 4%.
Ma le tensioni dei mercati non si fermano al grano, conclude l'articolo, ma vedono un aumento generalizzato di tutte le materie prime alimentari.


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