Non tutti conoscono il Crea. Ce lo presenta?
"Rispetto ad altre strutture, il Crea risulta essere forse meno 'famoso'. Questo perché, in passato, la ricerca non è stata vista come leva strategica nel nostro paese. Nel settore agricolo questo sembra oggi essere cambiato e il Crea si presenta rinnovato, anche grazie al raggruppamento in questo ente di ricerca di tutte le singole componenti che precedentemente erano vigilate dal Mipaaf.
Attualmente il Crea rappresenta il principale ente pubblico di ricerca e conta oltre 2mila addetti divisi in dodici centri, articolati a loro volta in quarantasei sedi distribuite su tutto il territorio nazionale, che si occupano a tutto tondo di quello che riguarda la ricerca legata al settore agroalimentare, dalla genomica alle tematiche ambientali, dalla meccanica agraria alla nutrizione.
L'ente si occupa anche delle 'tematiche di filiera', con sei dei dodici centri che si occupano di temi trasversali e gli altri specializzati in zootecnia, foreste e legno, cereali e colture industriali, orticoltura e florovivaismo e colture arboree. Su queste filiere cerchiamo di sviluppare un sistema di ricerca che sia il più possibile partecipato e coinvolga anche gli addetti ai lavori, in modo da renderne il risultato immediatamente accessibile e fruibile per tutti coloro che ruotano attorno al sistema agroalimentare.
Le attività del Crea sono quasi integralmente finanziate da contributi pubblici o dalle risorse legate ai bandi di ricerca. Non ci interessa molto quale sia il risultato economico della ricerca, ma che questa possa essere di interesse commerciale, perché questo significa che è utile a qualcuno. Per questo la piccola quota finanziaria derivata dai diritti di sfruttamento della proprietà intellettuale, rappresenta per noi, più che una risorsa, il modo di finalizzare l'attività di ricerca verso obiettivi utili al settore senza cedere alle lusinghe della ricerca fine a sé stessa o utile solo al curriculum dei ricercatori".
Pac, I Pilastro, II Pilastro, pagamenti accoppiati, pagamenti disaccoppiati, Parlamento europeo, Commissione, Corte di giustizia… Tra tutte, l'Europa è forse l'istituzione meno comprensibile, per chi, come voi, non ha a che fare con le sue strutture. Le lancio una sfida: riesce a spiegarcela in meno di due minuti?
"E' un compito a dir poco arduo, che contempla elementi vari e articolati.
L'Europa è una struttura complessa, sovraordinata da strutture altrettanto complesse come quelle degli Stati nazionali. Nella predisposizione alla Politica agricola comune, che costituisce l'intervento principale della politica europea, queste complessità tendono a evidenziarsi: due minuti sono quindi decisamente pochi.
Il discorso sulla struttura di quella che è la politica agricola, su cui si sta attualmente ragionando in vista di quella che sarà la nuova Pac, può essere semplificato andando a vedere quali sono gli elementi innovativi rispetto al passato, che si concentrano essenzialmente su un indirizzo di incentivazione di un'agricoltura più sostenibile, che guardi con maggiore attenzione alla tutela dell'ambiente dotandosi di un sistema di misurazione basato su indicatori che consentano concretamente di associare determinate politiche di finanziamento alla realizzazione di obiettivi effettivi in termini di salvaguardia degli ecosistemi locali in cui viene realizzata l'attività agricola".
L'Italia è uno degli Stati fondatori dell'Unione europea, ma nonostante questo e i proclami bellicosi di alcuni politici, sembra rimanere il classico vaso di coccio tra quelli di ferro. Quanto conta veramente l'Italia nell'Europa "che conta"?
"Nella mia veste istituzionale non ho molti elementi per rispondere alla domanda. Posso risponderle da cittadino e da studioso di questi temi.
L'Italia conta per il valore che ha nella società internazionale e che è molto alto. In particolare nel settore agroalimentare, l'Italia detta in un certo senso le regole del gioco. Rimane da capire cosa funzioni e cosa invece non va nell'interlocuzione con l'Europa, ma tendo a non condividere la visione di un'Italia sottomessa. È chiaro che in certi momenti qualche partner tenti di aggredire le nostre produzioni e i nostri mercati, ma questo fa parte della normale competizione internazionale ed è importante che il paese si doti degli strumenti e delle capacità per poter eventualmente contrastare questi fenomeni. L'esperienza europea deve essere vissuta dal nostro paese come tutte le esperienze della vita che richiedono competizione".
