La peste suina africana è entrata negli allevamenti di suini. Lo ha fatto in Lombardia, Regione ad alta densità suinicola.

Due i focolai accertati nel pavese, prima a Montebello della Battaglia e a distanza di pochi giorni a Zinasco e ora tutto il settore trema per le conseguenze che ne potrebbero derivare.

Non sono bastate le recinzioni, la nomina di un commissario straordinario (Vincenzo Caputo) e nemmeno gli interventi (pochi e blandi) per ridurre la popolazione di cinghiali dai quali è partita l'infezione, a iniziare dai primi casi in Piemonte e Liguria accertati quasi due anni fa.

 

Venti mesi durante i quali si è fatto affidamento sulla capacità degli allevatori nell'adottare misure di biosicurezza atte ad evitare l'ingresso della malattia.

Non poteva bastare, nonostante il forte impegno da parte di tutti. Siamo di fronte a un virus capace di sopravvivere a lungo nell'ambiente esterno, per di più dotato di una forte capacità infettante.

Molte le vie per le quali può entrare in allevamento, veicoli, materiali di consumo, lo stesso personale addetto all'allevamento e non solo.

 

Sempre più cinghiali infetti

Addossare all'allevamento colpito responsabilità per eventuali negligenze, ancora da dimostrare, non serve.

In assenza di un severo contenimento della fauna selvatica era inevitabile che prima o poi il virus coinvolgesse qualche allevamento.

A dire il vero era già accaduto in Calabria e in Campania come Agronotizie aveva anticipato.

Ma in quel caso si era in aree con una scarsa presenza di allevamenti suini.

 

Ora, se non si interverrà sulla popolazione di cinghiali, non resta che aspettarsi altri allevamenti colpiti.

L'istituto zooprofilattico del Piemonte, che svolge una attenta opera di informazione sull'evoluzione dei focolai nelle zone di sua competenza, segnala che il numero di selvatici infetti continua a salire ed è arrivato a quota 912 accertamenti fra Liguria e Piemonte, mentre a livello nazionale i casi salgono a 1.057.

 

Strategie da rivedere

Le strategie sin qui adottate dimostrano di essere insufficienti e il rischio che il settore sta correndo è troppo elevato.

La presenza del virus in un allevamento comporta l'abbattimento di tutti i capi non solo dell'azienda infettata, ma anche in quelle presenti nelle zone di restrizione.

Per evitare l'ulteriore diffusione del virus è previsto il blocco delle movimentazioni di animali e dei loro prodotti.

Al contempo si rende necessaria un'indagine epidemiologica per ricostruire il percorso di ogni scambio nei giorni precedenti l'accertamento del focolaio.

 

Blocco dell'export

Danni enormi per gli allevamenti, solo in parte rimborsati, ma che sono una minima parte del danno che ne deriva all'intero settore per il blocco dei commerci dei prodotti a base di carni suine e per le ripercussioni sui flussi di export.

Già per la presenza del virus nei cinghiali alcuni Paesi avevano chiuso le loro frontiere ai nostri salumi e insaccati.

Ora se ne aggiungeranno altri in un crescendo che sarà inarrestabile se ci saranno nuovi focolai. Un'ipotesi destinata ad avverarsi se non si prenderanno iniziative più coraggiose.

 

Gli appelli

Tutto il mondo produttivo legato alla suinicoltura è in fase di massima allerta.

C'è rabbia – spiega Alberto Cortesi, presidente di Confagricoltura Mantova – perché si è fatto poco per cercare di contrastare l'avanzata dell'epidemia, e ora a pagarne le conseguenze sono gli allevatori".

Elio Martinelli, presidente di Assosuini, invoca finanziamenti a fondo perduto per la costruzione di recinzioni attorno agli allevamenti e allo stesso tempo chiede il dimezzamento della popolazione di cinghiali, se occorre con il coordinamento dell'Esercito da affiancare ai cacciatori.

L'assessore all'Agricoltura della Lombardia, Alessandro Beduschi, si è impegnato a reperire nuove risorse da destinare alla biosicurezza degli allevamenti e al contenimento dei cinghiali.

 

L'insegnamento della Sardegna

Le prossime settimane potranno essere decisive.

Senza un cambio di passo non resta che aspettarsi l'esplodere di nuovi focolai con conseguenze poi difficili da mettere sotto controllo.

In Sardegna, dove la peste suina africana è arrivata nel 1978, il virus ancora non è stato debellato a dispetto di grandi sforzi e ingenti investimenti.

Selvatici e allevamenti bradi ne sono ancora all'origine. Da quell'esperienza bisognerebbe trarre insegnamento.