Il senso e la finalità di alcune scelte in tema di politica ambientale sono a volte poco comprensibili.

Accade ancora una volta leggendo le anticipazioni alla proposta del governo irlandese di ridurre il numero di bovini allevati per ottenere una riduzione delle emissioni climalteranti.

In Irlanda se ne parla da tempo, ma solo negli ultimi giorni sono emersi ulteriori dettagli di questa proposta che prevede l'abbattimento di circa 200mila bovini in tre anni.

Pochi secondo l'Environmental Protection Agency del governo irlandese che propone di arrivare ad almeno 500mila capi.

 

Qualche dubbio

Di fronte a scelte così draconiane sorge il dubbio che l'Irlanda sia fra i Paesi con quote importanti di emissioni di gas climalteranti. Eppure non è così.

L'Irlanda ha una produzione di 37 milioni di tonnellate di CO2, appena lo 0,01% di quella mondiale che assomma a 37 miliardi di tonnellate.

 

L'Italia, per fare un confronto, ha una produzione di 328 milioni di tonnellate e certo non può essere annoverata fra i Paesi che più contribuiscono alla emissione di CO2.

Dunque il sacrificio degli allevatori irlandesi darebbe un contributo assai modesto, quasi impercettibile, alla riduzione della emissione di gas climalteranti.

Sebbene l'attenzione all'ambiente da parte del Governo irlandese sia encomiabile, forse la strada proposta non è la migliore.

 

Il caso dei bovini

Resta infatti da chiedersi perché puntare sui bovini. Una scelta che sembra ignorare le risultanze della scienza, che dimostrano come l'allevamento bovino possa tradursi in un beneficio per l'ambiente.

In particolare nell'allevamento all'aperto, peraltro diffuso in Irlanda grazie all'ampia disponibilità di pascoli, il bilancio fra emissioni di CO2 e sequestro di carbonio nel terreno è a favore di quest'ultimo, con un reale beneficio per l'ambiente.

 

Inoltre occorre considerare l'apporto di humus che deriva dalla concimazione organica, fondamentale per la fertilità dei terreni e per la lotta alla desertificazione.

Un problema che forse non riguarda l'Irlanda, ma che invece coinvolge ampie aree dell'Italia, proprio dove l'allevamento bovino è meno presente.

 

Visione distorta

C'è il timore che talune scelte siano distorte da una errata visione del rapporto fra agricoltura e ambiente, troppe volte indicate come antagoniste quando al contrario sono alleate.

Nel caso degli allevamenti prevale poi una narrazione dove sembrano prevalere tesi ambientaliste e animaliste permeate da una interpretazione antropocentrica, tesa a criminalizzare gli allevamenti protetti, erroneamente definiti intensivi.

 

Il modello italiano

È grazie a questo modello produttivo, quello degli allevamenti protetti, attento alla salute e al benessere degli animali, che l'Italia può vantare una delle zootecnie più evolute al mondo e con il minore impatto sull'ambiente.

La Fao calcola che a livello mondiale l'agricoltura contribuisca alle emissioni di gas climalteranti per oltre il 14%.

Un valore che nel caso dell'Italia scende, secondo l'Ispra, a circa il 7% e poco più del 5% per la zootecnia.

 

Ma non va dimenticato il diverso percorso della CO2 proveniente dagli allevamenti rispetto a quella di altre attività produttive.

Nel primo caso il carbonio fa parte di un ciclo biogenico che nulla aggiunge in atmosfera rispetto a quanto già è presente.

Nell'altro caso, specie per le attività che consumano energia da idrocarburi, si tratta invece di carbonio aggiunto all'ambiente.

 

Scelte consapevoli

Tutte considerazioni da tenere in conto quando si affronta il difficile tema del cambiamento climatico.

In questi giorni il Parlamento Europeo ha approvato la proposta di "ripristino della natura" che sulla scia del New Green Deal si pone l'obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di CO2.

Una meta importante e condivisibile, purché attuata senza la lente deformate dell'ideologia e con uno sguardo attento alle evidenze della scienza.

 

Se quest'ultimo sarà il filo conduttore delle scelte che si andranno a prendere, poco importa se il beneficio a livello mondiale sarà modesto.

Perché l'Europa, va ricordato, contribuisce solo per il 17% all'emissione mondiale di gas climalteranti.

L'importante è l'esempio che ne può derivare e l'indicazione sulla rotta da seguire.

Che però non deve penalizzare l'agricoltura, ma difenderla da chi non avendo rispetto per l'ambiente e per il clima produce a basso costo, esercitando così una concorrenza insostenibile.

Se di ciò non si terrà conto, il risultato finale sarà un mondo più inquinato e un'agricoltura europea moribonda.