Perché il Mipaaft continua a equiparare legalmente la biodinamica con l'agricoltura biologica, quando gli stessi rapporti dei tecnici del Crea indicano che è del tutto inefficace?
"Su questa vicenda si è creato un polverone. Credo sia stato giusto da parte del ministero occuparsi della biodinamica, cercando di capire quali siano gli aspetti che possano essere validati e assecondati e quelli che debbano essere invece segnalati come propaganda priva di ogni effettiva evidenza empirica.
Noi abbiamo diversi ricercatori che si sono occupati e tuttora si occupano di tematiche affini alla questione della biodinamica, prediligendo soprattutto la questione della sostenibilità ambientale delle produzioni e, inevitabilmente, ci incrociamo con alcune tecniche del sistema biodinamico. La biodinamica non ha un corpo che permette di identificarla come una pratica scientificamente valida, ma contiene al suo interno delle iniziative che possono avere una giustificazione. Queste ultime sono quelle oggetto della regolamentazione, così come pratiche in comune con l'agricoltura biologica e l'uso di determinati prodotti; non certo quelle tipo la semina con la luna piena o la fertilizzazione con letame trattato con i raggi cosmici. Quello dell'agricoltura biodinamica rimane comunque un metodo che non può essere avallato in toto da un'istituzione scientifica".
La recente pronuncia della Corte di giustizia europea sugli Organismi geneticamente modificati ha rimesso la scottante questione degli Ogm nelle mani degli Stati membri. Cosa dobbiamo aspettarci dall'Italia, che sino ad ora non ha decisamente brillato in quanto ad apertura?
"Non credo che sia una questione di apertura mentale, ma di corretta valutazione del contenuto intrinseco di alcune applicazioni scientifiche, e di capire qual è la loro portata e il loro impatto sulle produzioni agricole. Sugli Ogm sono state fatte delle valutazioni tutto sommato allineate al modello di specializzazione agricola italiana. Diverso è quello che è accaduto con la sentenza della Corte di giustizia europea rispetto alle nuove tecniche di miglioramento genetico, in quanto la sua formulazione scontenta tutti coloro che si oppongono agli Ogm e alle altre tecnologie di miglioramento genetico, stabilendo che tutto ciò che, pur essendo formalmente Ogm, se non ha fatto male non deve essere considerato tale. Di contro ci troviamo a non dover portare avanti le nuove tecnologie di genome editing, che sappiamo essere molto più precise di quelle applicate su molte varietà vegetali che oggi comunemente utilizziamo.
Personalmente ritengo che questa sentenza aiuterà molti paesi, tra i quali l'Italia, a prendere iniziative per rimettere le cose al loro giusto posto, anche perché nei fatti il testo è abbastanza ambiguo con il suo da un lato non considerare di fatto Ogm prodotti derivati da vecchie tecnologie di miglioramento genetico casuali e dall'altro condannare le nuove tecnologie che escludono l'inserimento nel genoma della pianta di Dna estraneo. Credo quindi che sarà compito di tutti i paesi intervenire sulla direttiva Ogm, ormai datata e che non tiene conto di queste nuove tecnologie".
Ricerca e innovazione sono parole di cui tutti si riempiono la bocca in convegni e seminari. Ma se l'Italia continuerà a coccolare l'idea di un'agricoltura sempre più romantica e a seguire mercati dominati dalla logica del "senza", la nostra innovazione quale sarà? Non sarebbe il caso di cominciare a lavorare per orientare opinione pubblica e mercati, invece di seguirli?
"La questione è ambigua, perché non si sa cosa siano i mercati… certamente c'è un mood a livello internazionale che, partendo da Expo 2015 e dagli studi sullo stato di salute del pianeta, comincia a valutare con molta attenzione l'impatto ambientale della produzione di cibo e l'impatto del cibo prodotto sulla salute. Negli ultimi venti o trenta anni sono cresciute le ricerche e le conoscenze circa le relazioni tra alimentazione e salute e questo si semplifica nelle dinamiche di mercato con il "senza", termine che dà una sorta di garanzia al consumatore che il suo cibo non contiene elementi che possano nuocere a lui o al pianeta.
