Un Consorzio di ricerca internazionale, guidato dall'Università di Tel Aviv, ha portato a termine il sequenziamento del genoma del farro selvatico. Gli scienziati sanno oggi che cosa è contenuto all'interno del Dna di questo cereale. Una impresa non da poco visto che il farro selvatico ha 65mila geni, più del triplo di quelli dell'essere umano.

Ma perché andare a studiare il farro selvatico, una specie non coltivata e senza impatto commerciale? "Perché da questo cereale deriva sia il farro moderno, attualmente coltivato, sia il frumento duro che quello tenero", spiega ad AgroNotizie Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca genomica e bioinformatica del Crea, uno degli enti di ricerca che ha partecipato allo studio internazionale.

Cattivelli, che cosa significa sequenziare il genoma?
"Tutte le caratteristiche di un essere vivente sono codificate dal suo Dna. L'altezza di una pianta, come si sviluppano le radici, la qualità della granella e le altre caratteristiche sono codificate nei geni. Saperli leggere significa comprendere come un essere vivente funziona e può essere migliorato".

Quali difficoltà avete incontrato nel sequenziamento?
"A differenza di quello umano il genoma del farro selvatico è molto grande e complesso. Riuscire a decodificarlo non è stato semplice e ci siamo riusciti solo facendo ricorso ad una tecnologia bioinformatica sviluppata in Israele e da pochi anni disponibile".

Qual è la conoscenza che abbiamo oggi dei cereali?
"Entro la fine dell'anno avremo sequenziato anche il genoma del grano duro e di quello tenero, che ha un genoma 25 volte più grande di quello dell'uomo. A quel punto saremo in grado non solo di comprendere come queste specie si sono evolute nel tempo. Ma anche di migliorarle".

In quale modo la conoscenza del genoma del farro può aiutarci?
"Nel germoplasma dei farri selvatici ci sono ancora molti geni che potrebbero essere di rilevanza per i frumenti coltivati, ad esempio quelli di resistenza alle malattie. Alcune piante selvatiche non vengono colpite da alcune patologie che invece nelle colture commerciali sono un vero flagello, come la ruggine o il fusarium".

Come si passa dalla resistenza nelle varietà selvatiche a quelle commerciali?
"Le strade sono differenti, quella più efficace sfrutta le nuove tecnologie di miglioramento genetico per isolare i geni di resistenza e inserirli nel genoma delle varietà commerciali. In questo modo non si perde il grande lavoro di miglioramento che ci ha portato alle varietà che oggi coltiviamo e in più si rendono resistenti a molte malattie".

Che cosa significa avere frumenti resistenti?
"Oggi utilizziamo grandi quantità di agrofarmaci per difendere le colture dall'attacco dalle malattie fungine. Avere frumenti resistenti significa avere piante che non si ammalano o si ammalano meno. Ma oltre alle ricadute economiche e ambientali c'è un aspetto da non sottovalutare".

Quale?
"Oggi le nostre colture sono sottoposte ad una pressione mai vista prima. Nuove malattie possono arrivare dall'estero, come la ruggine Ug99, comparsa in Uganda e diffusasi in tutto il continente ed estremamente resistente ai prodotti in commercio. Ma assistiamo alla comparsa di nuovi ceppi anche nel nostro paese. In Sicilia ad esempio l'anno scorso è comparso un nuovo ceppo di ruggine gialla. La conoscenza del genoma dei frumenti può aiutarci ad affrontare queste sfide".

Oltre alla difesa ci possono essere altre ricadute?
"Certamente sì, sia sulle qualità della granella, sia sulla capacità delle piante di rispondere agli stress ambientali. I cambiamenti climatici, con l'imprevedibilità del clima che stiamo vivendo, rendono necessarie colture che rispondano meglio alla carenza di acqua o che resistano a temperature anomale. Ma anche che utilizzino meglio gli input produttivi".

Gli agricoltori quando vedranno delle ricadute positive?
"Entro l'anno i sequenziamenti dei genomi del frumento duro e tenero saranno completati e resi pubblici. A quel punto tutto dipenderà se ci saranno i finanziamenti, pubblici o privati, per trasformare queste ricerche in prodotti per gli agricoltori. Per l'Italia è una questione strategica".

In che senso?
"Il frumento duro è alla base della pasta, uno dei pilastri del nostro made in Italy. Avere le conoscenze genetiche e saperle sfruttare credo che per l'Italia sia auspicabile in modo da non dover poi dipendere dalla genetica estera".