Compito della ricerca non è quello di contrastare o assecondare questa semplificazione senza una logica, bensì quello di produrre una serie di condizioni che possano rendere la semplificazione quanto più possibile coerente con una realtà che ci dice che dobbiamo ottenere produzioni con il minor contenuto possibile di sostanze o elementi che possano avere effetti negativi sull'ambiente. Questa logica di sottrarre determinati elementi alle produzioni agricole rendendole sostenibili da un punto di vista ambientale è quindi una delle principali sfide che la ricerca affronta. Dal mio punto di vista devo dire che, posto che le innovazioni tecnologiche ci permettono di fare esattamente questo e di rendere molto più trasparente il contenuto dei prodotti, scrivere in etichetta semplicemente "senza" o "con", entro qualche anno servirà a poco: avremo etichette sostanzialmente 'parlanti', che ci diranno cosa stiamo mangiando e che effetti ha quel prodotto su salute e sull'ambiente. Tutto questo sarà certificato da istituzioni scientificamente riconosciute. Questa fase di mercato sicuramente si protrarrà, ma se l'innovazione tecnologica andrà come auspichiamo, nel prossimo decennio la situazione si modificherà e le etichette consentiranno di certificare il contenuto al di là della propaganda del 'con"' o del 'senza'".
Altro tormentone è quello della "sostenibilità", che ognuno declina come meglio preferisce. Cos'è realmente l'agricoltura sostenibile? E come ci si arriva?
"La sostenibilità è, se vogliamo, un concetto olistico: o c'è tutta o non c'è affatto. In termini di attività agricola significa poter produrre quantità pari o maggiori delle attuali impiegando un quantitativo di risorse minore a quelle attualmente utilizzate, avendo cura che questo abbia un impatto sull'ambiente minore e, tanto per chiudere il cerchio, producendo un reddito superiore.
Alcune parti del problema coincidono: un minore impiego di risorse significa anche costi minori e maggior reddito, ma produrre con meno risorse significa anche produrre di meno, per cui si rendono necessarie soluzioni tecnologiche che permettano di incrementare l'efficienza produttiva. E qui la ricerca rappresenta lo snodo cruciale.
Da questo punto di vista possiamo già essere ottimisti, perché le nuove tecnologie ci permettono non solo di fare un passo in avanti nella prospettiva della produzione, ma anche di ampliare lo schema con i principi dell'economia circolare, che ci consente di utilizzare quelli che fino a poco tempo fa erano considerati scarti di produzione come input per altre attività produttive. Questo è, già di per sé, un enorme passo avanti verso la sostenibilità".
In agricoltura la svolta degli ultimi decenni è stata l'arrivo della precision farming. Ora si affacciano in maniera sempre più prepotente i droni, il cui uso massiccio presenta però, al netto dei loro limiti tecnici dei mezzi, problemi burocratici e amministrativi non da poco. Come andrà a finire il capitolo dell'agricoltore volante?
"Ritengo ci si trovi ancora nella fase di sperimentazione e librazione di questi strumenti. Le tecnologie evolvono in modo repentino e queste avranno sicuramente un ruolo nel futuro, perché anche quando dovessimo arrivare a una qualità eccezionale delle immagini prelevate da satellite, l'utilizzo dei droni per la rilevazione dei dati e per l'erogazione di determinate sostanze per le pratiche agronomiche in campo risulterà utile e conveniente. Ovviamente alcuni passaggi amministrativi dovranno essere regolamentati e si tratta comunque di strumenti che a oggi caratterizzano più altri aspetti dell'attività umana, ma che sono convinto a breve saranno condizionanti anche per l'attività agricola.
Non so quali e quante tecnologie rimarranno in piedi o saranno gestite dai droni, ma ci saranno certamente grandi sviluppi per questo strumento che certamente permetterà di realizzare molte delle applicazioni attualmente in fase di studio nell'ambito del precision farming".
Tra circa trenta anni finirà la scorta mondiale di fosforo assorbibile dalle piante. Il problema è noto da tempo, ma finora è stato bellamente ignorato. Cosa si sta facendo in tal senso?
"Noi abbiamo un progetto finanziato dal Parlamento italiano, denominato 'Biotech', che si occupa dello sviluppo di nuove biotecnologie per il miglioramento genetico sulle specie di interesse agrario italiano. Credo che queste tecnologie saranno cruciali per determinare la possibilità di superare le grandi sfide che l'umanità ha davanti, come la crescita demografica, i cambiamenti climatici e la necessità di produrre con meno suolo, acqua o fosforo.
La capacità di riuscire a realizzare specie in grado di essere resilienti rispetto ai cambiamenti dei prossimi anni diventa uno degli assi portanti delle scelte strategiche, tant'è vero che molti paesi - tra cui l'Italia - stanno investendo molto in questo settore.
Nel prossimo futuro non mancheranno discussioni e polemiche, e il fenomeno dovrà essere inquadrato bene, smarcandosi dalle vecchie tecnologie e dall'idea di costruire quel Frankenstein Food che in passato ha caratterizzato la polemica e il dibattito sugli Ogm, perché quello che si mira a raggiungere è la creazione di varietà quanto più possibile fedeli alla loro origine e tradizione agricola, ma con modifiche di quei tratti genetici che non le rendono adatte alle condizioni ambientali che nel frattempo si vengono a creare. Bisogna capire che non si vuole snaturare la produzione attuale ma la si vuole adattare al futuro e questo, volente o nolente, dovrà essere compreso, perché l'alternativa è quella di non produrre affatto.
La speranza è quella che il dibattito si chiuda velocemente per evitare che, come in passato, si blocchi la ricerca in questo campo e, nel contempo, si riescano a sviluppare le massime conoscenze possibili in breve tempo, decidendo successivamente nel merito delle applicazioni. Per arrivare a una corretta decisione sarà fondamentale spiegare bene che le cose sono differenti rispetto al passato e che mentre le tecnologie strettamente Ogm hanno una tendenza verso l'evoluzione della pianta, con le nuove si riescono anche a recuperare tratti che sono andati perduti con il miglioramento genetico tradizionale.
La capacità di mantenere e sviluppare la risorsa genetica è considerata in molti paesi un asset strategico al pari della difesa; noi, che abbiamo la più grande biodiversità nel settore agroalimentare, fino a oggi non abbiamo invece investito molto. Ora stiamo cominciando a farlo adesso ed è quindi importante mantenere questo trend".
Nel merito della sostenibilità degli allevamenti, alla preoccupazione generale per l'immissione in atmosfera di quantità anomale di anidride carbonica e metano si è aggiunta quella di ammoniaca. Esiste un problema reale?
"Il problema esiste. A seconda di chi guida il dibattito si pone l'accento su uno o l'altro elemento, ma il tema delle emissioni degli allevamenti è reale. Bisogna lavorare per mitigarne gli effetti. Si devono salvaguardare i suoli dall'eccesso di nitrati, che alla lunga portano alla desertificazione, e ridurre il contributo di emissioni degli allevamenti. Entrambi gli aspetti hanno delle ricadute sull'ambiente in termini di consumo dei suoli o di contributo alla deriva dei cambiamenti climatici e, tanto le istituzioni quanto gli organismi di ricerca, ci stanno lavorando. Non bisogna comunque cadere nel tranello dei programmi ideologici per i quali, ad esempio, basta non mangiare più carne per salvare il pianeta, perché si tratterebbe di un approccio sbagliato al problema, in quanto rimane viva l'esigenza di proteine animali per soddisfare il bisogno di nutrizione di intere popolazioni in crescita che chiedono un accesso più sicuro al cibo. Non si può fare a meno degli allevamenti, ma vanno resi più sostenibili".
Recentemente si è registrato un assalto alle serre Crea di Arcagna, nel Lodigiano, dove qualcuno pensava di trovare ortaggi Ogm. Cosa c'era veramente in quelle serre e, soprattutto, come si può fare ricerca in un paese dove la scienza è considerata un nemico?
"Ovviamente, nel rispetto della normativa, nelle serre non c'erano Ogm, ma il lavoro di anni e anni di grandi e valenti ricercatori. Non può non dispiacere che il lavoro di altri venga distrutto da un gruppetto di sfigati anarchici, che hanno anche rivendicato l'azione in un loro sito web, ma sicuramente non sarà questo gesto a influenzare l'opinione pubblica e, in generale, non riteniamo di essere un paese in cui c'è un'avversità verso la scienza.
Noi abbiamo sempre organizzato momenti di incontro con i cittadini che, da parte loro, si sono sempre dimostrati entusiasti delle attività di ricerca che gli mostriamo, ivi compresa quella di miglioramento genetico e selezione varietale. In particolare la sede di Montanaso Lombardo ha forti legami con le imprese del territorio anche grazie alla sua specializzazione in melanzane e asparagi, e non sarà certo questo piccolo evento a demoralizzarci. Rimane comunque il dispiacere per la perdita dell'attività che era stata svolta e che sarà comunque ripristinata, magari garantita con strumenti di sicurezza che impediranno il ripetersi di azioni del genere da parte di un gruppo di persone che non hanno trovato nulla di meglio da fare nella loro vita".
Che cosa significa realmente fare innovazione in agricoltura?
"Significa allinearsi alle conoscenze attuali, verificare lo stato dell'arte e farlo progredire in modo che consenta a chi poi adotta quella conoscenza sotto forma di scoperta scientifica, di trasferirla nella propria realtà produttiva migliorandone una o più componenti, che possono essere quella della sostenibilità ambientale, della redditività, dell'attrattività, del riconoscimento sociale… L'innovazione è quindi il trasferimento di una nuova conoscenza in una attività imprenditoriale. In agricoltura può voler dire tantissime cose. Oggi vuol dire riuscire a dare risposte a quelle che sono le grandi sfide dell'umanità, riuscire ad attrarre nuovi produttori che siano in grado di fornire cibo per una popolazione sempre più crescente, in un contesto in cui si dovranno usare meno risorse naturali e si dovrà far fronte a condizioni climatiche non ottimali".
E per finire, un esercizio di fantasia: anno 2100. Se riusciremo a non estinguerci, che agricoltura vedranno i nostri nipoti?
"Penso che ci saremo ancora e che i nostri nipoti vedranno un'agricoltura più tecnologica, anche se non necessariamente più sofisticata; realizzata con strumenti capaci di garantire produzioni più adeguate a quelli che saranno i contesti che si svilupperanno nei prossimi anni.
Probabilmente ci saranno produzioni che non utilizzeranno concetti che sino a ieri sembravano dati per scontati, come la necessità di avere un suolo in cui coltivare. Già oggi vediamo tantissime iniziative in cui si produce senza suolo, come nell'idroponia, e innovazioni 'da laboratorio', come la produzione di cibo sintetico. Su quest'ultima però nutro qualche perplessità, in quanto si tratta di tecnologie che serviranno per evitare di consumare suolo e produrre preparati cosmetici e farmaceutici con l'utilizzo di prodotti naturali realizzati per via sintetica, o per produrre biomasse destinate alla produzione di bioenergia.
Penso che, paradossalmente, i nostri nipoti saranno più vicini ai mondi agricoli rispetto alla nostra generazione, che ha vissuto questi percorsi di antropizzazione e urbanizzazione con una separazione netta tra città e campagna. Già oggi siamo impegnati a studiare le città del futuro, che possono essere immaginate contemplando persino l'inserimento al loro interno di foreste che si misceleranno con la realtà urbana.
Questo è lo scenario che vediamo se vogliamo fare un po' di fantascienza, anche se, già oggi, strutture in cui siano presenti orti urbani e luoghi di produzione agricola coerenti e compatibili con scenari cittadini, nonché sistemi di pianificazione urbana che tengano sempre più conto di sistemi agricoli integrati nell'inurbazione sono elementi presenti nei concorsi di architettura".
L'agricoltura vista con gli occhi dei protagonisti del settore.
Per i 30 anni di Image Line abbiamo voluto dar voce ai principali Istituti, Confederazioni e Associazioni che, dall'agrimeccanica all'agroalimentare, passando per la zootecnia, hanno tracciato il quadro presente e futuro del settore primario